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ECONOMIA RUSSA: STABILITA’ CONTRO CRESCITA

di Elizaveta Bazanova     Da più di dieci anni, ormai, l’economia russa è in stagnazione: il tasso di crescita medio non supera l’1% all’anno, il divario dai Paesi sviluppati aumenta, i Paesi in via di sviluppo la stanno superando. Anche nell’epoca dello zastoy, cioè  gli anni Ottanta del secolo scorso, l’economia della Russia cresceva più velocemente, circa l’1,6% l’anno. Scegliendo la “stabilità”, un modello di crescita redistributivo e l’isolazionismo, la Russia va incontro a grandi rischi, avvertono gli economisti nel rapporto Stagnation-2: Implications, Risks and Alternatives for the Russian Economy della Liberal Mission Foundation e offrono le loro opzioni per superare un decennio di stagnazione. Ma, “a quanto pare, le autorità non hanno una reale richiesta di accelerare la crescita economica, se per richiesta non intendiamo il vago desiderio di avere qualcosa ma la disponibilità a “pagare” per averlo”, scrive Yevsey Gurvich, capo del gruppo di esperti: le autorità non sono pronte ad assumersi rischi, “e la massima priorità è la minimizzazione dei rischi macroeconomici come potenziale fonte di destabilizzazione generale”.

Nel periodo 2009–2019 in media, l’economia russa è cresciuta dell’1% e nel 2014–2019 è cresciuta solo dello 0,8%. Questo è molto meno che nei Paesi con un analogo livello di sviluppo. Pertanto, i Paesi con un reddito superiore alla media sono cresciuti del 4,6% in undici anni e del 4% in cinque anni. La Russia è cresciuta più lentamente persino dei Paesi sviluppati. In termini di PIL pro capite, calcolato a parità di potere d’acquisto, per dieci anni la Russia ha superato sei Paesi, tra cui Lituania, Panama, Romania e Seychelles. Il partner commerciale più vicino della Russia, il Kazakistan, l’ha quasi raggiunta.

Mentre le autorità si sono concentrate sul mantenimento della stabilità, l’economia russa è finita in una trappola dopo l’altra. All’inizio si sono alternati periodi di declino ad altri di bassa crescita, e ad ogni nuova fase di questo ciclo le risorse sono diminuite. Dopo di che il Paese si è finito nella “trappola del reddito medio”: le fonti di crescita pre-crisi – base di partenza bassa, capacità sottoutilizzate, rapido aumento dei prezzi del petrolio – erano esaurite già all’inizio della crisi del 2008. Non hanno più aiutato l’economia russa a crescere ma, al contrario, hanno cominciato a rallentarla. La ripresa post-crisi si è conclusa nel 2012, e anche allora sarebbe stato necessario un nuovo modello di crescita, ricorda Sergey Gurev,  professore di Science Po. Ma al posto di elaborarlo, come osserva Natalia Orlova, capo economista di Alfa Bank, le autorità sono passate alla ridistribuzione delle risorse:

  • ridistribuzione a favore delle esportazioni: mentre l’economia cresce lentamente e si riducono gli investimenti, le esportazioni continuano a crescere;
  • ridistribuzione dei redditi della popolazione: diminuiscono i redditi da attività imprenditoriale e da proprietà, mentre crescono i dipendenti delle grandi imprese e del settore pubblico (durante la crisi del 2020 il problema si è solo aggravato);
  • ridistribuzione delle risorse di investimento. Se nel periodo 2000-2011 c’era in media una regione con investimenti in calo contro quindici regioni con investimenti in crescita, dal 2013 il rapporto è diventato una regione in calo contro solo due in crescita.

Da un lato, questo modello è stabile: la quota di profitto nell’economia rimane al livello del 40% e il reddito da lavoro – circa il 47%. Un aumento della quota delle risorse da lavoro non è redditizio per le imprese, così come per gli investimenti esteri: può aumentare il costo del lavoro, sostiene Orlova. Inoltre, livelli più elevati di investimenti, che richiedono maggiori competenze per i lavoratori, potrebbero aumentare la disoccupazione e diventare un problema sociale che il Governo vorrebbe evitare. Di conseguenza, le autorità traggono il massimo reddito dalle esportazioni di materie prime, sulla base di questi redditi formano un cuscinetto finanziario e l’economia russa non cresce. Il rischio principale per la Russia è un aumento graduale del divario nel PIL pro capite – dal 60% al 40-50% del livello dei paesi sviluppati (dati OCSE, a parità di potere d’acquisto), scrive Oleg Itskhoki, docente a Princeton: “Questa è un’enorme perdita di potenziale benessere per la popolazione russa, così come il rischio di non recuperare mai più le occasioni perse”.

Ma l’economia non può rimanere a lungo in questa situazione e la stagnazione, vigente ormai da più di dieci anni, può diventare fonte di grandi problemi sociali ed economici, minacciando la stessa stabilità del Paese. I rischi sono molti:

  • rischio di un calo a lungo termine del prezzo del petrolio e di una riduzione dei ricavi da esportazione di materie prime del 25-30%
  • rischi demografici: diminuzione del numero di lavoratori giovani e istruiti, nonché del numero totale di persone impiegate nell’economia. La sola pandemia (morti aggiuntive e perdita di posti di lavoro di coloro che erano malati di virus) ridurrà il livello del PIL reale nel 2021 dello 0,2-0,9%, stimano gli analisti di ACRA. Allo stesso tempo, l’impronta demografica della pandemia diminuirà solo entro il 2030, ma non scomparirà nemmeno quindici dopo la sua fine, hanno avvertito
  • rischio di “cigni neri”, come ad esempio l’effetto cumulativo delle sanzioni, rischio di nuove crisi, ecc.

Non ci sono soluzioni semplici. L’accelerazione della crescita è un compito politico serio che non può essere risolto né allocando denaro per investimenti statali né allentando la politica monetaria, né utilizzando un “approccio progettuale”. Tali misure possono essere utili, ma non compensano la mancanza di meccanismi di crescita. Il problema economico della Russia non è una scelta ai bivi, scrive Konstantin Sonin, professore dell’università di Chicago, il problema è che non c’è traffico sulla strada dove i bivi potrebbero incontrarsi.

Ci sono due modelli per uscire dalla stagnazione: uno europeo (presenza di istituzioni con accesso ai mercati europei) e uno asiatico (crescita dovuta a esportazioni attive), sottolinea Sonin. Nessuno degli scenari è adatto alla Russia nella sua forma pura, ma è possibile sfruttare il vantaggio geografico della vicinanza sia all’Europa sia all’Asia, nonché la forza lavoro poco costosa ma qualificata. Tuttavia, per questo, è necessario espandere la partecipazione alle catene di valore globali e, soprattutto, passare a una politica di apertura economica, come hanno fatto la Corea del Sud e la Cina. E parallelamente per attuare le riforme:

  • ridurre il settore pubblico
  • abbandonare il sostegno artificiale alle imprese improduttive per mantenere l’occupazione
  • creare le condizioni per una ridistribuzione attiva delle risorse di lavoro
  • attrarre nuove tecnologie e investimenti dall’estero
  • cercare vantaggi comparativi nascosti, come consiglia Itskhoki: ad esempio, fonti di energia alternative.
    In caso contrario, concludono gli autori del rapporto, sarà difficile per l’economia evitare una nuova crisi strutturale ed entrare in una nuova era tecnologica con un maggiore potenziale di sviluppo.

di Elizaveta Bazanova

Pubblicato da VTimes

 

 

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