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Posts tagged as “Navalny”

TRANSIZIONE: LE IPOTESI SUL DOPO PUTIN

di Pietro Pinter      Vladimir Putin in ottobre compirà 70 anni e, anche a prescindere da come finirà la guerra, non sarà Presidente o Primo Ministro per sempre. Le recenti riforme costituzionali gli permetterebbero di farsi rieleggere per altri due mandati, fino al 2036, ma sembra probabile che una transizione avvenga prima di quella data. Guardando all’ultimo secolo e passa della storia russa, è difficile trovare un esempio della transizione di potere che Putin vorrebbe idealmente portare a compimento. Una transizione in cui possa ritirarsi a vita privata o a un ruolo cerimoniale mentre è ancora popolare e in grado di scegliere un successore che porti avanti il suo corso politico. Gli ultimi leader russi, o sono morti in carica – Lenin, Stalin, Brezhnev, Andropov, Chernenko – o sono stati sfiduciati, rovesciati o cacciati – Nicola II, Kruschev, Gorbachov, Eltsin. Il modello più simile a una transizione ideale dal punto di vista del leader è quello di Eltsin, che però si dimise con la fiducia del popolo russo intorno al 2% e probabilmente ebbe poca influenza sugli sviluppi successivi. Putin dovrà quindi costruire un suo modello, sfidando le costanti della storia russa che non sono molto più clementi, se si va indietro nel tempo.

Russia Unita in una Russia meno unita

E insomma, anche questa volta Russia Unita l’ha sfangata e potrà continuare a controllare la Duma.  Diamo un’occhiata ai dati, senza le isterie degli pseudoesperti che, quando si tratta di Russia, spuntano come i funghi. Mica c’è stata tanta differenza, rispetto alle elezioni del 2016. Allora (2016) affluenza al 47,88%, Russia unita al 54,18% e il Partito Comunista al 13,34%. Oggi (con il 99,77% dei voti scrutinati), Russia Unita al 49,84% e i comunisti al 18,95, con l’affluenza intorno al 52%. Chi parla oggi di buona affluenza dimentica che quella del 2016 fu la più bassa della storia, in Russia. E chi sottolinea che Russia Unita è andata in crisi, dimentica quanto contasse nel 2016 l’effetto traino della crisi in Ucraina e Crimea. E trascura il fatto che il 5% guadagnato dal Partito Comunista in questo voto è in gran parte dovuto a un trasferimento di consensi da Russia Unita. Assai più radicale del partito di Putin, per esempio nei rapporti con l’Occidente, quello di Zyuganov rappresenta la contestazione (da destra) istituzionale. Gli scontenti votano Partito Comunista sapendo che, in ogni caso, Zyuganov alla Duma voterà con Putin. E dubito molto, come scrive anche Marco Bordoni nel suo articolo, che il leader dei comunisti metterà a rischio l’attuale buona sorte per trasformarsi in un oppositore vero.

Il voto e l’ossessione di Putin

È noto a tutti che Vladimir Putin non è arrivato in grandissimo spolvero al voto (si tratta di rinnovare i 450 seggi della Duma ed eleggere 12 governatori regionali) che la Russia ha affrontato in questi giorni. Gli indizi del nervosismo del Presidente sono evidenti, dalla misteriosa “vacanza” di quattro giorni trascorsa con il ministro della Difesa Shoigu in una località segreta della Siberia all’autoisolamento deciso dopo che, secondo le informazioni ufficiali, molti membri del suo staff sono risultati affetti da Covid. Curioso sistema di difesa (e il vaccino? e i tamponi? e i controlli?) che fa il paio con la vaccinazione, che Putin fece senza mostrarsi e senza rivelare con quale vaccino. E poi ci sono i segnali di qualche smottamento nella cosiddetta “verticale del potere”, cioè in quella struttura centralizzata di gestione del Paese che è stata forse il più vero e significativo successo di Putin. Prima del voto sono stati innumerevoli gli alti funzionari che, nelle diverse regioni, sono stati silurati con la classica accusa di corruzione. E ci sono personaggi fino a ieri importanti che paiono caduti in profonda disgrazia: per esempio Dmitrij Medvedev, già premier e Presidente, in teoria capo del partito putiniano Russia Unita ma del tutto assente dalla campagna elettorale.

Navalny, di cui mi ricordo solo io

Altre grane per Aleksey Navalny: un Tribunale di Mosca sta preparando un nuovo procedimento per le ripetute affermazioni che lui fece nel gennaio scorso quando, appena rinchiuso nel carcere moscovita di Matrosskaya Tishinà dopo essere rientrato dalla Germania, disse di avere intenzione di evadere. Siamo all’accanimento, ovvio. Quindi, pur avendolo sempre considerato un furbo agitatore assai più bravo nel marketing che nella politica, ora ho voglia di scrivere una cosa a suo favore. Vi prego, niente prediche. Non spiegatemi che Navalnyj viene finanziato dall’estero, lo so. Come so che, senza l’appoggio dei servizi segreti occidentali, certi colpetti come tracciare i telefoni privati degli agenti russi che lo seguivano non sarebbero stati possibili. Detto questo, e detto magari anche altro, non posso che provare compassione. Qualunque cosa si possa pensare di lui, Navalny è uno che ci ha messo la faccia e molto altro: è tornato in Russia sapendo che sarebbe finito in galera, e infatti adesso sconta due anni e mezzo di prigione a Vladimir. Il suo movimento politico è stato disperso, le sue fondazioni costrette a chiudere.

OPPOSIZIONE? LA ORGANIZZA IL CREMLINO

di Giuseppe Gagliano    In Russia un’ondata di repressione si abbatte sulla cosiddetta opposizione non di sistema, termine che designa tutte le organizzazioni che non sono ufficialmente riconosciute come partiti politici e che, di conseguenza, sono tenute fuori dalla competizione elettorale. Alcuni media emblematici dei circoli del dissenso liberale e democratico, molto impegnati contro Vladimir Putin – come la rivista studentesca Doxa o, ancora più emblematico, il canale di notizie online Meduza – si trovano nel mirino della giustizia, sotto l’influenza della legislazione contro l’estremismo (la legge federale volta a “combattere le attività estremiste”, adottata nel 2002, è stata modificata e rafforzata nel 2008 e nel 2015) o quella che disciplina l’attività delle organizzazioni che ricevono finanziamenti esteri. Questa legge, adottata nel 2012 (rafforzata nel 2020 sul modello della legge americana FARA, Foreign Agents Registration Act, 1938), richiede alle ONG che ricevono finanziamenti dall’estero di registrarsi soprattutto su Internet, a rischio di essere soggette a restrizioni della propria attività o di essere multati.

Giù le mani da Olga Misik, per il bene della Russia

Il caso di Olga Misik, 19 anni, condannata a due anni e un mese di “restrizione della libertà personale” per atti di vandalismo, è passato sotto relativo silenzio. Ovvio, lei non ha la potenza di fuoco di Navalny, non riesce a mobilitare i benintenzionati e i malintenzionati russi e occidentali. Eppure, secondo me, il “caso Misik” è molto, molto più interessante e grave del caso Navalny. E provo a dire perché.

NAVALNY E LA SVOLTA DEL CREMLINO

di Giovanni Pigni   L’ora più buia  sembra giunta per Aleksey Navalny e i suoi sostenitori. La Procura di Mosca vuole bollare come “estremista” l’organizzazione del principale dissidente russo, di recente condannato a due anni e otto mesi di carcere. Secondo l’accusa, “nascondendosi dietro slogan liberali”, il movimento mirerebbe a “destabilizzare la situazione sociale e politica del Paese”. Per le organizzazioni estremiste sono previste condanne penali non solo per organizzatori e membri, ma anche per i finanziatori e per chi diffonde materiale online. In sostanza, in caso di sentenza sfavorevole, il movimento di Navalny verrebbe messo fuorilegge: un colpo durissimo, se non fatale, per l’opposizione non sistemica – termine che indica i movimenti al di fuori dell’establishment politico leale al Cremlino – di cui Navalny è diventato di fatto il leader.

CORANO E ISLAM NEL CARCERE DI NAVALNY

Qualche tempo fa, Aleksey Navalny si era lamentato del fatto che le autorità del carcere avevano bloccato una serie di libri che lui voleva portare con sé in cella. Tra gli altri volumi, anche un Corano perché, diceva Navalny, “ho capito che per crescere come cristiano devo leggere anche il Corano”. Si è scoperto, poi, che la colonia penale n°2 di Pokrov dove l’agitatore politico è detenuto, ha una piccola ma consistente storia di relazioni con l’islam. Nella colonia, infatti, c’è una sala di preghiera con copie del Corano a disposizione dei detenuti. La decisione di organizzare un luogo per la preghiera dei musulmani e di dotarlo di libri a carattere religioso fu presa nel 2014 perché tra i detenuti c’erano molti migranti arrivati in Russia dall’Asia Centrale in cerca di lavoro. Per un certo periodo ebbero anche un loro imam, un carcerato che si era formato dal punto di vista religioso ad Abu Dhabi.

Russi conformisti o saggi? Parliamone

Lettera da Mosca resta fedele ai suoi intenti, primo fra tutti quello di pubblicare materiali non banali sulla Russia, a prescindere dall’orientamento ideologico e dalla provenienza. Per provare a capire prima di giudicare. E per uscire da quella brutta sceneggiatura hollywoodiana, genere “Ti spiezzo in due”, che è nella maggior parte dei casi l’informazione corrente sulla Russia. Per questo abbiamo pubblicato i due interessanti articoli ( qui e qui) di Andrey Kolesnikov, prestigioso osservatore della società e della politica russa. In essi l’autore spiega perché il consenso per Navalny non cresce, anzi, pare addirittura calare. E perché la maggioranza (più o meno silenziosa) dei russi continua a stare dalla parte di Vladimir Putin e del Cremlino.

PERCHÈ IL RUSSO MEDIO NON SEGUE NAVALNY (1)

di Andrey Kolesnikov      Secondo un recente sondaggio, l’avvelenamento, il ritorno in Russia e la successiva prigionia hanno solo aumentato la sfiducia e la disapprovazione del pubblico russo nei confronti di Aleksey Navalny, come dimostra un recente sondaggio. La spiegazione non potrebbe essere più banale: in questo caso l’ambasciatore porta pena. Con le sue indagini sugli alti funzionari e il film sul “palazzo di Putin”, Navalny ha presentato nuove prove della corruzione e del fallimento morale della leadership del Paese. Ma la maggioranza silenziosa, il russo medio, non vuole sapere e preferisce rimuovere le informazioni negative e compromettenti sul proprio Paese.