di Andrea Muratore – Iniziamo questa analisi con un mea culpa: l’articolo, promesso a Lettera da Mosca a tragedia del 7 ottobre ancora “calda”, doveva inizialmente vertere esclusivamente sulle similitudini tra le tattiche impegnate da Hamas nell’assalto da Gaza a Israele nel Sabato nero e le incursioni mordi e fuggi dei commando ucraini che hanno prodotto apprezzabili risultati contro le forze russe nelle aree occupate del Paese. Una tattica “anfibia” con un uso coordinato di più armi, dalla saturazione delle difese missilistiche all’utilizzo asimmetrico dei droni, passando per gli assalti localizzati a centri di comando che ha permesso i successi locali su cui si è innestata l’infiltrazione dei jihadisti e il conseguente massacro.
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La “battaglia del grano” tra Ucraina e Russia si arricchisce di sempre nuovi capitoli. Intanto prosegue, e anzi si acuisce, la contesa tra Unione Europea e Ucraina da un lato e alcuni Paesi europei dall’altro. Polonia, Ungheria, Slovacchia, Romania e Bulgaria avevano ottenuto dalla UE un embargo temporaneo (fino al 16 settembre) contro il grano ucraino, che invadeva i loro mercati a prezzi ridotti, provocando il risentimento dei coltivatori locali. Le pressioni diplomatiche hanno convinto Bulgaria e Romania a riaprire i confini, mentre Polonia, Ungheria e Slovacchia hanno chiesto alla UE un prolungamento dell’embargo almeno fino a fine anno. Non avendolo ottenuto, hanno deciso di attuarne uno da sole. L’Ucraina, colpita in un punto molto sensibile (l’agricoltura è, oggi, l’unico settore della sua economia che produce profitti) ha protestato, ha chiesto l’intervento dell’Organizzazione mondiale del Commercio e ha minacciato un contro-embargo su alcune produzioni polacche. Risultato: all’Assemblea generale dell’Onu, il presidente ucraino Zelensky e quello polacco Duda hanno annullato l’incontro che avevano programmato. E Duda, parlando all’Assemblea, ha paragonato l’Ucraina a una persona che sta per annegare e rischia di far annegare anche chi cerca di soccorrerla. Non proprio un bel paragone. Nello stesso tempo, a Varsavia, il vice ministro degli Esteri Shimon Shinkovsky, alludendo alle prossime elezioni politiche e all’inquietudine degli agricoltori polacchi, dichiarava all’agenzia Pap: “Vogliamo continuare a sostenere l’Ucraina ma per farlo abbiamo bisogno del consenso dei polacchi. Se non lo avremo, non potremo aiutare Kyiv come prima”. A buon intenditor…
L’ondata di bombardamenti russi sulle città ucraine, a cominciare dalla capitale Kiev, ha avuto un duplice significato. Da un lato, è la vendetta per l’attentato ucraino contro il Ponte di Crimea, struttura essenziale per “legare” la Crimea riannessa nel 2014 alla Russia continentale. Dall’altro, è la risposta che Vladimir Putin offre ai tanti (con i soliti Kadyrov e Prigozhin in prima fila) che in Russia ormai criticano l’impostazione della “operazione militare speciale”, chiedono un cambio radicale al vertice delle forze armate (le dimissioni del ministro della difesa Shoigu e del capo di stato maggiore Gerasimov) e premono per una guerra vera, totale, dichiarata o no che sia. D’altra parte, avevamo avvertito un mese fa: l’alternativa più probabile a Putin non è un nuovo Gorbaciov, o l’avvento di un Governo di pacifisti, ma semmai un falco più irragionevole e guerrafondaio di lui.
di Lawrence d’Arabia Al di là delle suggestioni sull’orientamento “eurasiatico” dell’attuale politica turca, classico esempio di wishful thinking (pensiero desiderante che si autoillude,…
di Maurizio Vezzosi da Erevan (Armenia) – Arrivata alle elezioni politiche, l’Armenia si trova a fare i conti con una situazione assai complessa: la piccola Repubblica ex sovietica è andata al voto in un clima di forte risentimento nei confronti della propria classe politica e al tempo stesso di disillusione. La sconfitta nella guerra dello scorso autunno con il vicino Azerbaijan ha lasciato ferite profonde a livello sociale, politico ed economico. L’affermazione azera nella regione del Karabakh ha provocato la perdita del controllo di centrali idroelettriche e di vaste aree di territorio agricolo particolarmente fertile, oltre che importanti sotto un profilo simbolico e culturale.
Ieri, su Facebook, ho pubblicato questo post: “Credo di intuirne le ragioni vere, quelle poco esibite. Ma la strategia di “Putin è un assassino” o “Erdogan è un dittatore” pare buona soprattutto per i gonzi. A che serve? Dubito che Erdogan e Putin stiano svegli la notte a chiedersi perché Draghi e Biden non gli vogliano bene. Poi, certo, a Putin dai dell’assassino ma ti ritrovi a sperare che non invada l’Ucraina, a Erdogan dai del dittatore e speri che non ci prenda un’altra volta a calci in bocca in Libia. Conviene? Infine. Dici che Putin è un assassino ma ti abbracci con George Bush Jr., che mentì al mondo per invadere l’Iraq e far morire centinaia di migliaia di persone. Dai del dittatore a Erdogan e nelle stesse ore consegni (in cambio di quattrini sonanti e diritti di sfruttamento dei giacimenti del gas) una seconda fregata al presidente egiziano Al-Sisi, che non pare più tenero del Rais di Ankara. Farai così anche con Xi Jinping e con Mohammed bin-Salman? O davvero siamo ancora lì con la storiella che il nostro puzzone va bene e contribuisce al sol dell’avvenire mentre quello altrui fa schifo? Che noi difendiamo i valori? Arridatece la Realpolitik, quella cinica e terra terra, faccio questo perché mi conviene. Perché quest’altra Politik non è meno Real ma molto più ipocrita”.
di Maurizio Vezzosi Duemila militari russi si interpongono tra le forze armene dell’Artsakh e le forze azere: queste ultime hanno riconquistato porzioni consistenti del territorio del Nagorno Karabakh, rivendicato sin dallo sgretolamento dell’Unione Sovietica. Privi del deterrente della forza d’interposizione russa o di un’alternativa altrettanto consistente, i precedenti accordi mediati tra le parti non erano riusciti in alcun modo a fermare i combattimenti tra le due fazioni, protrattisi per circa un mese e mezzo, al prezzo di oltre cinquemila morti e di un incendio nel Caucaso.