Anche a distanza di tanti anni, La prevalenza del cretino, l’immortale breviario che Fruttero e Lucentini pubblicarono nel 1985, resta una guida sicura per orientarsi nelle cose del mondo. Ancor più quando si tratta di libri e di intellettuali. La vicenda si svolge negli Usa. Masha Gessen, 56 anni, è un’intellettuale di passaporto russo e statunitense, nata a Mosca in una famiglia ebraica trasferitasi negli Usa all’inizio degli anni Sessanta. Lei ha lavorato a lungo in Russia come giornalista e, anche, come attivista dei diritti LGBT. Ha scritto libri sulla Russia, tutti ispirati a una critica radicale di Vladimir Putin e del putinismo. Siede anche nel consiglio direttivo del Pen America, notissima organizzazione per la difesa della cultura e della libertà di espressione, da cui però ieri si è dimessa.
Posts published in “Società”
La Duma della Federazione Russa ha approvato gli emendamenti al Codice penale che introducono l’ergastolo per tradimento. La nuova versione della legge (finora la pena massima per tradimento era di 20 anni di carcere) è entrata in vigore dopo che il presidente Putin ha controfirmato il provvedimento. Secondo la normativa vigente, il tradimento non è solo spionaggio per conto di uno Stato estero, ma anche “la prestazione di assistenza finanziaria, logistica, di consulenza o di altra natura a uno Stato estero, a un’organizzazione internazionale o straniera, o ai loro rappresentanti in attività dirette contro la sicurezza della Federazione Russa”. La formulazione vaga della legge ha portato a un’ampia interpretazione del concetto di tradimento. Ad esempio, nel 2014, l’ingegnere radiofonico Gennady Kravtsov, che lavorava nel GRU (il servizio di intelligence militare, n.d.r.), è stato condannato a 14 anni di carcere solo per aver inviato il suo curriculum a società straniere.
Che ne parlino coloro che detestano la Russia, non stupisce. Però diciamoci la verità: sono quelli che amano la Russia che dovrebbero più parlare e indignarsi per la chiusura del Centro Sakharov di Mosca, fondato nel 1996 dalla moglie Elena Bonner per onorare la memoria, e proseguire le attività, del marito Andrey Sakharov, il fisico che aveva partecipato alle sperimentazioni delle prime bombe atomiche sovietiche, poi era passato a contestare il nucleare per scopi bellici e infine, negli anni Settanta, aveva fondato il Comitato per i diritti civili che difendeva il diritto alla libertà di parola dei dissidenti e, più in generale, dei critici del regime sovietico. La chiusura del Centro avviene in base alle nuove disposizioni della legge sugli “agenti stranieri”, emendata nel dicembre scorso: è vietato a tali “agenti” ottenere in uso edifici di proprietà pubblica. Così il Comune di Mosca, proprietario dello stabile in Zemlyanoj Val che ospita il Centro e il Museo Sakharov, ha dato lo sfratto. Che ciò sia accaduto il 24 febbraio, anniversario dell’invasione russa dell’Ucraina, è uno sfortunato ma lugubre caso.
Evgenyj Prigozhin, il padre-padrone del Gruppo Wagner, il temibile esercito mercenario tanto impiegato dal Cremlino, l’ha consacrato in un video, definendolo come “l’uomo che ha conquistato Soledar”. È ovvio, Prigozhin pubblicizza i suoi uomini per pubblicizzare se stesso ed enfatizzare il ruolo della Wagner. Sulla questione di Soledar, poi, non ha esitato a polemizzare (e non era la prima volta) con il ministero della Difesa, che si sforzava invano di sottolineare anche i meriti delle truppe russe regolari. I giornalisti russi non hanno speso troppo tempo per identificare il soldato in questione: si tratta di Anton Olegovich Elizarov, classe 1981, diplomato (nel 2003) all’Accademia per ufficiali paracadutisti di Ryazan e a lungo in servizio nella guarnigione di Novorossisk .
Secondo fonti del Governo della Georgia, sono già 80 mila i russi, bielorussi e ucraini che vivono nel Paese, che ha in totale 4 milioni di abitanti. I russi arrivati dalla fine di febbraio, cioè dall’inizio dell’invasione dell’Ucraina, sarebbero circa 30 mila. Degli 80 mila recenti immigrati, circa 20-25 mila sarebbero specialisti del settore informatico, parte del flusso che porta migliaia e migliaia di programmatori e tecnici a riversarsi in Paesi come Armenia, Kazakhstan, Turchia, Emirati Arabi Uniti e Israele. Il fenomeno non è sfuggito agli Usa, che cercano di attrarli rendendo meno difficili le procedure per l’ottenimento del visto.
di Pietro Pinter Nessuna dichiarazione di guerra all’Ucraina, nessuna mobilitazione generale, nessuna richiesta di aiuto agli alleati del CSTO; nulla di ciò che l’intelligence NATO aveva paventato, o che uno dei più controversi analisti russi – noto per il suo pessimismo – aveva auspicato. Non si può certo dire però che questo sia stato un Giorno della Vittoria ordinario, in Russia e nell’ex Unione Sovietica. Se non altro a causa di alcune illustri assenze. In primis quella dell’aviazione, a causa del “brutto tempo”, nonostante una splendida giornata di sole a Mosca. Il timore dei russi era evidentemente che un azione di sabotaggio – sarebbero bastati un paio di uomini con uno Stinger – avrebbe causato uno spettacolare incidente davanti agli occhi di tutto il mondo. Dal punto di vista morale e propagandistico sarebbe stata un’umiliazione senza precedenti per la Russia, e non si è voluto correre il rischio. Un timore, quello per possibili atti di sabotaggio, corroborato anche dalle minacce al Ponte di Crimea o di Kerch, aperto in pompa magna da Putin stesso nel 2018, con tanto di countdown online per la sua distruzione prevista proprio per il 9 maggio.
di Pietro Pinter La presenza ai vertici politici – nella fattispecie al ministero della Difesa, con Sergey Shoigu e alla vicepresidenza della Duma con Sholban Kara Ooh – di due nativi della piccola Repubblica di Tuva, uno dei soggetti federali più poveri della Federazione Russa, ci porta a fare alcune considerazioni sul ruolo delle minoranze etniche nell’architettura dello Stato russo. L’impero russo è notevolmente ridotto rispetto ai fasti zaristi e sovietici. Sembrano ormai lontani, anche se non lo sono, i tempi in cui l’Asia Centrale, i Paesi baltici, l’Europa orientale e il Caucaso facevano parte di un’unica entità politica, con centro a Mosca, imperniata sull’heartland e sul popolo russi.
di Andrei Kolesnikov Una delle domande più frequenti nelle ultime settimane, nonostante un leggero allentamento delle tensioni sulla scia della videochiamata tra Joe Biden e Vladimir Putin, è stata: la Russia attaccherà l’Ucraina? Ma come risponderebbero i cittadini russi a una guerra con la vicina Ucraina? La nostra ricerca del 2015 (I russi vogliono la guerra?) – aveva mostrato che c’è poco entusiasmo per una guerra “reale” su larga scala tra i membri della moderna società urbana russa (le operazioni militari del Paese in Siria e nell’Ucraina orientale negli ultimi anni non sono state viste come vere guerre). L’azione militare nel Donbas nel 2014, avvenuta sullo sfondo della presa trionfale della Crimea, è stata vista molto positivamente dal pubblico russo. Non appena però è apparso chiaro che il Donbas era un’operazione diversa dalla Crimea (molto più sanguinosa e distruttiva), l’opinione pubblica si è messa sulla difensiva: “La Russia non c’entra niente, la colpa è degli Stati Uniti e dell’Ucraina per tutte le perdite di vite umane, e in ogni caso non è in corso una vera guerra”.