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ZELENSKY VEDE LA REALTA’, NATO E UE LA NEGANO

di Giuseppe Gagliano – La narrativa ufficiale costruita da NATO e Unione Europea attorno al conflitto in Ucraina si scontra, oggi, con una realtà che nemmeno i suoi stessi protagonisti sembrano più poter ignorare. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, durante una videoconferenza con i lettori di Le Parisien, ha affermato che, “de facto, i territori del Donbass e della Crimea sono oggi controllati dai russi. Non abbiamo la forza di riconquistarli. Possiamo contare solo sulla pressione diplomatica”. Questa dichiarazione, lontana dalla retorica bellicista del passato, segna un importante cambiamento: una presa d’atto che mina anni di propaganda occidentale.

Sin dall’inizio del conflitto, le istituzioni occidentali hanno alimentato l’idea che la guerra potesse essere vinta grazie alla determinazione ucraina e al sostegno militare e finanziario fornito da Europa e Stati Uniti. Segretari generali della NATO, alti funzionari UE e leader politici hanno ripetuto ossessivamente che un aumento delle spese militari e l’invio di armi moderne a Kiev avrebbero “logorato” la Russia, garantendo la vittoria ucraina.

L’attuale segretario generale della NATO, Mark Rutte, ha ribadito questa narrativa il 13 dicembre a Bruxelles, chiedendo di superare la soglia del 2% del PIL per le spese militari e spingendo l’Alleanza a una “mentalità da tempo di guerra”. Tuttavia, dietro a queste dichiarazioni si cela una realtà ben più complessa: la guerra sta consumando non solo l’Ucraina, ma anche l’Europa, mentre la Russia, lontana dal collasso annunciato, continua a sostenere il peso del conflitto.

L’idea che la guerra stia logorando la Russia si è dimostrata fallace. Le sanzioni economiche, inizialmente definite “devastanti” da leader come Mario Draghi, hanno avuto un impatto limitato su Mosca, mentre l’Europa, priva di alternative energetiche, ha pagato un prezzo altissimo. Secondo i dati dell’Agenzia Internazionale dell’Energia (IEA), i costi del gas naturale in Europa sono cinque volte superiori a quelli degli Stati Uniti, mentre l’energia elettrica costa tre volte di più rispetto alla Cina. Questo divario competitivo sta spingendo molte industrie europee verso il collasso, come dimostra la crisi dell’acciaio in Germania e la chiusura di stabilimenti chiave di aziende come Volkswagen e ThyssenKrupp.

Anche il sostegno militare all’Ucraina di Zelensky ha avuto effetti collaterali devastanti per gli arsenali occidentali. La NATO ha esaurito gran parte delle sue scorte di armi e munizioni, mentre i costi per rifornire gli eserciti sono esplosi a causa dell’aumento dei prezzi delle materie prime. La mancanza di personale militare, già cronica prima della guerra, ha costretto molte forze armate europee a ridurre la loro operatività: navi senza equipaggi e aerei a terra sono diventati una realtà quotidiana per diverse nazioni alleate.

Una guerra persa sul campo e nell’opinione pubblica

Sul campo di battaglia, l’Ucraina non è riuscita a ottenere i successi promessi. La tanto celebrata controffensiva del 2023 si è conclusa con un bilancio disastroso: i russi hanno guadagnato più territorio di quanto gli ucraini siano riusciti a riconquistare. A ciò si aggiunge la fatica dell’opinione pubblica occidentale, sempre meno disposta a sostenere una guerra che appare lontana e senza prospettive concrete di vittoria.

Secondo il Rapporto Censis 2024, il 68,5% degli italiani ritiene che le democrazie liberali abbiano fallito, mentre il 71,4% prevede la dissoluzione dell’UE senza riforme radicali. Solo un terzo della popolazione sostiene un aumento delle spese militari al 2% del PIL, e ancora meno accetterebbe ulteriori sacrifici economici per finanziare un conflitto percepito come inutile.

Il ruolo di Zelensky e il cambiamento di rotta

Zelensky, che fino a poco tempo fa era il principale promotore della narrativa NATO, sembra ora costretto a fare i conti con una realtà che non può più essere ignorata. La sua ammissione che l’Ucraina non ha la forza per riprendere il Donbass e la Crimea rappresenta un colpo significativo alla propaganda occidentale. La “vittoria” promessa è stata sostituita da un obiettivo più ambiguo: la “pace giusta”. Questo cambio di tono suggerisce che anche Kiev sta iniziando a comprendere i limiti del sostegno occidentale e l’impossibilità di continuare una guerra a oltranza. Tuttavia, la retorica UE/NATO, incapace di adattarsi a questi sviluppi, rischia di alienare ulteriormente le opinioni pubbliche europee, già scettiche sulla gestione della crisi.

La guerra per procura e il logoramento calcolato della Russia

Il conflitto in Ucraina si è configurato sin dall’inizio come una guerra per procura, orchestrata in larga parte dagli Stati Uniti e dal Regno Unito, con il supporto dei rispettivi servizi segreti. L’obiettivo dichiarato era quello di indebolire la Russia sul lungo termine, trasformando l’Ucraina in un campo di battaglia strategico. Questa strategia non è mai stata nascosta: un rapporto della RAND Corporation di Santa Monica, pubblicato prima dell’invasione russa, aveva già delineato con lucidità e spietatezza i piani per logorare Mosca attraverso un conflitto prolungato e un’intensa pressione economica.

Secondo il rapporto, il coinvolgimento russo in una guerra costosa e prolungata avrebbe dovuto destabilizzare il Paese, erodere il consenso interno e indebolire la sua capacità di proiettare potenza all’estero. Tuttavia, questa strategia, pur avendo avuto effetti sull’economia e sulla politica interna russa, ha avuto costi enormi per l’Ucraina e per l’Europa, trasformando il continente in una vittima collaterale di un confronto globale pianificato altrove.
Conclusioni: un’Europa al bivio. La guerra in Ucraina ha messo a nudo le fragilità strategiche, economiche e politiche dell’Occidente. La narrativa NATO e UE, basata su obiettivi irrealistici e su una retorica sempre più scollegata dalla realtà, non regge più. La crisi di credibilità dei leader occidentali è ormai evidente, così come la loro incapacità di proporre soluzioni che vadano oltre il semplice aumento delle spese militari.

La dichiarazione di Zelensky segna un punto di svolta: una resa alla realtà che dovrebbe spingere l’Europa a ripensare la propria strategia. Continuare a ignorare i segnali di fallimento rischia di isolare ulteriormente le istituzioni occidentali dai cittadini, rendendo ancora più difficile affrontare le sfide future.

di Giuseppe Gagliano

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