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Navalny, di cui mi ricordo solo io

Altre grane per Aleksey Navalny: un Tribunale di Mosca sta preparando un nuovo procedimento per le ripetute affermazioni che lui fece nel gennaio scorso quando, appena rinchiuso nel carcere moscovita di Matrosskaya Tishinà dopo essere rientrato dalla Germania, disse di avere intenzione di evadere. Siamo all’accanimento, ovvio. Quindi, pur avendolo sempre considerato un furbo agitatore assai più bravo nel marketing che nella politica, ora ho voglia di scrivere una cosa a suo favore. Vi prego, niente prediche. Non spiegatemi che Navalnyj viene finanziato dall’estero, lo so. Come so che, senza l’appoggio dei servizi segreti occidentali, certi colpetti come tracciare i telefoni privati degli agenti russi che lo seguivano non sarebbero stati possibili. Detto questo, e detto magari anche altro, non posso che provare compassione. Qualunque cosa si possa pensare di lui, Navalny è uno che ci ha messo la faccia e molto altro: è tornato in Russia sapendo che sarebbe finito in galera, e infatti adesso sconta due anni e mezzo di prigione a Vladimir. Il suo movimento politico è stato disperso, le sue fondazioni costrette a chiudere.

Navalny è finito tra l’incudine e il martello. L’incudine è il progetto di stabilizzazione interna che Vladimir Putin persegue da quando ha capito che l’insoddisfazione, in Russia, è forte, e che il suo partito, Russia Unita, alle elezioni politiche di settembre potrebbe subire un rovescio storico, o almeno perdere la maggioranza assoluta dei seggi in Parlamento che detiene da sempre. Giuseppe Gagliano ha ben descritto, qui su Lettera da Mosca, tale progetto: eliminare l’opposizione “antisistema” (di cui Navalny era diventato il simbolo) e organizzare quella “di sistema”, in modo da garantire una sostanziale continuità alla gestione del Paese. Almeno fino a quel 2024, scadenza del mandato presidenziale di Putin, che rappresenta le colonne d’Ercole dell’attuale politica russa.

Quando si parla di insoddisfazione, ovviamente, non si parla delle manifestazioni pro-Navalny che si presero tutta l’attenzione nell’inverno scorso. Clamorose, certo, soprattutto ai nostri occhi occidentali. Ma per la Russia non così significative. Parliamo dello stillicidio di proteste locali (il caso Khabarovsk su tutti) che segnalano una crescente distonia tra il centro e la periferia. Della silente ribellione dei governatori e dei funzionari, sottosti a epurazioni ormai quasi continue. Delle inefficienze mai riparate, come la confusione dei dati sul Covid-19, che le regioni “aggiustano” secondo le necessità della politica locale prima di spedirli a Mosca, dimostra. Del mugugno del signor Ivanov, che delle campagne di Navalny bellamente se ne infischia ma tiene d’occhio il calo del potere d’acquisto e la crescita dell’inflazione (al 5,9 quest’anno, parola dello stesso Putin). Ivanov non sfila in corteo, non vuole la rivoluzione, ma fa la lista della spesa e ha la memoria lunga. A tutto questo Putin risponde tirando le redini al Paese. Anche la lunga serie di norme e leggi approvate per limitare il dissenso e la critica e canalizzarlo, appunto, entro gli argini tracciati dal potere costituito, risponde all’esigenza di non lasciare spazi a chi vorrebbe mettere in discussione l’assioma “meglio la stabilità che il rischio”.

Il martello, per Navalny, è stata invece l’attenzione dei media occidentali, ben spinti dai relativi poteri politici. Ci avete fatto caso? Di Navalny non parla più nessuno. Prima le comari libertarie, imbeccate dall’ottimo ufficio stampa della Fondazione per la lotta alla corruzione e pompate dai portavoce, strillavano un giorno sì e uno no, su giornali e Tv, che nel carcere di Vladimir lo stavano uccidendo. Era l’epoca in cui gli Usa premevano sulla Russia, il momento del “Putin assassino”. Era inutile far presente l’ovvio, e cioè che in nessun modo il sistema carcerario russo avrebbe lasciato morire il dissidente più famoso e coccolato del mondo. Ma… Navalny muore: lo dicevano anche illustri politici. Poi il povero Navalny fu trasferito in ospedale e visitato da medici di sua scelta. Decise di interrompere lo sciopero della fame e di colpo smise di morire. Di colpo, anche, tutti smisero di interessarsi a lui. Perché? Perché non era morto? Non avrà avuto a che fare, questo cambio di paradigma, con il fatto che gli Usa si erano rimessi a parlare con la Russia? Che l’Ucraina non era più in procinto di entrare nella Nato? Che il gasdotto Nord Stream 2 si poteva costruire? Che, in buona sostanza, descrivere il potere di Putin come traballante e la società russa in marcia verso i valori delle liberal-democrazie non serviva più?

Quindi, un abbraccio forte a Navalny. Alla fin fine, Putin l’ha stroncato ma l’ha anche trattato, da nemico, con un certo rispetto, usando contro di lui armi degne di un avversario temibile. È l’usa e getta di noi occidentali che Navalny non si meritava.

Fulvio Scaglione

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