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UE, COM’È DIFFICILE DARE 50 MILIARDI A KIEV

di Pietro Pinter – A inizio febbraio, il Consiglio Europeo si riunirà nuovamente per trovare un accordo sulla Ukraine Facility Regulation, il quadro legale proposto dalla Commissione Europea a giugno 2023 – e approvato dal Parlamento Europeo ad ottobre – per fornire 50 miliardi di aiuti finanziari all’Ucraina per 5 anni, sul modello del Recovery Fund: ogni tranche di aiuti dovrà essere preceduta da diverse “riforme” da parte dell’Ucraina, concordate in un apposito piano. Se il sostegno della Commissione Europea, ultra-atlantista e autrice di molte fughe in avanti sull’Ucraina (si ricordi ad esempio, la folle proposta di una no fly zone sul Paese) è sicuro, lo stesso non si può dire per il Consiglio Europeo (gli Stati membri) che deve approvare all’unanimità il disegno, trattandosi di una decisione UE in tema di politica estera.

BURNS A MOSCA E KIEV, MISSIONE FALLITA

Interessante ricostruzione del quotidiano svizzero Neue Zürcher Zeitung, che fa riferimento a fonti interne ai circoli politici tedeschi. A metà gennaio, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden avrebbe incaricato il capo della CIA, William Burns, di visitare Kiev e Mosca e valutare la loro disponibilità ai negoziati. Una missione portata a termine, anche se poi i media occidentali hanno parlato solo dell’incontro con il presidente ucraino Zelensky. Secondo le indiscrezioni, Burns avrebbe proposto a Kiev e Mosca un piano basato sull’idea “territori in cambio di pace”. Secondo questo piano, la Russia terrebbe circa il 20% del territorio dell’Ucraina ma porrebbe fine alla guerra. Entrambi i Paesi hanno rifiutato. L’Ucraina non vuole territori, mentre la Russia crede che alla lunga riuscirà a vincere la guerra e magari ad occupare ancora più territori.

SACHS: LA PACE VERRA’ DAI NEUTRALI

di Jeffrey Sachs       È probabile che né la Russia né l’Ucraina ottengano una vittoria militare decisiva nella guerra in corso: entrambe le parti hanno un ampio spazio per un’escalation mortale. L’Ucraina e i suoi alleati occidentali hanno poche possibilità di cacciare la Russia dalla Crimea e dalla regione del Donbass, mentre la Russia ha poche possibilità di costringere l’Ucraina alla resa. Come ha osservato Joe Biden in ottobre, la spirale dell’escalation segna la prima minaccia diretta di “Armageddon nucleare” dalla crisi dei missili cubani 60 anni fa. Anche il resto del mondo soffre, anche se non sul campo di battaglia. L’Europa è probabilmente in recessione. Le economie in via di sviluppo lottano con l’aumento della fame e della povertà. I produttori di armi americani e le grandi compagnie petrolifere raccolgono guadagni inaspettati, anche se l’economia americana nel suo complesso peggiora. Il mondo deve sopportare una maggiore incertezza, catene di approvvigionamento interrotte e terribili rischi di escalation nucleare. Ciascuna parte potrebbe optare per una guerra continua nella convinzione di ottenere un vantaggio militare decisivo sul nemico. Almeno una delle parti si sbaglierebbe in una tale visione, e probabilmente entrambe. Una guerra di logoramento devasterà entrambe le parti.

DIRE PACE PER PROSEGUIRE LA GUERRA

Arrivati al decimo mese di guerra in Ucraina dopo l’invasione russa, gli spiriti di buona volontà che sperano di bloccare questo massacro assurdo si trovano ad affrontare un grosso errore, che sta in questo: non si può, anzi non si deve parlare di colloqui «di pace». Chi lo fa, o finge un’aspirazione alla pace che non ha o non si rende conto che il massimo ora raggiungibile è un cessate il fuoco. La pace sarà un lavoro molto più lungo e complicato. La questione tra Russia e Ucraina ha radici assai lunghe di cui la guerra è, solo e purtroppo, il culmine. Dipanare la matassa per arrivare a una pace vorrà dire analizzare e rimontare i trent’anni trascorsi dalla fine dell’Urss e sarà un lavoro improbo. Il grosso errore, però, sta dentro un’enorme ipocrisia: quella di parlare di pace ponendo condizioni che, di fatto, la rendono impossibile. È successo esattamente questo nei giorni scorsi, con le dichiarazioni incrociate di Joe Biden, Emmanuel Macron e Vladimir Putin.

IL FATTORE ISLAM TRA RUSSIA E UCRAINA

Agisce un «fattore islam» nella guerra tra Russia e Ucraina? La risposta è sì. Perché la Russia è un Paese multietnico e multiconfessionale, e lo è dai tempi in cui Ivan il Terribile allargò i confini della Moscovia sottomettendo i khanati tatari di fede islamica. Perché l’islam, dal punto di vista della cultura religiosa, è la seconda componente più diffusa nel Paese dopo l’ortodossia cristiana. Perché l’islam, nel bene e nel male, è sempre stato un fattore importante sul versante Sud della Federazione, sia all’interno (i popoli che abitano da secoli il Caucaso) sia all’esterno (il confronto, anch’esso vecchio di secoli, con la presenza turca o turcofona). E bisogna rispondere di nuovo sì perché la proiezione verso i Paesi islamici, in particolare quelli del Medio Oriente, è stata una caratteristica costante dei lunghi anni di potere di Vladimir Putin. Il suo predecessore, Boris Eltsin, non ne aveva mai visitato uno. Putin, in pratica, li ha visitati tutti. E ha impegnato il proprio Paese nella guerra tuttora in corso in Siria.

BIDEN E TRUMP, MALEDETTI PACIFISTI!

L’ondata di bombardamenti russi sulle città ucraine, a cominciare dalla capitale Kiev, ha avuto un duplice significato. Da un lato, è la vendetta per l’attentato ucraino contro il Ponte di Crimea, struttura essenziale per “legare” la Crimea riannessa nel 2014 alla Russia continentale. Dall’altro, è la risposta che Vladimir Putin offre ai tanti (con i soliti Kadyrov e Prigozhin in prima fila) che in Russia ormai criticano l’impostazione della “operazione militare speciale”, chiedono un cambio radicale al vertice delle forze armate (le dimissioni del ministro della difesa Shoigu e del capo di stato maggiore Gerasimov) e premono per una guerra vera, totale, dichiarata o no che sia. D’altra parte, avevamo avvertito un mese fa: l’alternativa più probabile a Putin non è un nuovo Gorbaciov, o l’avvento di un Governo di pacifisti, ma semmai un falco più irragionevole e guerrafondaio di lui.

LA LOBBY UCRAINA A WASHINGTON

di Giuseppe Gagliano     Contrariamente all’opinione corrente, non esiste un consenso unanime a Washington sul sostegno militare all’Ucraina in relazione all’invio di sistemi di lanciarazzi come quelli che sono in grado di raggiungere i 300 chilometri in territorio russo. Da un lato vi sono coloro che sostengono l’assoluta necessità di questa esportazione di armamenti altamente sofisticati, come il presidente Biden, l’attuale segretario di Stato Anthony Blinken oltre naturalmente al segretario della Difesa Lloyd Austin. D’altra parte abbiamo invece il consigliere per la Sicurezza nazionale, Jack Sullivan, che ha un atteggiamento di prudenza e di cautela poiché teme – in modo legittimo – che potrebbe esserci un’escalation da parte della Russia. Superfluo ci sembra sottolineare che invece l’Ucraina è assolutamente a favore di questo sostegno di natura militare, che cerca di promuovere con una efficacissima lobby.

IL FANTASMA DELL’IMPERO SI MANGIA LA RUSSIA

di Marco Bordoni       Dopo morti, gli Imperi vivono. Il loro fantasma continua a tormentare gli uomini, e a volte si impadronisce di corpi politici vivi. Arnold Toynbee scriveva che la cristianità ortodossa aveva imboccato una strada diversa da quella cattolica a causa della sua “fatale infatuazione per il fantasma dell’ impero romano”. “Gli imperatori orientali” (e in particolare, secondo lo storico britannico, Leone Isaurico) evocando il fantasma di Roma e riversandolo nel corpo del suo regno greco, “trasformarono la Chiesa in un dipartimento di stato e il patriarca ecumenico in una specie di sottosegretario agli affari ecclesiastici” (1). Lasciate poi, dopo secoli, le seconde spoglie mortali sulle rive del Bosforo, lo spettro dell’ Impero si sarebbe mosso verso Nord, fino alle selvagge rive della Moscova, dove avrebbe incontrato le ambizioni del Gran Principe Vasilij III e del suo ideologo, il monaco Filofej (autore del celebre: “Due Rome sono Cadute, la terza sta, la quarta non sarà”). Reincarnato per sostenere le pretese di Ivan IV al titolo dei Cesari, l’Impero possedette la Moscovia pervadendola del proprio spirito universalista, tanto consono agli slanci dell’anima russa. Tiara avvinta allo scettro (su questo ha scritto pagine indispensabili Giovanni Codevilla (2) nazione identificata non con un gruppo etnico ma con la fedeltà alla Chiesa e al sovrano e sospesa in “ampi spazi per il sogno e per la realtà”.

RUSSIA, USA, UCRAINA: IL GIOCO DELLE PARTI

C’è uno strano gioco delle parti, nella crisi ucraina che è in corso dal 2014 ma è stata scoperta, sembra, tutta d’un colpo nelle ultime settimane. La Russia chiede agli Usa e alla Nato cose palesemente impossibili da ottenere, per esempio che a Ucraina e Georgia sia comunque negato l’ingresso nella Nato. Ma quale alleanza (non solo quella Atlantica) sbarrerebbe le porte a nuovi potenziali aderenti? E quale potenza, non solo gli Usa che peraltro della Nato sono i signori, discriminerebbe tra alleati, dicendo tu e tu sì, tu e tu no? Il sospetto è che al Cremlino abbiano in mente altro e, come ha scritto Fyodor Lukyanov in un articolo che abbiamo rilanciato, il gioco di Mosca consista proprio nel farsi dire un bel no, per procedere con altre misure o per chiedere altro.

INVASIONE RUSSA, SLEEPY JOE HA UN’IDEA

In un mondo ideale, dopo quanto ha scritto qui Marco Bordoni, sulla presunta invasione russa dell’Ucraina non bisognerebbe spendere nemmeno un’altra parola. E invece tocca farlo, perché nel rumore generale resti almeno la piccola traccia di un possibile ragionamento. La domanda fondamentale è: perché la Russia dovrebbe invadere l’Ucraina, un Paese di 45 milioni di persone, vasto due volte l’Italia, sempre più animato da giusto orgoglio nazionale e mediocre fanatismo nazionalista, ormai pure bene armato visto che tutti fanno a gara a coprirlo di aiuti (ultimo il Regno Unito, che ha appena destinato un altro miliardo di sterline agli aiuti a Kiev)?