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ZELENSKY VEDE LA REALTA’, NATO E UE LA NEGANO

di Giuseppe Gagliano – La narrativa ufficiale costruita da NATO e Unione Europea attorno al conflitto in Ucraina si scontra, oggi, con una realtà che nemmeno i suoi stessi protagonisti sembrano più poter ignorare. Il presidente ucraino Volodymyr Zelensky, durante una videoconferenza con i lettori di Le Parisien, ha affermato che, “de facto, i territori del Donbass e della Crimea sono oggi controllati dai russi. Non abbiamo la forza di riconquistarli. Possiamo contare solo sulla pressione diplomatica”. Questa dichiarazione, lontana dalla retorica bellicista del passato, segna un importante cambiamento: una presa d’atto che mina anni di propaganda occidentale.

TACI, IL CITTADINO TI ASCOLTA!

Serenamente ignorata dalla “stampa di qualità”, arriva dagli Usa la notizia che 62 membri democratici della Camera dei rappresentanti insieme con 207 repubblicani hanno votato un emendamento (che dovrà poi passare all’esame del Senato) alla legge sui finanziamenti per il Dipartimento di Stato che vieta allo stesso Dipartimento di fare qualunque riferimento alle statistiche sui morti di Gaza trasmesse dal ministero della Sanità del governo della Striscia. Il voto è avvenuto sulla base di una mozione bipartisan presentata da due democratici e due repubblicani. E se le posizioni repubblican-trumpiane sulla guerra in Medio Oriente sono ben note, quelle dei democratici si muovono sulla solita ambiguità: infatti la direzione del partito non ha dato alcuna indicazione di voto, lasciando ai deputati la libera scelta. Taci, il cittadino potrebbero sentirti!

AZERBAIGIAN, ARMENIA E GEORGIA, FRONTE DEL CAUCASO

di Giuseppe Gagliano – Secondo un’analisi del Digital Forensic Research Lab dell’Atlantic Council, un think-tank con sede a Washington, la propaganda russa sta cercando di intensificare il sentimento anti-occidentale nel Caucaso meridionale, in particolare in Armenia, Georgia e Azerbaigian. Il loro messaggio principale è che un maggiore avvicinamento alla regione verso gli Stati Uniti e l’Unione Europea potrebbe portare a nuovi conflitti bellici.

CHE COSA CERCA MACRON IN UCRAINA?

di Giuseppe Gagliano – Il 5 marzo, l’Aeronautica Militare francese ha condotto una missione di sorveglianza aerea sopra il Mar Nero, avvicinandosi allo spazio aereo russo, con l’impiego di un aereo AWACS E-3F e due caccia Rafale. Sebbene operazioni simili da parte della Nato siano frequenti e monitorabili tramite siti come FlightRadar24, il volo francese del 5 marzo non è stato rilevato, indicando che volava con il transponder ADS-B disattivato, una mossa inusuale che nel contesto attuale, segnato anche dall’attivismo del predicente Macron, può essere vista come una forma di provocazione. Solitamente, i voli di ricognizione mantengono attivi i transponder per segnalare la loro presenza e prevenire incidenti, a eccezione dei droni Global Hawk che, operando ad altitudini elevate, talvolta disattivano i transponder senza rappresentare un rischio per il traffico aereo.

CYBER DI MEZZO MONDO UNITEVI, PER L’UCRAINA

di Giuseppe Gagliano – Nell’ambito di un impegno crescente verso l’Ucraina, l’Estonia ha dato vita al Meccanismo di Tallinn in dicembre, con l’obiettivo di sincronizzare a sostegno di Kyiv un’ampia gamma di iniziative tecnologiche e cyber. Questo meccanismo vede la partecipazione di numerosi Paesi, inclusi Estonia, Canada, Danimarca, Francia, Germania, Olanda, Polonia, Svezia, Ucraina, Regno Unito e Stati Uniti.

MUNIZIONI, LA RUSSIA CI OSSERVA

di Giuseppe Gagliano – Recentemente, i servizi d’informazione russi hanno effettuato una valutazione approfondita sulle potenzialità del complesso militare-industriale euro-atlantico nel quadro del conflitto con l’Ucraina, fornendo le proprie conclusioni al Cremlino e al Consiglio di Sicurezza Nazionale. Hanno partecipato all’operazione il servizio di spionaggio estero, SVR, e quello di intelligence militare, GU (precedentemente conosciuto come GRU), che hanno intrapreso un’analisi dettagliata sulla capacità produttiva di munizioni d’artiglieria. Mentre il GU si è concentrato sull’osservazione diretta delle fabbriche e della loro produzione, l’SVR ha optato per un confronto tra le consegne di munizioni effettuate all’Ucraina e le promesse iniziali, al fine di dedurre la capacità produttiva effettiva dei Paesi coinvolti.

UE, COM’È DIFFICILE DARE 50 MILIARDI A KIEV

di Pietro Pinter – A inizio febbraio, il Consiglio Europeo si riunirà nuovamente per trovare un accordo sulla Ukraine Facility Regulation, il quadro legale proposto dalla Commissione Europea a giugno 2023 – e approvato dal Parlamento Europeo ad ottobre – per fornire 50 miliardi di aiuti finanziari all’Ucraina per 5 anni, sul modello del Recovery Fund: ogni tranche di aiuti dovrà essere preceduta da diverse “riforme” da parte dell’Ucraina, concordate in un apposito piano. Se il sostegno della Commissione Europea, ultra-atlantista e autrice di molte fughe in avanti sull’Ucraina (si ricordi ad esempio, la folle proposta di una no fly zone sul Paese) è sicuro, lo stesso non si può dire per il Consiglio Europeo (gli Stati membri) che deve approvare all’unanimità il disegno, trattandosi di una decisione UE in tema di politica estera.

SCHOLZ E L’EUROPA CHE ANSIMA PER IL GAS

Dunque, il trucchetto immaginato dal cancelliere tedesco Olaf Scholz sarebbe dovuto funzionare così: bilancio per il 2023 in apparenza legato a un passivo massimo dello 0,35%, come da obbligo costituzionale. Spendendo però a lato, fuori dal bilancio, 60 miliardi per il clima e 200 miliardi per stabilizzare i costi dell’energia. La Corte Costituzionale tedesca ha dato un’occhiata, si è fatta una risata e ha rispedito il tutto al mittente, cioè allo stesso Scholz. Che non ha avuto scelta: ha dovuto abolire il blocco del debito statale per il 2023 e far capire che facilmente lo si dovrà fare anche nel 2024. Bilancio in questo modo approvabile ma reputazione di Scholz (che fu ministro delle Finanze con Angela Merkel) e della sua coalizione di Governo nel baratro.

LA POLONIA BLOCCA GLI UCRAINI, LA UE TACE

Arriva da Reuters la notizia che i camionisti e gli agricoltori polacchi hanno iniziato un blocco 24 ore su 24 del valico di frontiera di Medyka, uno dei più trafficati tra Polonia e Ucraina. Continua dunque, dopo tre settimane, la protesta dei lavoratori polacchi, a seguito della quale migliaia di camion sono rimasti in coda per molti chilometri per diversi giorni. I camionisti affermano che stanno perdendo quote di mercato a causa della “concorrenza sleale” delle aziende ucraine, che offrono prezzi più bassi per i loro servizi e che ora possono trasportare merci anche all’interno dell’Unione Europea, e non più solo tra la UE e l’Ucraina. Ed è la stessa motivazione addotta dagli agricoltori, colpiti nei loro interessi dal fatto che il grano ucraino viene venduto a un prezzo più basso, cosa che ha provocato la chiusura delle importazioni da parte di Polonia, Ungheria, Slovacchia, Romania e Bulgaria. Per questo le due categorie, camionisti e agricoltori, hanno deciso di condurre insieme la protesta. Ora per Medyka passano solo due camion all’ora. Fanno eccezione i veicoli che trasportano aiuti umanitari e forniture militari. E i leader della protesta fanno sapere di essere pronti a bloccare tutti i valichi di frontiera a tempo indeterminato.

ARMENIA, PERDERE LA GUERRA E VINCERE IN ECONOMIA

da Asia Newsdi Vladimir Rosanskij – All’Assemblea nazionale, il Parlamento di Erevan, è cominciata la discussione sulla prossima legge finanziaria, e il primo ministro Nikol Pashinyan ha cercato di trasmettere sensazioni di ottimismo nella sua relazione iniziale. Il Governo dell’Armenia prevede per il 2023 di raggiungere una crescita del Pil di almeno il 7%, con un tasso di inflazione mediamente stabile. Sarebbe il risultato della fine dei conflitti con l’Azerbaigian e l’apertura alle relazioni commerciali verso la Turchia, l’Iran e l’Europa, mantenendo comunque rapporti stabili con il partner storico della Russia, con la quale ultimamente non mancano le tensioni. Come ha sottolineato il premier, “uno dei nostri maggiori risultati è la nostra stabilità macroeconomica, in un contesto molto pieno di minacce e sfide alla sicurezza, ma che siamo riusciti a mantenere anche di fronte ai conflitti e all’instabilità politica interna del Paese, per non parlare degli anni della pandemia”. L’Armenia conferma per il secondo anno consecutivo il trend di crescita economica, e si spera in ulteriori progressi. Nei primi 9 mesi dell’anno l’inflazione è rimasta sempre sotto il 3%.