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Posts tagged as “shoigu”

ALEKSEYEV, TRA WAGNER E IL CREMLINO

di Giuseppe Gagliano – Nel mondo ombroso dell’intelligence russa, poche figure sono tanto enigmatiche quanto il generale Vladimir Alekseyev, primo vicedirettore della GU, l’agenzia di intelligence militare russa precedentemente nota come GRU. La sua figura emerge in un momento cruciale, dove il gioco di potere e l’influenza sul campo di battaglia in Ucraina delineano nuovi orizzonti per la Russia. La carriera di Alekseyev nell’intelligence russa è lunga e variegata. A partire dal 1984 si è distinto nelle forze speciali del GRU, noto anche come Spetsnaz, dove ha guidato operazioni significative di sabotaggio, ricognizione e antiterrorismo. La sua ascesa all’interno della GU è stata costante e impressionante, portandolo al ruolo di primo vicedirettore.

PRIGOZHIN E LE AMBIZIONI DEL WAGNER

di Pietro Pinter       È passato un anno da quando constatavamo – dopo una parata del 9 maggio “tranquilla” a Mosca anche se per certi versi atipica – che la guerra sarebbe proseguita senza particolari scossoni o svolte, con le forze armate russe che lentamente espugnavano la “fortezza” di Azovstal, la roccaforte ucraina di Mariupol’, in uno degli ultimi successi militari che avrebbero avuto prima che la controffensiva ucraina, mesi dopo, riconquistasse quasi tutto l’oblast’ di Kharkov e metà di quello di Kherson, inclusa il capoluogo. Quest’anno però, oltre alle incognite sulla parata alimentate dal clamoroso attacco con droni al Cremlino, se ne aggiunge anche una potenzialmente più importante: come andrà a finire la faida tra il “capitano di ventura” Evgenyj Prigozhin, fondatore e comandante del Gruppo Wagner, e le alte sfere della ministero della Difesa russo?

IL PAPA, IL CREMLINO E LA PERIFERIA RUSSA

È molto interessante la polemica improvvisamente scoppiata tra il ministero degli Esteri della Russia e Papa Francesco, a proposito di alcune delle affermazioni che il Pontefice, intervistato nella sua residenza vaticana di Santa Marta, ha fatto alla rivista dei gesuiti America. Ai russi sono dispiaciute le frasi (“When I speak about Ukraine, I speak of a people who are martyred. If you have a martyred people, you have someone who martyrs them. When I speak about Ukraine, I speak about the cruelty because I have much information about the cruelty of the troops that come in. Generally, the cruelest are perhaps those who are of Russia but are not of the Russian tradition, such as the Chechens, the Buryati and so on. Certainly, the one who invades is the Russian state. This is very clear. Sometimes I try not to specify so as not to offend and rather condemn in general, although it is well known whom I am condemning. It is not necessary that I put a name and surname”) sulla “crudeltà” delle truppe russe e in particolare su quella dei soldati che “non sono di tradizione russa, come i Ceceni, i Buriati e così via“.

RUSSIA, LE FORME DELLA GUERRA

di Pietro Pinter     “WOLLT IHR DEN TOTALEN KRIEG?”. Queste parole furono pronunciate dal ministro della  Propaganda del Reich, Joseph Goebbels, nel celeberrimo discorso dello Sportpalast. Siamo nel 1943, e ormai da un anno le sorti della seconda guerra mondiale stanno volgendo a  sfavore delle potenze dell’Asse. I sovietici hanno contrattaccato a Stalingrado, mettendo fine  all’offensiva tedesca che sembrava inarrestabile. Nel pacifico, gli USA si sono ripresi dalle batoste iniziali sconfiggendo la flotta imperiale giapponese alle Midway, per poi riconquistare  faticosamente Guadalcanal. In Nord Africa, con l’Operazione Torch, viene preso il controllo dei  possedimenti africani della Francia di Vichy. Ci si prepara allo sbarco nel continente che avverrà di  lì a pochi mesi. Per la prima volta, con quel discorso, i vertici del Terzo Reich ammettono davanti al popolo tedesco la realtà delle cose, e lo fanno per chiedere un cambio di passo, un maggiore impegno da parte dei tedeschi nel sostenere la causa bellica. Chiedono loro la guerra totale (e la avranno). 

REFERENDUM, L’ARMA TOTALE DEL CREMLINO

Chi temeva che dal discorso di Vladimir Putin uscisse una dichiarazione ufficiale di guerra all’Ucraina, ora deve preoccuparsi ancora di più. Non per la mobilitazione parziale annunciata dal Presidente e quantificata in 300 mila uomini (“Con concreta esperienza militare e secondo le specializzazioni richieste dai comandi delle forze armate”) dal ministro della Difesa Shoigu, ma per la decisione di cui questa mobilitazione è solo la conseguenza. Ovvero, la decisione di far svolgere nella Repubblica di Donetsk, in quella di Lugansk e nei territori “liberati” delle regioni di Kherson e Zaporozhye i referendum per l’annessione alla Russia.

QUALCUNO PIU’ A DESTRA DI PUTIN

Della sanguinosa sconfitta che le truppe russe hanno subito sul campo di battaglia nella regione di Khar’kiv non sono ancora chiare le dimensioni (l’avanzata ucraina procede, i russi per ora non sono riusciti a stabilizzare il fronte) ma la sostanza sì: era la prima vera grande battaglia campale e i russi l’hanno persa. Ed è già certo l’effetto: la clamorosa delegittimazione di un’intera classe dirigente, in un processo che dal basso risale fino al Cremlino e investe lo stesso Vladimir Putin.

KURENKOV, UN VOLTO NUOVO AL CREMLINO

di Pietro Pinter       Chi è Aleksandr Vyacheslavovich Kurenkov, e perché dovrebbe interessarci? Nato nel 1972, nella regione di Mosca, emerge oggi come un uomo in cui Vladimir Putin ripone assoluta fiducia, il che potrebbe, insieme alla sua età e al suo pedigree da silovik, metterlo nella condizione di essere un potenziale successore. Kurenkov ha iniziato la sua carriera nell’FSB, il servizio di sicurezza interna della Federazione Russa, per poi diventare un ufficiale del Servizio di Protezione Federale (SPF), corpo il cui compito è la protezione fisica
delle più importanti cariche russe. In questo ambito diventa la guardia del corpo di Viktor Zubkov, ai tempi (2007-2008) primo ministro sotto Putin (ora segretario del Consiglio di Amministrazione di Gazprom) e in seguito vice primo ministro, quando Medvedev assunse la presidenza e Putin assunse la carica di primo ministro. Ai tempi della guerra in Georgia.

MINORANZE ETNICHE, LA RISERVA DEL CREMLINO

di Pietro Pinter     La presenza ai vertici politici – nella fattispecie al ministero della Difesa, con Sergey Shoigu e alla vicepresidenza della Duma con Sholban Kara Ooh – di due nativi della piccola Repubblica di Tuva, uno dei soggetti federali più poveri della Federazione Russa, ci porta a fare alcune considerazioni sul ruolo delle minoranze etniche nell’architettura dello Stato russo. L’impero russo è notevolmente ridotto rispetto ai fasti zaristi e sovietici. Sembrano ormai lontani, anche se non lo sono, i tempi in cui l’Asia Centrale, i Paesi baltici, l’Europa orientale e il Caucaso facevano parte di un’unica entità politica, con centro a Mosca, imperniata sull’heartland e sul popolo russi.

LE CITTA’ NUOVE DI SHOIGU

di Nick Trickett    Il ministro della Difesa Sergei Shoigu in agosto ha proposto che il Governo sostenga la costruzione di 3-5 centri industriali ed economici in Siberia. Questi, secondo Shoigu, dovrebbero diventare città da 300-500 mila abitanti. A prima vista, questa proposta potrebbe essere dismessa come un trucco da campagna elettorale. Shoigu è stato più visibile negli ultimi mesi poiché il Cremlin si è rivolto a lui e ad altre figure come Sergei Lavrov per cercare di aumentare il consenso intorno a Russia Unita. Ma ciò che potrebbe essere liquidato come campagna elettorale è diventato più serio quando il portavoce del Cremlino, Dmitry Peskov, ha confermato che anche a Putin piaceva l’idea di costruire nuove città. Un ulteriore consenso è arrivato poi da Viktoria Abramchenko, nominata dal primo ministro Mishustin inviato speciale per la Siberia. Quindi è emersa una proposta parallela per costruire una città satellite vicino a Vladivostok. Il tutto, però, ha incontrato la forte critica di Yurij Trutnev, per lungo tempo stratega per l’Estremo Oriente del Cremlino.

LA RUSSIA VOTA, MA PER CHE COSA?

di Marco Bordoni   Il 5 febbraio 1997 George Kennan, ispiratore della “dottrina Truman” e della politica di “contenimento” dell’Unione Sovietica nel secondo dopo guerra, firmò per il New York Times un pezzo dal titolo “Un errore fatale” per prendere posizione sul progetto di allargamento a Est della NATO “fino ai confini russi”. La contrarietà dello statista era, in sintesi, così motivata: “Possiamo attenderci che una decisione simile infiammerebbe le tendenze anti occidentali e militariste dell’opinione pubblica russa; che abbia un effetto nocivo sullo sviluppo della democrazia russa; che riporti il clima da guerra fredda nelle relazioni Est-Ovest, e che spinga la politica estera russa in direzione decisamente sgradite”.  Come noto gli avvertimenti di Kennan furono ignorati e la NATO, che pure aveva assolto la sua funzione storica, non solo non venne liquidata, ma venne progressivamente estesa, con l’esplicito disegno di costruire ai danni della Russia un sistema giugulatorio di relazioni talmente sbilanciato da precludere a Mosca qualsiasi ambizione all’indipendenza decisionale (e qui la citazione di un altro eminente statista USA, Zbigniew Brzezinski, si impone).