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IL FANTASMA DELL’IMPERO SI MANGIA LA RUSSIA

di Marco Bordoni       Dopo morti, gli Imperi vivono. Il loro fantasma continua a tormentare gli uomini, e a volte si impadronisce di corpi politici vivi. Arnold Toynbee scriveva che la cristianità ortodossa aveva imboccato una strada diversa da quella cattolica a causa della sua “fatale infatuazione per il fantasma dell’ impero romano”. “Gli imperatori orientali” (e in particolare, secondo lo storico britannico, Leone Isaurico) evocando il fantasma di Roma e riversandolo nel corpo del suo regno greco, “trasformarono la Chiesa in un dipartimento di stato e il patriarca ecumenico in una specie di sottosegretario agli affari ecclesiastici” (1). Lasciate poi, dopo secoli, le seconde spoglie mortali sulle rive del Bosforo, lo spettro dell’ Impero si sarebbe mosso verso Nord, fino alle selvagge rive della Moscova, dove avrebbe incontrato le ambizioni del Gran Principe Vasilij III e del suo ideologo, il monaco Filofej (autore del celebre: “Due Rome sono Cadute, la terza sta, la quarta non sarà”). Reincarnato per sostenere le pretese di Ivan IV al titolo dei Cesari, l’Impero possedette la Moscovia pervadendola del proprio spirito universalista, tanto consono agli slanci dell’anima russa. Tiara avvinta allo scettro (su questo ha scritto pagine indispensabili Giovanni Codevilla (2) nazione identificata non con un gruppo etnico ma con la fedeltà alla Chiesa e al sovrano e sospesa in “ampi spazi per il sogno e per la realtà”.


Proteso verso una legittimità oltremondana, l’ideale imperiale si nutre di simboli. Ed ecco la leggendaria “Tiara Bianca” del Metropolita di Novgorod, commissionata dagli Apostoli Pietro e Paolo all’imperatore Costantino, da questi donata a Papa Silvestro e passata, secondo la leggenda, da Roma e Novgorod via Costantinopoli (3). Ed ecco la shapka Monomakha, il copricapo donato, secondo la leggenda, dal bizantino Costantino IX Monomaco al nipote Vladymyr II Monomaco, Gran Principe della Rus’ di Kiev e poi passata ai sovrani moscoviti. Ma in realtà, riporta non senza una punta di malizia sempre Giovanni Codevilla (4), di
origine probabilmente centroasiatica, “è probabile che sia stata inviata ad uno
dei principi russi da qualche Khan Tartaro”. Siamo al crocevia con l’altra grande tradizione imperiale che innerva la storia russa, quella dei nomadi centroasiatici. Una vocazione, a sua volta, universale, così descritta dal grande storico Gheorghij Vernatskij: “Il tratto caratteristico di ogni impero nomade era il principio di universalità che guidava i suoi fondatori; ogni impero dei nomadi era, potenzialmente, uno stato mondiale, anzi, una monarchia cosmica” (5). Una vocazione raccolta nel processo di espansione verso Est che Andreas Kappeler chiama “raccolta delle terre dell’Orda d’ Oro” (6). L’ impero dei Khan sotto la vernice di quello dei Cesari. Poi la resa dei conti con la modernità, con lo spirito nazionale avanzante inesorabile da Occidente, ancora una volta gestito dalla Russia inventando un osobennij pyt’, una via peculiare: il bolscevismo.

Che la svolta di Lenin rappresentasse la morte dell’aspirazione imperiale o piuttosto la sua modernizzazione è faccenda discussa: di fatto Mosca, la terza Roma, ora al centro della Terza Internazionale, si trovava di nuovo ad assolvere ad una missione universale. Poi il 1991, che parve una soluzione di continuità decisiva: come la Fenice, l’Impero moriva di nuovo, si inabissava nelle profondità della storia, lasciando dietro di sé un territorio esausto e impoverito. Alla classe dirigente post sovietica il compito, mai tentato, di costruire in Russia uno Stato nazionale, liberale e retto da una democrazia parlamentare e di difenderlo dalle brame di vicini potenti ed aggressivi. Uno stato abitato per l’80% da Russi, come non era mai accaduto nella storia (erano il 70% al tempo di Pietro il Grande, il 44% all’inizio dell’ impero di Nicola II e il 50% nell’ URSS di Gorbachev (7). Uno Stato ridotto a un livello di potenza incompatibile con pretese universalistiche o con il tradizionale eccezionalismo imperiale e quindi proteso verso la creazione di un rapporto privilegiato con gli USA (agli esteri l’inesperto Andrey Kozyrev) e l’integrazione con le strutture di governance occidentali: mosse quindi verso l’ accordo tariffario USA-Russia (1994), ingresso nel Consiglio d’ Europa (1994), nella Banca Mondiale e nel FMI (1996) e infine nel WTO (2012). Uno stato secolarizzato dal PCUS e laicizzato dalla Costituzione del 1993 (8).

Uno dei libri più illuminanti di Giulietto Chiesa racconta il fallimento degli uomini che si accinsero a questo tentativo, naufragato in un gorgo di sacco del patrimonio statale, gangsterismo, miseria di massa, soggezione all unilateralismo statunitense (9). Un fallimento risoltosi in un’apocalisse sociale, economica e demografica, che ha spinto lo Stato russo ad un passo dal collasso. E poi i primi anni di Putin: una storia che tutti conosciamo. La ripresa del controllo delle risorse energetiche, il ripristino dei servizi essenziali, la ricostruzione delle forze armate, la riduzione della povertà, la riconquista della dignità interna interna ed internazionale. Una politica della nazionalità ponderata, giocata sull’equilibrio fra la necessità di valorizzare l’elemento etnico russo, promosso dalla riforma costituzionale del 2020 a popolo costitutivo dello stato (“gosudarstvoobrazujuščij narod” (10), e la natura multietnica della Russia (polemica contro il “ nazionalismo dei cavernicoli ” (11). Molti hanno criticato questo ventennio, e tuttavia è stato forse uno dei periodi più felici vissuti dalla Russia, una sintesi accettabile fra necessità e aspirazione.

Quando, nei sotterranei del Cremlino, si è sentito nuovamente agitarsi lo spettro dell’ Impero? Quando, dietro alla sagoma del Presidente, ha iniziato a stagliarsi l’ombra dello zar? La ricerca delle origini remote più spingersi assai indietro. Già Kozyrev, lasciando il ministero degli Esteri nel 1996, doveva prendere atto del fallimento della sua politica filo-occidentale notando che la Russia era “condannata a esistere come grande potenza”. Nel 2004 lo stesso Giulietto Chiesa formulava una fosca previsione: “Siamo, di nuovo, in uno dei ricorsi storici che la Russia sembra incapace di evitare, di fronte a un leader che costruisce le sbarre
della propria prigione, quelle in cui, da sovrano assoluto, dovrà rinchiudere prima di tutto le proprie ambizioni. Poi la Russia. Su queste basi la prognosi non può che essere infausta” (12). E tuttavia molti commentatori (fra cui, modestamente, chi scrive) confidavano nel realismo e nell’equilibrio mostrato ripetutamente da Putin, dal pragmatismo di una classe dirigente che aveva già vissuto sulla propria pelle il fallimento di un sogno imperiale. Così Fedor Lukyanov, ancora nel 2014: “Reversibilità non vuol dire ritorno al passato, bensì la possibilità di tornare sul propri passi per tentare di correggere gli errori degli ultimi anni, impostando un nuovo corso”(13).

Ancora Putin, non più tardi del 30 gennaio 2021: “È inutile restaurare l’Unione Sovietica. È impossibile e inutile per una serie di ragioni. E persino inopportuno, tenendo conto dei processi demografici in alcune repubbliche dell’ex Urss.”. Una mossa simile, diceva il
Presidente, provocherebbe “problemi sociali impossibili da risolvere e persino l’erosione del nucleo etnico di formazione dello stato”. Dipanare tutti i fili della vicenda che ha portato il Presidente con un passato da politico liberale a divenire lo zar conservatore posseduto dallo spirito dell’impero è impossibile. Vorrei seguirne solo uno. Il consigliere, l’ideologo, l’intellettuale più fosco, inquietante e insieme intrigante, Vladislav Surkov. L’ architetto della “democrazia sovrana”, il padre delle Repubbliche secessioniste. Dimesso da ogni
incarico il 18 febbraio 2020, le sue uscite tradiscono il livore per essere stato escluso dal gioco grosso ma scandiscono anche la svolta imperiale del Cremlino. Per limitarci agli ultimi passaggi. L’ 11 febbraio 2019  sollecita l’archiviazione di ogni velleità pluralista nella società: “In sostanza, la società si fida solo del leader. Non si sa se si tratta dell’orgoglio di un popolo mai sottomesso, o di un desiderio di accorciare le vie che portano alla verità o di qualcos’altro, ma questo è un dato di fatto e questo fatto non è una novità. Di nuovo c’è che lo Stato non lo ignora, ma ne tiene conto e lo prende in considerazione nelle sue iniziative”.  Il 20 giugno 2021 rilascia un’ intervista al Financial Times, che viene titolata (per una volta senza forzature) “Un’overdose di libertà è letale allo Stato”. Ecco l’esordio: “Ci sono
due opzioni. La prima è anglosassone: ti do il menu, tu scegli quel che vuoi. La seconda è russa. Non c’è scelta. Il capo decide per te, perché sa quel che vuoi meglio di te. Preferisco l’opzione russa” (15).

Ed eccoci a martedi scorso, al pezzo “Il futuro nebbioso di una pace vergognosa” in cui il nostro spiega che la Russia non può ridursi ai confini del 1918: “Siamo per la pace. Assolutamente. Ma per una pace giusta, non per una vergognosa” (16). Intendiamoci: non vogliamo attribuire alle parole di Surkov un valore politico intrinseco, ma solo utilizzarle come cartina al tornasole di un processo di restaurazione sotto gli occhi di tutti. Visto che la Russia interagisce in un ambiente internazionale, il processo, ovviamente, aveva altre varianti
importanti: l’Ucraina e le potenze occidentali. Se l’ Ucraina fosse stata un esperimento di successo, se fosse riuscita a evolvere in maniera ordinata ed equilibrata in Stato nazionale, questo avrebbe fornito alla Russia e alla sua auto percezione come nazione un contributo inestimabile. Purtroppo l’Ucraina è un esperimento fallito sotto sia sotto il profilo politico che sotto quello economico (17). La fragilità della cornice istituzionale e la sua spaccatura etnico culturale l’hanno resa strumento nelle mani degli antagonisti occidentali della Russia.

Quanto a questi, basterà dire che i tragici fatti di oggi non possono cancellare la sostanziale fondatezza di tutte le recriminazioni storiche di Mosca. I Paesi europei hanno dissipato l’immenso capitale di fiducia di cui godevano nella Russia degli anni Novanta, dimostrandosi per l’ennesima volta incapaci di rapportarsi con l’altro mettendo in gioco il proprio sistema valoriale e coinvolgendolo in un sistema di relazioni comune. Travagliati dalla propria crisi, hanno continuato a proiettare sulla Russia l’immagine delle proprie allucinazioni e dei propri timori come fanno, con esiti sistematicamente tragici, da 300 anni (18). Di questa irresolutezza si sono avvantaggiati gli Stati Uniti e i Britannici, che hanno gestito l’intera crisi con fredda lucidità, ottenendo il doppio risultato di imporre all’avversario russo una scelta che (comunque vada) avrà effetti disastrosi e di stringere il controllo sugli “alleati”. La cruda realtà dei fatti è data dalla consonanza delle analisi degli avversari: Biden (20 gennaio) “La mia ipotesi è che si muoverà. Deve fare qualcosa.”. Putin (ieri): “Ci sottoponevano a un tale rischio da mettere a repentaglio la sopravvivenza stessa del Paese.”

Quindi, Impero (sempre che l’invasione venga portata a termine con successo e non si risolva invece in un non impossibile scacco): ovviamente non nella forma zarista o sovietica, ma con una tecnologia politica più moderna, come lo Stato Riunito. Stiamo parlando, in ogni caso, di una formula passiva per la Russia, ovvero di un rapporto che (come e più di quello con la Bielorussia, il Caucaso, la Crimea, il Donbass) richiede un impegno economico e militare al già provato Stato russo. Una reincarnazione dell’ideale imperiale che rischia seriamente di essere fatale non solo all’Ucraina, ma alla Russia medesima, la cui situazione economico politica è ben nota.

Dopo la crescita esuberante del primo decennio del secolo tre grosse crisi (2011, 2014, 2020, seguite da recuperi lenti, tranne l’ultimo) lasciano il Paese vulnerabile alle nuove sanzioni che sicuramente verranno imposte. Sino ad ora gli sforzi delle autorità per colmare gli handicap storici (dipendenza dall’ export di materie prime, scarsa innovazione e produttività, bassi livelli salariali) hanno prodotto risultati solo parziali. Le recenti spinte inflattive
alimentano nella popolazione una insoddisfazione diffusa, che una guerra che si preannuncia costosa, sanguinosa e tutt’ altro che popolare non mancherà di alimentare.  Anche le istituzioni sono un cantiere aperto, con il cruciale problema dell’avvicendamento al vertice che non solo non è stato risolto ma nemmeno impostato. Il fantasma dell’impero vuole possedere il corpo dello Stato russo, un corpo che non ha più le enormi riserve demografiche ed economiche necessarie per sostenere di nuovo l’utopia di un ideale universale.

Allo scorso Forum Economico di San Pietroburgo, riferendosi agli Stati Uniti, Putin ha detto: “Sapete qual è il problema? Ve lo dirò da ex cittadino dell’ex Unione Sovietica. Qual è il problema degli imperi? Pensano di essere così potenti da potersi permettere piccoli errori. Questi ce li compriamo, questi li spaventiamo… con questi ci metteremo d’accordo, a questi daremo delle perline, questi altri li minacceremo con navi da guerra. E risolveremo i problemi. Ma il numero dei problemi cresce, e arriva un momento in cui non è più possibile affrontarli. Gli Stati Uniti, con passo fermo e risoluto e andatura sicura, marciano dritti sulla via
battuta dall’ Urss.”. È vero: solo la storia potrà rivelarci il destino dell’impero che vuole nascere. Ma l’oroscopo della sua levatrice sembra infausto.

di Marco Bordoni

fondatore e curatore del canale Telegram La mia Russia

1) A. Toynbee, Storia Comparata delle Civiltà, I, Newton Compton, 1974, 319 segg.
2) G. Codevilla, Il medioevo russo, Jaca Book, 2016, 125 segg.
3) Storia della Tiara Bianca, Sellerio, 2000 “se a Roma la grazia e la gloria furono tolti, allo stesso modo anche dalla Città Imperiale la grazia dello Spirito Santo si allontanerà durante l’ asservimento agareno, ed ogni casa sacra da Dio sarà consegnata alla grande terra di Rus’” pag. 67.
4) Viene citato, qui, Brijanchaninov, G. Codevilla, Il medioevo russo, Jaca Book, 2016, 123.
5) G. VernadskY Le origini della Russia, Universale Sansoni, 1965, 38
6) A. Kappeler, La Russia, storia di un impero multietnico, Edizioni Lavoro, 2001, 32
7) A. Kappeler, La Russia, storia di un impero multietnico, Edizioni Lavoro, 2001, 146
8) F. Benvenuti, La Russia dopo l’ URSS, Carocci, 2007, 114
9) G. Chiesa, Russia addio, Editori Riuniti, 1997
10) C. Filippini, Forum di Quaderni Costituzionali, 2020, II, 898
11) Si veda V. Putin, Rossija: Nazionalnij Vopros, Nezavisimaja, 23 gennaio 2012, tr. It. Russia: la questione nazionale, http://sakeritalia.it/sfera-di-civilta-russa/russia-la-questione-nazionale/
12) G. Chiesa, Perchè Putin fallirà, in Limes, 6/2004, 58
13) F. Lukyanov, Ritorno alle origini, in Limes, 12/2014, 95+ù
14) V. Surkov, Dolgoe Gosudarstvo Putin, in Nezavisimaja, 11 febbraio 2019, in Italiano, V. Surkov, Lo stato duraturo di Putin, http://sakeritalia.it/sfera-di-civilta-russa/vladislav-surkov-lo-stato-duraturo-di-putin-in-merito-a-cio-che-sta-succedendo-qui-da-noi/?fbclid=IwAR3IrZw6JdxGDT-UqqoyrjD9YfG3_qsLK5twJ4YRwnz-PfHuZJsJ5vicJas
15) V. Surkov, An overdose of freedom il lethal to a state, in Financial Times, 18 giugno 2021;
16) V. Surkov, Tumannoe Budushee Pohabnovo Mira, in Atkualnoe Kommentarij, 22 febbraio 2022;
17) S. Teti, M. Carta, Attacco all’Ucraina, Sandro Teti Editori, 2015, 43
18) D. Groth, La Russia e l’ autoscienza d’ Europa, Einaudi, 1989

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2 Comments

  1. Salvatore Penzone Salvatore Penzone 25 Febbraio 2022

    Tutti i tentativi sul piano diplomatico sono stati fatti, con la serietà e professionalità che caratterizza il procedere della Russia nelle questioni internazionali. Tale approccio resta lucido anche con la NATO nonostante siano posti soprattutto e inevitabilmente nei termini di rapporti di forza, il ché dimostra come il fantasma di cui si parla non incombe perché non toglie lucidità all’azione politica e quindi diplomatica. Putin e il suo entourage si sono anche in quest’ultima circostanza su un binario di realismo e professionalità. Realismo che viene confermato dalla stessa citazione che fa Marco Bordoni del discorso di Putin a proposito del comportamento che adottano gli Imperi. Non dico che il fantasma dell’impero non sia alimentato dentro la Russia da personaggi alla Surkov ma non ci sono elementi per collocare in questo quadro la decisione di intervenire in Ucraina, dato oltretutto che non credo ci sia nessuna intenzione di restarci.

  2. Salvatore Penzone Salvatore Penzone 26 Febbraio 2022

    Tutti i tentativi sul piano diplomatico sono stati fatti, con la serietà e la professionalità che caratterizza il procedere della Russia nelle questioni internazionali. Un approccio lucido nonostante che i rapporti con la NATO siano posti soprattutto e inevitabilmente nei termini di rapporti di forza, il ché dimostra come il fantasma di cui si parla non incombe perché non toglie lucidità all’azione politica e diplomatica. Putin e il suo entourage si sono mossi, anche in quest’ultima circostanza, su un binario di realismo e professionalità. Realismo che viene confermato dalla stessa citazione che fa Marco Bordoni del discorso di Putin a proposito del comportamento che adottano gli Imperi. Non dico che il fantasma dell’impero non sia alimentato dentro la Russia da personaggi alla Surkov ma non ci sono elementi per collocare in questo quadro la decisione di intervenire in Ucraina, dato oltretutto che non credo ci sia nessuna intenzione di restarci.

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