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ARMENIA, IL VOTO SULLE FERITE DELLA GUERRA

di Maurizio Vezzosi da Erevan (Armenia) – Arrivata alle elezioni politiche, l’Armenia si trova a fare i conti con una situazione assai complessa: la piccola Repubblica ex sovietica è andata al voto in un clima di forte risentimento nei confronti della propria classe politica e al tempo stesso di disillusione. La sconfitta nella guerra dello scorso autunno con il vicino Azerbaijan ha lasciato ferite profonde a livello sociale, politico ed economico. L’affermazione azera nella regione del Karabakh ha provocato la perdita del controllo di centrali idroelettriche e di vaste aree di territorio agricolo particolarmente fertile, oltre che importanti sotto un profilo simbolico e culturale.

Nonostante il dispiegamento della forza d’interposizione russa nella regione del Karabakh e il rimpatrio di alcuni prigionieri di guerra armeni concesso pochi giorni fa da Baku, le relazioni con l’Azerbaijan restano piuttosto difficili: nelle scorse settimane le truppe azere hanno infatti occupato – in maniera del tutto illegittima secondo Erevan – una porzione di territorio nella zona di Siunik (cittadina situata nella parte meridionale del Paese a ridosso della frontiera con l’Azerbaijan) e nella zona orientale del lago Sevan. Intanto, il presidente turco Erdogan e quello azero Aliev, a cinque giorni dalle elezioni in Armenia, hanno visitato Shushi, città del Karabakh conquistata lo scorso autunno dopo 44 giorni di combattimenti dall’esercito azero.

Il ruolo di Mosca – Il mese scorso il ministro degli esteri russo Sergej Lavrov si è recato in visita prima nella capitale armena Erevan, e poi, a distanza di qualche giorno, in quella azera Baku: una scelta evidentemente volta a favorire il dialogo tra parti e a rimarcare la centralità di Mosca nella mediazione del conflitto armeno-azero e, più in generale, nei delicati equilibri del Caucaso. Pur stemperata nei toni dalla sconfitta militare dello scorso autunno, nella capitale Erevan la tradizionale festività del 9 maggio ha visto la partecipazione di almeno diecimila persone, richiamati nella centralissima Piazza dell’Opera dal comizio con cui è stata presentata la principale lista d’opposizione e la candidatura di Robert Kocharian. La scelta del 9 maggio per la presentazione ufficiale della coalizione d’opposizione ha ben poco di causale: la data ha infatti un significato molto importante sia per il retaggio sovietico sia per i presenti legami tra Erevan e Mosca, così come quelli personali che legano Robert Kocharian alla Federazione Russa. Originario del Karabakh e già comandante militare, l’ex primo ministro Robert Kocharian è – seppur di misura su Nikol Pashinian e benché malvisto da una parte della società armena – in testa nei sondaggi. La coalizione che lo sostiene comprende diverse forze politiche: tra queste presenti per lo più formazioni di orientamento liberale, con l’eccezione – di orientamento socialista – della più longeva formazione politica armena – il Dashaktiutiun – tra i principali riferimenti politici degli armeni della diaspora.

Il primo ministro Pashinian – Le principali critiche mosse dall’opposizione al primo ministro Nikol Pashinian, arrivato a ricoprire l’incarico di primo ministro dopo la destituzione di Serzh Sargsyan nel 2018, riguardavano la tassazione, la mancanza di capacità di governo e di prospettive di sviluppo economico per il Paese. Durante campagna elettorale, la lotta politica ha assunto toni particolarmente duri, riflettendo la polarizzazione conseguente la sconfitta militare e la crisi economica: Robert Kocharian si è detto disposto ad affrontare Pashinian “in un duello, con ogni genere di arma”. Nikol Pashinian, parlando apertamente di “vendetta”, ha dichiarato di essere pronto “a macellare (politicamente)” Robert Kocharian. Palpabile è l’insofferenza nei confronti del primo ministro Nikol Pashinian: del resto ben pochi sono gli esempi di presidenti o primi ministri che hanno visto proseguire la propria esperienza politica dopo la firma di una capitolazione. In ogni caso, i sondaggi suggeriscono che alla coalizione che riceverà il numero maggiore di voti sarà comunque necessario cercare il sostegno di altre forze per formare un governo. Il dato politico generale indica, comunque, un’ampia diffidenza e sfiducia della società armena nei confronti del proprio sistema politico.

Il nodo dell’economia – Nonostante il risentimento nei confronti di Nikol Pashinian, le problematiche dell’Armenia vanno oltre ciò che strettamente attiene la composizione del Governo dimissionario e di quello venturo. Per la piccola repubblica ex sovietica il problema fondamentale è l’economia, e soprattutto la produzione. Il terremoto del 1988 (25mila vittime), la disgregazione dell’Unione Sovietica e la guerra del Karabakh hanno prodotto effetti assai nefasti per la capacità produttiva dell’Armenia: in relazione alla guerra dello scorso autunno e alla pandemia, nel 2020 l’Armenia ha registrato una perdita del Pil superiore all’8%. La reindustrializzazione del Paese appare l’unica concreta possibilità per fermare l’emorragia emigratoria – soprattutto giovanile – e contrastare la povertà emersa con il collasso del blocco sovietico, e tutt’ora presente.

Pechino sullo sfondo – Il ruolo della Cina sta assumendo proporzioni considerevoli per la repubblica ex sovietica: emblematica la decisione cinese di costruire nella capitale armena Erevan una nuova e mastodontica ambasciata a poche centinaia di metri dall’ambasciata statunitense. Pechino ha in programma di costruire nella regione settentrionale di Shirak – confinante con Georgia e Turchia – una “smart city” dove concentrare ricerca e produzione nel campo medico, scientifico ed informatico: i lavori per la realizzazione di questo progetto dovrebbero cominciare entro l’anno, sulla base di un investimento compreso tra i 10 e 15 miliardi di dollari. Un valore pari o addirittura superiore al Pil armeno annuale.

A livello energetico l’Armenia dipende dal nucleare per una quota intorno al 50% del proprio fabbisogno: la totalità dell’energia nucleare armena è prodotta nella centrale nucleare di Metsamor, non lontana dalla capitale. Quella di Metsamor è una centrale di progettazione e costruzione sovietica, alimentata tutt’oggi da combustibile di produzione russa. Nei prossimi anni potrebbe essere affiancata da un nuovo impianto, per la costruzione del quale sono da tempo in corso colloqui con Mosca.

Il potenziale tra Italia e Armenia – Benché quantitativamente limitato nel presente, il potenziale delle relazioni economiche tra Italia ed Armenia è elevato: l’influenza italiana è ben percepibile sia sul piano culturale che economico. Aziende italiane sono da anni presenti in Armenia nel settore della moda, delle costruzioni, della farmacautica. Considerevoli per l’Italia appaiono le potenzialità del settore energetico, IT, agricolo, delle infrastrutture e dei metalli preziosi. L’Armenia è l’unico paese dell’Unione Economica Euroasiatica (Russia, Bielorussia, Kazakhstan, Kirghizistan, oltre ai Paesi associati a vario titolo) che condivide un confine terrestre con l’Iran: l’accordo di associazione tra quest’ultimo e l’ Unione Economica Euroasiatica prevede condizioni particolarmente favorevoli per il commercio transfrontaliero.

di Maurizio Vezzosi

Pubblicato in Mondo Economico

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