di Pietro Pinter Il 5 maggio, il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha annunciato alla stampa che le proteste contro il premier Nikol Pashinyan, in corso in Armenia, sono una questione interna in cui la Russia non ha intenzione di intervenire. In Armenia le proteste dell’opposizione sono state accese nuovamente dalla questione del Nagorno-Karabakh, dopo che sono circolate indiscrezioni sulla presunta intenzione del Governo di “cedere” ufficialmente il Nagorno-Karabakh (o parte di esso) all’Azerbaijan. Indiscrezioni innescate da un discorso in Parlamento dello stesso Pashinyan, in cui il premier armeno diceva che la “comunità internazionale” è pronta a sostenere l’Armenia se questa “abbasserà la sbarra” delle sue richieste e riconoscerà “l’integrità territoriale dell’Azerbaijan”. Un linguaggio che lasciava aperte molte interpretazioni.
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di Maurizio Vezzosi da Erevan (Armenia) – Arrivata alle elezioni politiche, l’Armenia si trova a fare i conti con una situazione assai complessa: la piccola Repubblica ex sovietica è andata al voto in un clima di forte risentimento nei confronti della propria classe politica e al tempo stesso di disillusione. La sconfitta nella guerra dello scorso autunno con il vicino Azerbaijan ha lasciato ferite profonde a livello sociale, politico ed economico. L’affermazione azera nella regione del Karabakh ha provocato la perdita del controllo di centrali idroelettriche e di vaste aree di territorio agricolo particolarmente fertile, oltre che importanti sotto un profilo simbolico e culturale.
Nella nottata di ieri Putin, il presidente azero Aliyev e il premier armeno Pashinyan hanno firmato un accordo che, per la prima volta dall’inizio del conflitto nel Caucaso, ha (salvo imprevisti) serie possibilità di funzionare. La guerra ha piegato da subito a favore degli azeri, che, forti del sostegno turco, hanno rosicchiato, settimana dopo settimana, le regioni del loro territorio a ridosso del confine iraniano occupate dagli armeni negli anni Novanta per poi entrare, negli ultimi giorni, nel Nagorno Kharabakh vero e proprio, arrivando domenica scorsa a conquistare (o liberare, secondo il loro punto di vista) la città di Shusha, seconda per importanza della regione e ultimo bastione prima della capitale Stepanakert.