E dunque il gasdotto Nord Stream 2 si farà. A determinate condizioni ma si farà. I politici e i giornali ucraini gridano al tradimento, Joe Biden e Angela Merkel da grandi amici diventano mentitori e vigliacchi. Musi lunghi anche nei Paesi Baltici, in Polonia, nella Repubblica Ceca. Verrebbe da dire: è la politica, bellezza! O davvero gli ucraini credevano che gli Usa avessero investito tanto, nel 2014, per suscitare e far trionfare Maidan solo perché innamorati della nazione ucraina e dei suoi ideali? Eppure era chiaro da tempo che il vento aveva almeno in parte cambiato direzione. Dall’incontro con il famoso “assassino” Putin, Biden ha silenziato la grancassa sugli hacker russi, ha dismesso le prospettive di un rapido ingresso dell’Ucraina nella Nato e, ora, ha dato luce verde al completamento del gasdotto. Nulla di strano: se vuole regolare i conti con la Cina ha più bisogno della Russia (che sia freddina, se non proprio neutrale) che dell’Ucraina. D’altra parte, come dicono molti osservatori russi: soddisfatta o no di Biden, dove volete che vada l’Ucraina? E perché far entrare l’Ucraina nella Nato se in ogni caso fa comunque tutto ciò che la Nato chiede?
Quel che resta, ora, è il solito chiasso inconcludente che accompagna i momenti (presunti) storici. Chi non riesce a rassegnarsi all’avvento di Nord Stream 2 tira fuori dall’armadio la “diversificazione” delle fonti di approvvigionamento del gas e la “sicurezza dell’Europa”. Una sciocchezza dal punto di vista dei dati e delle economie di scala (ne abbiamo già parlato su Lettera), che conserva un minimo di senso solo se letta in chiave geopolitica, perché Nord Stream 2 ovviamente indebolisce il “peso” dei Paesi di transito come l’Ucraina e ridimensiona i sogni di quelli (per esempio la Polonia) che già pensavano di lucrare su uno scontro tra Russia ed Europa e diventare gli hub energetici del futuro. Continua a essere curioso il caso dell’Ucraina, peraltro. Che vuole la Nato, la Ue e la protezione Usa, ma anche il privilegio di incassare 3 miliardi di dollari l’anno dalla Russia per far passare il gas, che poi nel passaggio “perde” pure qualche milione di metri cubi. Un po’ come voler essere post-sovietici e sovietici nello stesso tempo.
Tutti ragionamenti che, purtroppo per loro, si sono infranti sull’interesse nazionale della Germania. Perché la Merkel avrebbe dovuto sottrarsi al possibile “ricatto russo” (иди на хуй, mi hai fatto arrabbiare non ti dò più il gas! Lo so, è demenziale, sarebbe la bancarotta per la Russia, ma certi russofobi la mettono così) per buttarsi a capofitto nel possibile ricatto americano, visto che sarebbero poi gli Usa a vedere gas liquefatto? Perché la Merkel avrebbe dovuto mettersi nelle mani di un Presidente Usa quando da cinquant’anni l’industria tedesca gira serenamente con il fornitore prima sovietico e poi putiniano?
E poi, avendo trionfato agli Europei di calcio, c’è la conta di chi ha vinto e chi ha perso. In realtà hanno vinto tutti. Biden che riallaccia il dialogo con la Russia e non si scontra con la Germania. La Merkel che, sulle orme di Gerhard Schroeder (fu lui, nel 2005, a siglare l’accordo energetico con Vladimir Putin), garantisce al proprio Paese, con Nord Stream 2, un ruolo ancor più centrale in Europa e una sicurezza energetica a prova di qualunque crisi. E tanti saluti alla Ue e alle politiche comunitarie. E Vladimir Putin, che della conclusione di questo progetto aveva bisogno sia dal punto di vista economico (l’inverno scorso è stata una pacchia, per Gazprom, leggete qui) sia dal punto di vista politico: il completamento di Nord Stream 2, tra le altre cose, rimette ufficialmente in circolo la Russia come interlocutore nel consesso delle nazioni.
Quindi mettiamoci tranquilli. Le cose sono andate come dovevano andare. E il punto, gira gira, è sempre quello: ti piaccia o no, con la Russia si deve parlare e trattare. Il resto è fantasia. Qualche volta pericolosa, ma sempre fantasia.
Fulvio Scaglione
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