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LA RUSSIA È ISOLATA. SI’, MA QUANTO?

di Pietro Pinter     Dopo un lungo e perseverante lavoro della diplomazia britannica alla fine il risultato è stato raggiunto: le banche russe sotto sanzioni sono state disconnesse dallo SWIFT. USA, UK e  UE, i primi responsabili di questa iniziativa visto che SWIFT è incorporato nel diritto belga e sottostà ai regolamenti UE, dichiarano che questa iniziativa di fatto bloccherà le importazioni e le esportazioni della Russia. Ma quanto è vero? Sicuramente interferirà pesantemente con i rapporti commerciali tra la Russia e il resto dei Paesi europei, impattando non solo sul comparto energetico (che è escluso dalle sanzioni UE, ma in mancanza di un sistema alternativo di pagamento sarà comunque coinvolto) ma anche sul commercio di materie prime, di
fertilizzanti, sull’export verso la Russia e soprattutto sul debito russo in pancia alle banche italiane, austriache, tedesche e francesi.


La Russia però è lungi dall’essere isolata, a meno che non si faccia la falsa equivalenza NATO =
comunità internazionale. Dal 2014, quando altre dure sanzioni la colpirono dopo l’annessione della Crimea, la Russia si prepara a uno scenario simile, e con lei anche altri Paesi. La Russia lavora al suo sistema di pagamento in Rubli, mentre la Cina ha già lanciato, nel 2015, il CIPS, la sua alternativa allo SWIFT. Anche l’India, come riporta il Guardian, si sta attrezzando per sviluppare un sistema di pagamento in Rupie per poter continuare a commerciare con la Russia. L’India non ha condannato l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, con cui ha un lungo rapporto di amicizia e cooperazione economico-militare sin dalla sua indipendenza, che non si è interrotto con la disgregazione dell’Unione Sovietica. E non sono solo questi due Paesi, che da soli contengono il 40% della popolazione mondiale, a non conformarsi ai desiderata angloamericani.

Questo ci fa capire due cose. La prima, ed è ormai scontato dirlo, è che il mondo non è più quello degli anni Novanta e primi Duemila, in cui la tarda URSS e la Russia supportavano le iniziative di politica estera americana in Iraq e Afghanistan insieme al resto del mondo, e in cui la Cina agiva sottotraccia per farsi includere senza frizioni nel sistema economico globale. Il mondo multipolare non sta arrivando: è già arrivato.

Giungiamo quindi alla seconda considerazione: gli angloamericani se ne sono accorti, e colgono
l’occasione Ucraina per “purgare” il polo europeo della loro sfera d’influenza da tentazioni continentaliste e autonomiste. Questo orientamento di politica estera angloamericano non è nuovo. In quest’ottica va vista la costruzione, negli ultimi dieci anni, di un cordone sanitario tra Russia e Germania, composto da Turchia, Romania, Ucraina, Polonia e Paesi baltici. Il gruppo Visegrad e progetti come l’Intermarium sono assolutamente benvoluti e supportati da Londra e Washington, così come addirittura un’eventuale Polexit, aldilà delle questioni LGBT e di diritto costituzionale. Ora, seguendo la massima di Churchill  “Never let a good crisis go to waste” (“Non sprecare mai una buona crisi”), la guerra in Ucraina viene usata per spezzare definitivamente l’asse Berlino-Roma-Mosca, o quantomeno per provarci. A prescindere da quale possa essere l’epilogo militare e diplomatico della guerra in Ucraina, a oggi tutt’altro che scontato o prevedibile, la strategia angloamericana è chiara: prendere le “quote di mercato” che la Russia ha in Europa occidentale e sostituire la dipendenza dei Paesi europei dalle materie prime russe con una dipendenza da materie prime americane.

Ne esce sicuramente indebolita – benché non totalmente isolata – la Russia, ma ne escono indeboliti anche i Paesi dell’Europa occidentale, che probabilmente oltre a cercare di diluire questi tentativi di decoupling altro non possono fare: tanta è la loro autonomia strategica da Washington.

di Pietro Pinter

Fondatore e curatore del blog e del canale Telegram di geopolitica inimicizie.com

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