di Fyodor Lukyanov Il discorso con cui Joe Biden, il 16 agosto 2021, ha commentato la fine della missione degli Stati Uniti in Afghanistan, e la successiva dichiarazione del 1 settembre, dovrebbero essere considerati un punto di svolta nella politica estera degli Stati Uniti. “So che la mia decisione sarà criticata, ma preferisco accettare tutte queste critiche piuttosto che passare questa decisione a un altro Presidente”, ha detto Biden, sottintendendo che i suoi tre predecessori non erano riusciti a fare il passo necessario. Ha quindi lanciato una frecciata non solo a Donald Trump (citato per nome), ma anche a George W. Bush e persino a Barack Obama. Secondo Biden, gli Usa non avevano mai avuto intenzione di impegnarsi in un nation building in Afghanistan, ma volevano solo affrontare specifici problemi di sicurezza e distruggere i responsabili degli attacchi terroristici all’America, e questi problemi sono stati risolti. Per quanto riguarda il nation building, è una totale bugia, ma è degno di nota l’entusiasmo con cui Washington ora rinuncia ai postulati che considerava fondamentali vent’anni fa.
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di Andrey Fiodorov Il prezzo del gas cresce a vista d’occhio. Il prezzo di mercoledì 15 settembre, per la prima volta nella storia, ha sfondato la soglia degli 880 dollari alla borsa ICE di Londra. Alla fine della scorsa settimana, il superamento della soglia dei 700 dollari sembrava qualcosa di straordinario, ma ora anche i 1000 dollari non sembrano più essere il limite. Se si guarda alla dinamica delle variazioni dei prezzi, rispetto a luglio 2021, la sua crescita è stata del 70% e rispetto a settembre 2020 addirittura del 370%. In precedenza, in seguito alla liberalizzazione del mercato europeo del gas, i contratti a lungo termine per il transito del gas sono stati sostituiti dalla prenotazione all’asta delle forniture, il che ha garantito ai fornitori di gas la flessibilità necessaria per eseguire il pompaggio in base a condizioni di mercato a breve termine. In particolare, Gazprom ha costantemente rifiutato di prenotare capacità di transito aggiuntive per le forniture attraverso l’Ucraina e dalla fine di agosto ha smesso di pompare gas negli impianti di stoccaggio sotterranei tedeschi Rehden e Katharina. Nello stesso tempo, l’aumento della domanda di gas naturale liquefatto in Asia, in particolare in Cina, ha portato a una diminuzione del 12% della fornitura di gas liquefatto agli impianti di stoccaggio dei terminali di ricezione in Europa a luglio rispetto a giugno e del 22% sull’intero anno. Di conseguenza, c’è stata una carenza di forniture di gas, che ha portato al 67% di occupazione degli impianti di stoccaggio del gas sotterranei in Europa, che è la più bassa negli ultimi cinque anni, quando il valore medio annuo era dell’80%.
di Kirill Krivosheev Gli eventi che si stanno svolgendo in Afghanistan somigliano poco ai piani fatti prima del ritiro degli Stati Uniti. Il Governo afghano guidato dal presidente Ashraf Ghani inizialmente avrebbe dovuto resistere per altri sei mesi. Dopo che i talebani hanno iniziato a conquistare una dopo l’altra le città del Paese, almeno tre mesi. Queste erano le previsioni che si facevano non solo a Washington, ma anche a Mosca. Pochi giorni prima che i talebani entrassero a Kabul, l’inviato presidenziale russo in Afghanistan, Zamir Kabulov, insisteva sul fatto che l’occupazione della città di Kandahar non indicava che i talebani avrebbero potuto prendere il controllo della capitale in tempi brevi.
di Lawrence d’Arabia Nessuna terza Guerra Mondiale per Formosa “anytime soon”. Quando lavoravo per l’intelligence britannica cercavo di raccontare ai comandi militari le cose come stavano. Ora pare che i servizi informazioni del mondo non facciano altro che fabbricare finte realtà in combutta coi politici: dal canto mio appena ebbi sentore che le cose si stessero mettendo così, diedi le dimissioni. “Enough is enough!” pensai, ma qui il troppo sembra non stroppiare mai. Mi sanno spiegare lorsignori perché mai la Repubblica Popolare Cinese dovrebbe invadere la Repubblica di Cina quando può tranquillamente colonizzarla economicamente? Ragioniamo un attimo. La Cina è un paese di figli unici, restio quindi a sacrificarli in battaglia. Una quota parte dei cinesi ha intravisto finalmente il benessere dopo millenni di miseria, il resto ha realistiche possibilità di intravederlo: in entrambi i casi si tratta di gente che preferisce dedicarsi a goderselo o a conquistarselo.
di Giuseppe Gagliano Il primo ministro della Federazione Russa, Mikhail Mishustin, ha firmato venerdì 25 giugno il decreto che consente la realizzazione dell’importantissima infrastruttura navale russa in Sudan. Questo accordo naturalmente è stato possibile anche grazie all’intensificazione della sinergia in ambito militare tra Mosca e Khartum. Sotto il profilo strategico, consentirà alla Russia di realizzare un centro logistico nelle prossimità di Port Sudan di fronte al Mar Rosso, cioè le darà la possibilità di dispiegare unità militari. Così la marina militare russa potrà avere la prima base navale in Africa. Sotto il profilo finanziario le esportazioni russe in Sudan non potranno che rafforzarsi. Infatti la Russia avrà la possibilità di servirsi delle infrastrutture aeroportuali del Sudan per agevolare le proprie esportazioni e importazioni prive di dazi doganali. Complessivamente questo accordo rafforza la presenza russa in Africa che, unita a quella cinese, contribuirà a contrastare fortemente sia quella francese sia quella americana.
di Maurizio Vezzosi da Erevan (Armenia) – Arrivata alle elezioni politiche, l’Armenia si trova a fare i conti con una situazione assai complessa: la piccola Repubblica ex sovietica è andata al voto in un clima di forte risentimento nei confronti della propria classe politica e al tempo stesso di disillusione. La sconfitta nella guerra dello scorso autunno con il vicino Azerbaijan ha lasciato ferite profonde a livello sociale, politico ed economico. L’affermazione azera nella regione del Karabakh ha provocato la perdita del controllo di centrali idroelettriche e di vaste aree di territorio agricolo particolarmente fertile, oltre che importanti sotto un profilo simbolico e culturale.
Alla fin fine, la grande politica internazionale è una cosa semplice. È complicata nelle tattiche, nelle manovre, nei trucchi. Lo è molto meno nelle strategie. Alla vigilia del summit tra Joe Biden e Vladimir Putin questa realtà si è affermata con lampante chiarezza. La strategia degli Stati Uniti è quella tipica di tutti gli imperi: divide et impera. La nuova amministrazione prima ha molto lavorato per dividere l’Europa dalla Russia, tentando fino all’ultimo di minare anche il ridotto della Germania e della sua ostinazione nel mantenere con Mosca l’accordo sul gasdotto Nord Stream 2. Poi, dopo aver dichiarato in ogni dove che la Russia era come sempre l’impero del male assoluto (Possiamo dire che Putin è un assassino? Sì sì), è passata a cercare di dividerla della Cina, che è il vero avversario strategico degli Usa, dicendo quanto sarebbe bello avere un buon rapporto con Putin (“Un avversario degno”) e i suoi hacker-sicari-torturatori. Non a caso Biden si presenta a Ginevra con un dono ben augurale: la dichiarazione che l’Ucraina non è pronta a entrare nella Nato. Il che, detto di passaggio, dimostra (se ve ne fosse stato bisogno) che nella strategia americana Kiev è una pedina da giocare secondo necessità. Molto più di quanto lo sia la Bielorussia per la Russia. Il che rende plasticamente la differenza di potere reale tra i due Paesi.
Intorno alla Bielorussia, ai suoi pasticci e alle sue tragedie, s’intrecciano quelli che per me sono tre misteri assoluti, soprattutto dopo il”caso Protasevich” e il dirottamento del volo Ryanair. Primo mistero: perché Lukashenko ha scelto l’isolamento internazionale pur di mettere le mani su Roman Protsevich? Che l’Europa avrebbe reagito era scontato: una compagnia aerea irlandese, un volo tra due capitale europee (Atene e Vilnius). Inevitabile prendere provvedimenti. È stato decretato il blocco dei voli per e sulla Bielorussia, forse arriverà anche un quarto round di sanzioni. Ma qualunque provvedimento fosse stato preso, il risultato sarebbe stato quello: isolare ancor più la Bielorussia. Ne valeva la pena? Che cos’aveva di tanto importante quel fascistello di Protasevich, che viveva in esilio già da un paio d’anni, per giustificare tutto questo?
di Vladimir Vinokurov Nella comunità internazionale degli esperti di geopolitica è molto cresciuto l’interesse per il riavvicinamento tra Cina e Russia. La discussione è iniziata con il ministero della Difesa giapponese, che ha pubblicato il suo Libro Bianco della Difesa nell’estate del 2020. In esso si dice che i ministeri degli Esteri di entrambi i Paesi rifiutano l’idea di una “alleanza militare”. Ma anche che, visto il rafforzamento dell’interazione tra i due Stati, è necessario monitorare lo sviluppo della cooperazione russo-cinese. Nel marzo del 2021, il segretario di Stato americano Anthony Blinken, in una riunione dei ministri degli esteri della NATO, ha chiesto una partnership “nell’area delle nostre preoccupazioni su Russia e Cina”. Poco dopo l’Alto rappresentante dell’Unione europea per la politica estera Josep Borrell ha accusato Mosca e Pechino di usare un linguaggio molto simile quando parlano dell’Occidente e degli Stati Uniti. A loro volta gli analisti dell’Atlantic Council, in un recente rapporto, The China Plan: A Transatlantic Blueprint for Strategic Competition, notano che le relazioni militari tra Cina e Russia potrebbero rappresentare un grave problema per la NATO. Finora gli esperti hanno escluso la possibilità di un’alleanza militare ufficiale. Ma entrambi i Paesi, a loro avviso, non sono contrari a speculare su una simile prospettiva.
di Fulvio Scaglione Di nuovo il culto dell’isolamento? Nel giro di pochissimi giorni, fonti autorevoli (dallo stesso ministro Lavrov in giù) del ministero degli Esteri russo ci hanno fatto sapere che i rapporti con la Nato sono azzerati e quelli con l’Unione Europea anche, mentre le relazioni con il Regno Unito (ambasciatore Andrej Klin dixit) sono “politicamente morte”. Di quelle con gli Usa, ovviamente, non stiamo nemmeno a parlare. Mentre il ministro Sergey Lavrov, inaugurando la visita di tre giorni in Cina, ha recuperato il tema della dedollarizzazione che, con il nuovo Governo, nominato poco più di un anno fa, sembrava essere stato rimosso dall’agenda politica russa.