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MA IVAN IVANOVIC VUOLE LA GUERRA?

di Andrei Kolesnikov       Una delle domande più frequenti nelle ultime settimane, nonostante un leggero allentamento delle tensioni sulla scia della videochiamata tra Joe Biden e Vladimir Putin, è stata: la Russia attaccherà l’Ucraina? Ma come risponderebbero i cittadini russi a una guerra con la vicina Ucraina? La nostra ricerca del 2015 (I russi vogliono la guerra?) – aveva mostrato che c’è poco entusiasmo per una guerra “reale” su larga scala tra i membri della moderna società urbana russa (le operazioni militari del Paese in Siria e nell’Ucraina orientale negli ultimi anni non sono state viste come vere guerre). L’azione militare nel Donbas nel 2014, avvenuta sullo sfondo della presa trionfale della Crimea, è stata vista molto positivamente dal pubblico russo. Non appena però è apparso chiaro che il Donbas era un’operazione diversa dalla Crimea (molto più sanguinosa e distruttiva), l’opinione pubblica si è messa sulla difensiva: “La Russia non c’entra niente, la colpa è degli Stati Uniti e dell’Ucraina per tutte le perdite di vite umane, e in ogni caso non è in corso una vera guerra”.

Oggi domina un sentimento molto simile: un recente sondaggio ha mostrato che il 50% degli intervistati incolpa gli Stati Uniti e la NATO per il peggioramento della situazione in Ucraina (il 16% incolpa la stessa Ucraina). Solo il 4% considera la Russia responsabile dell’escalation delle tensioni. Per alcuni anni, l’impennata patriottica senza precedenti del 2014 è servita come compensazione simbolica per i problemi socioeconomici che erano già iniziati. I russi hanno sfruttato le minacce reali e immaginarie che sono state loro fornite e generalmente hanno valutato l’azione militare come giustificata, difensiva e/o preventiva. Queste guerre si svolgevano in sottofondo: i servizi televisivi non si soffermavano sulla realtà brutale e sanguinosa del conflitto armato. Allo stesso tempo, la militarizzazione della retorica ufficiale e la crescente autorità dell’esercito, che ha superato la Presidenza in un elenco delle istituzioni più affidabili nel 2020, hanno rafforzato il cosiddetto “consenso della Crimea”.

I parametri sociologici hanno iniziato a cambiare nel 2018, con la dissipazione dell’effetto “stringiamoci alla bandiera”. Se nel 2014 il 26% degli intervistati affermava che “la Russia era circondata da nemici da tutte le parti”, tale opinione era condivisa solo dal 16% nel 2020. Il numero di russi che credeva fosse inutile cercare nemici perché “la radice di tutti i mali sono stati gli errori della stessa Russia” è passato dal 17% al 25% nello stesso periodo. Il “consenso della Crimea” e la potenza simbolica delle istituzioni statali sono rimasti, ma hanno perso il loro potere di mobilitazione. La guerra aveva iniziato a spaventare le persone.

Il russo medio è stanco di auto-ingannarsi e di raccontarsi che se una guerra dovesse scoppiare, non avrebbe ripercussioni sulle sua vita o su quelle dei suoi familiari. I russi conformisti sono, ovviamente, persone per tradizione bellicose, ma la loro è la bellicosità dei talk show televisivi o il linguaggio dell’odio online. Nessun conformista vuole una guerra su larga scala: la coscrizione non fa parte del contratto sociale, soprattutto in un momento di accelerazione dell’inflazione e di stagnazione economica.

La propaganda di Stato ha abusato dei suoi poteri di mobilitazione. Invece della mobilitazione, ha creato la paura della guerra mondiale. Alla fine del 2018, il 56% degli intervistati a un sondaggio del Levada Center sosteneva che esisteva una significativa minaccia militare proveniente da altri Paesi. Quest’anno, la paura di una guerra mondiale è aumentata drammaticamente, raggiungendo un solido secondo posto in un elenco del Levada Center dei principali problemi che preoccupano i russi. Gli altri timori che sono sorti parallelamente a quello della guerra sono quelli di un regime politico sempre più duro, della repressione di massa e di un governo arbitrario: la svolta autoritaria della politica russa non è passata inosservata.

È sintomatico che il peggioramento dell’umore pubblico sia andato di pari passo con un calo o un ristagno degli indici di gradimento del Presidente e delle autorità in generale. Il 2018 è stato un momento cruciale in questo processo. In larga misura, è stata la mossa di alzare l’età pensionabile a distruggere il classico contratto sociale dell’era Putin: “Tu provvedi a noi, lasci perdere le elemosine sociali in stile sovietico, e noi voteremo per te”. Un alto livello di sostegno a Putin nelle elezioni presidenziali del 2018 è stato erroneamente interpretato dalle autorità come vero merito politico, piuttosto che indifferenza e fiducia per lo più simbolica. La pandemia ha solo confermato questa biforcazione nei confronti delle autorità: sosteniamo i simboli – la bandiera, l’inno nazionale e Putin come rappresentazione della nostra forza geopolitica – ma non ci fidiamo di iniziative specifiche e delle azioni del Governo a vari livelli politici. Questa sorta di muta insoddisfazione è emersa durante le elezioni parlamentari del 2021, quando la gente ha votato per il Partito Comunista come alternativa astratta alle attuali autorità.

C’è un ultimo aspetto di questo problema. Quando si parla di guerra, si intende principalmente un conflitto con l’Ucraina (anche se coinvolgerebbe la NATO, gli Stati Uniti e l’Occidente). Naturalmente, se scoppia la guerra, la propaganda convincerà la maggior parte dei russi che è necessaria e che stiamo, in effetti, “liberando” i nostri fratelli ucraini da un Governo estraneo (anche se gli ucraini hanno scelto loro stessi quel Governo in libere elezioni). Tutto ciò accadrà nonostante il fatto che nel 2021 il 23% dei russi abbia detto che Russia e Ucraina devono essere buoni vicini ma avere confini propri. Solo il 17% degli intervistati ha sostenuto un’unificazione dei due Stati.

Pr dirla in poche parole, prima di lanciare un’offensiva vale la pena pensare a chi dovrà combatterla e quanto volentieri, e fino a che punto un conflitto attivo spingerà le persone a radunarsi intorno a Putin. L’evidenza suggerisce che anche nel migliore dei casi l’effetto di mobilitazione sarà inesistente.

di Andrei Kolesnikov

Pubblicato da Carnegie Moscow Center

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2 Comments

  1. carlo geneletti carlo geneletti 6 Gennaio 2022

    Non mi convince, per diverse ragioni. I russi conformisti che sono “naturalmente” bellicosi mi suona come un commento razzista. La mobilitazione intorno alla bandiera è uno strumento di manipolazione politica vecchio come il tempo, non sorprende che ne faccia uso il governo russo. Che il governo russo ne faccia uso per convincere il popolo a sostenerlo in una molto improbabile guerra in Ucraina lo dice solo lui, ma non è un profeta. Ma la parzialità che sottende a tutto questo articolo la rivela una delle ultime frasi, quella in cui dice che il governo ucraino è stato scelto dai suoi cittadini in libere elezioni, quando invece esso è il risultato di un colpo di stato contro — quello sì– un governo legittimo, e dell’esclusione dal patto nazionale delle regioni orientali. La Carnegie Endowment for Democracy è un’istituzione dalle tendenze politiche chiaramente filo-occidentali. Non ce ne se può fidare.

  2. Carlo Geneletti Carlo Geneletti 7 Gennaio 2022

    il mio commento previo è stato cancellato, non so perché, visto che non ho trovato in nessuna parte del sito i criteri di giudizio e il mio commento era rispettoso, perciò ci riprovo. Il tono dell’editoriale è francamente russofobo, a partire dall’affermazione che i russi conservatori sono “naturalmente ” bellicosi, e continuando con affermazioni su cosa il governo russo ha fatto — e cioè giocare sul nazionalismo — per ottenere consenso, cosa che non dovrebbe sorprendere visto che lo fanno tutti i governi, compresi gli USA, la GB e la Francia. Per finire poi con l’affermazione che il governo russo cercherà ancora di usare il nazionalismo quando, eventualmente, invada l’Ucraina, il cui governo, dice Kalesnikov, è stato eletto dai suoi cittadini, dimenticando che invece nasce da un colpo di stato che ha eliminato il legittimo presidente, e dall’esclusione delle regioni orientali filorusse. Il fatto è che la Carnegie Endowment for democracy è finanziata da filo-atlantisti e non ha molto simpatia nei confronti della Russia.

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