Dunque, il trucchetto immaginato dal cancelliere tedesco Olaf Scholz sarebbe dovuto funzionare così: bilancio per il 2023 in apparenza legato a un passivo massimo dello 0,35%, come da obbligo costituzionale. Spendendo però a lato, fuori dal bilancio, 60 miliardi per il clima e 200 miliardi per stabilizzare i costi dell’energia. La Corte Costituzionale tedesca ha dato un’occhiata, si è fatta una risata e ha rispedito il tutto al mittente, cioè allo stesso Scholz. Che non ha avuto scelta: ha dovuto abolire il blocco del debito statale per il 2023 e far capire che facilmente lo si dovrà fare anche nel 2024. Bilancio in questo modo approvabile ma reputazione di Scholz (che fu ministro delle Finanze con Angela Merkel) e della sua coalizione di Governo nel baratro.
Vale la pena di raccontare la vicenda non tanto per Scholz, figura indubbiamente di secondo piano, ma per ciò che ha portato alla necessità di stanziare 200 miliardi, mica bruscolini, per intervenire sul mercato dell’energia, in Germania persino più che altrove devastato dalla decisione di rinunciare al gas russo. Una decisione politica, che in quanto tale può essere pure capita: la Russia ha invaso l’Ucraina, è un atto che mette a rischio anche l’Europa, rinunciamo al suo gas per punirla e ridurre la ricchezza che può spendere nella guerra. Se il ragionamento fosse stato quello, ripeto lo si sarebbe potuto accettare. Chi non fosse stato d’accordo avrebbe potuto poi farsi sentire alle elezioni, come infatti sta succedendo in tutta l’Europa dove si va a votare. Patti chiari e amicizia lunga.
Ma solo gli sprovveduti possono dimenticare gli anni in cui la propaganda e i media compiacenti ci hanno martellato con l’idea che comprare tanto gas dalla Russia era una forma di servitù, una sudditanza politica che ci metteva a rischio. Tutte frottole. Comprare tanto gas dalla Russia per tanti anni (l’Europa ha cominciato a importarlo già all’inizio degli anni Sessanta) a un buon prezzo e con forniture sicure (due sole crisi, di breve durata: nel 2005 e nel 2008) è stata una delle più grandi fortune dell’economia europea. Infatti che cos’è successo dopo l’invasione russa del 24 febbraio 2022?
La “servitù”, che a quanto pare non era così ferrea, è scomparsa. Ma ancor più scomparso è il vantaggio economico. Il gas è arrivato a costare anche 14 volte più di prima dell’invasione (poi il prezzo è calato, per fortuna) e l’Europa, dal primo trimestre 2023, è entrata in recessione tecnica, con, spiegano gli esperti, “una contrazione dell’economia del -0,1%, spinta al ribasso in particolare dalla Germania”. La Germania di Scholz, quella che si è fatta distruggere i gasdotti Nord Stream senza dire una parola. La Germania che una volta, prima di Scholz, era il motore più potente dell’economia europea.
Nel frattempo le esportazioni di gas naturale liquefatto dagli USA alla UE e alla Gran Bretagna sono aumentate del 12%, e dovrebbero crescere ancora fino a raggiungere i 50 miliardi di metri cubi entro il 2030. Il 71% di tutte le esportazioni USA di gas GNL oggi è diretto a quelle due destinazioni. Vista così, la situazione porterebbe a concludere che se prima subivamo una “servitù” rispetto al gas naturale russo, ora ne subiamo una quasi analoga rispetto al GNL americano. Ma sono cose che non si possono dire, pena la definizione immediata di “putiniano”.
Lettera da Mosca
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