di Pietro Pinter “WOLLT IHR DEN TOTALEN KRIEG?”. Queste parole furono pronunciate dal ministro della Propaganda del Reich, Joseph Goebbels, nel celeberrimo discorso dello Sportpalast. Siamo nel 1943, e ormai da un anno le sorti della seconda guerra mondiale stanno volgendo a sfavore delle potenze dell’Asse. I sovietici hanno contrattaccato a Stalingrado, mettendo fine all’offensiva tedesca che sembrava inarrestabile. Nel pacifico, gli USA si sono ripresi dalle batoste iniziali sconfiggendo la flotta imperiale giapponese alle Midway, per poi riconquistare faticosamente Guadalcanal. In Nord Africa, con l’Operazione Torch, viene preso il controllo dei possedimenti africani della Francia di Vichy. Ci si prepara allo sbarco nel continente che avverrà di lì a pochi mesi. Per la prima volta, con quel discorso, i vertici del Terzo Reich ammettono davanti al popolo tedesco la realtà delle cose, e lo fanno per chiedere un cambio di passo, un maggiore impegno da parte dei tedeschi nel sostenere la causa bellica. Chiedono loro la guerra totale (e la avranno).
Ebbene, senza fare facili e soprattutto insostenibili paragoni tra Putin e Hitler, questo è probabilmente quello a cui abbiamo assistito in Russia pochi giorni fa, con il discorso in cui il Presidente e il ministro della Difesa della Federazione Russa hanno annunciato la “mobilitazione parziale” di 300 mila riservisti. Tutti si aspettavano un qualche tipo di svolta dopo la debacle nell’oblast di Kharkov, e quei discorsi l’hanno certificata. La risposta russa non è stata un ritiro o una resa, bensì un’escalation: le Repubbliche Popolari di Donetsk e Lugansk stanno tenendo, dal 23 al 27 settembre, i referendum per accedere alla Federazione Russa, e con loro anche le amministrazioni civili-militari delle oblast’ di Kherson e Zhaporozhye.
Assumendo come scontato l’esito di queste consultazioni, e come altrettanto scontata la ratifica formale di Mosca, questo significa una sola cosa: l’impegno militare russo in Ucraina non potrà più essere caratterizzato domesticamente come una “operazione militare speciale” in territorio straniero, bensì dovrà essere ritenuto una guerra in piena regola su territorio russo. È anche difficile ipotizzare che si tratti di una strategia d’uscita, tramite cui la Russia si porrà sulla difensiva e metterà unilateralmente fine alle operazioni militari. È difficile ipotizzarlo perché le amministrazioni filorusse di Donetsk, Kherson e Zhaporozhye non controllano il 100% del territorio de jure delle loro regioni. La Russia quindi annetterà giuridicamente anche del territorio occupato militarmente da truppe ucraine. Se lo farà, dovrà poi per forza “liberarlo”, o almeno provarci.
Come abbiamo visto, gli attuali guadagni territoriali della Russia sono il massimo che il Cremlino può sperare di ottenere con le risorse messe a disposizione. E probabilmente, con la prospettiva di tenerli anche per un tempo limitato, non essendo in grado di difenderli integralmente. Nella fase successiva della guerra, quindi, Mosca dovrà mobilitare e mobilitarsi: leva militare, come già annunciato, ma anche riconversione bellica dell’industria civile, acquisti massicci di armamenti dall’estero (come l’Ucraina sta facendo dall’inizio del conflitto). Dovrà inoltre aumentare (cosa che ha già fatto) gli attacchi contro l’infrastruttura civile ed energetica ucraina, passando forse anche ad azioni contro i centri di comando politici e militari. Insomma: guerra totale. Soldati professionisti dei distretti militari centrale e meridionale, ceceni, cosacchi e mercenari Wagner non bastano più.
Putin e Shoigu hanno tentato di spiegarlo ai russi: saranno ascoltati? Tutte le mobilitazioni e le leve militari sono destinate a causare attrito tra la popolazione e lo Stato, ma quanto sia grande questo attrito e se sia un pericolo per la tenuta politica russa è difficile a dirsi. Riceve estrema attenzione mediatica ogni atto di dissenso in Russia, come è logico aspettarsi, ma sarebbe opportuno astenersi da valutazioni generali troppo affrettate. Abbiamo fatto notare come l’Ucraina sia alla sua “quarta ondata” di mobilitazione (che comprende ora almeno in parte anche le donne) e come le difficoltà, tra proteste, emigrazione di massa e diserzione non siano state poche. Eppure l’Ucraina continua a combattere, con un esercito numeroso. Certe volte, guardando troppo il caso specifico si perde di vista il quadro generale.
Oltre a tutto questo, aleggia anche un ulteriore spettro, quello della guerra nucleare. La difesa del territorio nazionale da un’invasione è uno dei casi in cui l’uso delle armi nucleari è comunemente ritenuto possibile, soprattutto per un Paese, la Russia, che come gli Stati Uniti e Israele, ha una dottrina nucleare che non esclude il primo colpo. Tattico, se non addirittura strategico. Putin è stato molto chiaro, nel suo discorso, e diversi leader, da Zelensky a Borrell, sembrano averlo preso sul serio.
È impossibile sapere cosa accadrà di preciso nei prossimi giorni, ma certamente, se Mosca sposterà “giuridicamente” la guerra su territorio russo, l’intenzione non è quella di trovare un compromesso d’uscita. E la guerra è destinata a cambiare volto. Le ipotesi che circolano sono molte e, ovviamente, non confermate: una fonte in passato affidabile come l’agenzia Resident UA6, parla della possibilità di un ultimatum russo a Kiev. Seguirebbe, con ogni probabilità, un rifiuto da parte di Kiev, che innescherebbe da parte russa attacchi massicci contro l’infrastruttura ucraina o addirittura l’uso dello strumento nucleare.
Il governatore della Crimea, Aksyonov, prevede invece l’inizio di una “operazione anti-terrorismo” al posto della “operazione militare speciale”. Il modello sarebbe, quasi ironicamente, quello delle operazioni ucraine nel Donbass dal 2014 al 2018, che venivano appunto inquadrate appunto sotto l’acronimo ATO (Anti-Terrorist Operation), prima di venire ufficialmente definite come una guerra contro la Russia. Ancora, secondo Igor “Strelkov” Girkin, l’ex guerrigliero e ora “critico da destra” delle operazioni russe, dopo l’entrata giuridica delle regioni ucraine nella Federazione Russa, si assisterà, a latere della mobilitazione, a un massiccio afflusso di truppe dell’esercito professionale ora impiegate in compiti di guarnigione in altri distretti. Una cosa è sicura: il tempo della diplomazia è finito da un pezzo, e il futuro di Ucraina e Russia sarà deciso solamente dalle armi.
di Pietro Pinter
Fondatore e curatore del canale Telegram Inimicizie
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