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Russi conformisti o saggi? Parliamone

Lettera da Mosca resta fedele ai suoi intenti, primo fra tutti quello di pubblicare materiali non banali sulla Russia, a prescindere dall’orientamento ideologico e dalla provenienza. Per provare a capire prima di giudicare. E per uscire da quella brutta sceneggiatura hollywoodiana, genere “Ti spiezzo in due”, che è nella maggior parte dei casi l’informazione corrente sulla Russia. Per questo abbiamo pubblicato i due interessanti articoli ( qui e qui) di Andrey Kolesnikov, prestigioso osservatore della società e della politica russa. In essi l’autore spiega perché il consenso per Navalny non cresce, anzi, pare addirittura calare. E perché la maggioranza (più o meno silenziosa) dei russi continua a stare dalla parte di Vladimir Putin e del Cremlino.

Sono articoli super-documentati, ricchissimi di dati e di spunti. E Kolesnikov, che è chiaramente critico dell’attuale “regime” russo, ha (come del resto gli è proprio) l’intelligenza e l’onestà di lavorare su un presupposto che dalle nostre parti viene costantemente negato: e cioè che Putin gode di un consenso reale. Magari gonfiato dal sistema dei media e dall’organizzazione politica ma comunque assai superiore a quello di qualunque vero o presunto oppositore. Eppure, alla fin fine, è come se Kolesnikov avesse tutti gli argomenti giusti ma ne traesse conclusioni solo in parte condivisibili.

Prendiamo per esempio il primo articolo. Possibile che i russi non seguano Navalny solo perché affetti da “conformismo di massa” e dalla pervicace volontà (tinta di nazionalismo) di negare gli aspetti negativi del sistema di potere putiniano? Non sarà anche che, come lo stesso Kolesnikov sottolinea, “abbasso Putin” è solo uno slogan e non una seria e perseguibile alternativa? I russi, racconta il sociologo, non credono che Navalny sia stato avvelenato o che sia russa la responsabilità per l’abbattimento del Boeing delle Malaysia Airlines. È solo perché fanno come le tre scimmiette (non vedo, non sento, non parlo) o anche perché da lungo tempo sono bombardati da una propaganda occidentale sempre più fragorosa, visto che attribuisce a Putin e alle sue trame anche la responsabilità del maltempo?

Lo stesso vale per il secondo, interessante articolo. Qui Kolesnikov spiega il perdurante sostegno al Cremlino della “maggioranza silenziosa”. Descrive giustamente l’abnorme lunghezza della stagione putiniana, e la sua attuale stagnazione, come un problema. Basterebbe peraltro seguire la cronaca, che con cadenza quotidiana inanella rimozioni di governatori arresti per corruzione di alti funzionari.  Non v’è dubbio inoltre che, come argomenta Kolesnikov, la crescente dipendenza economica delle famiglie russe dai redditi o dai benefici elargiti dallo Stato (e non dall’impresa privata) sia un fattore di regresso. E individua  correttamente  (lo scriviamo anche noi da anni) il divide tra giovani e meno giovani come uno degli elementi da studiare nella società russa.

Ma i russi “over 55” che preferiscono questa minestra a un salto dalla finestra sono solo banali conformisti? Chi oggi ha 55 anni ne aveva 34 quando cominciò la stagione di Boris Eltsin e quasi trenta all’inizio della perestrojka. E via così per chi ne ha 60 o 65. Vuol dire che ha vissuto da adulto, e le ricorda bene, due stagioni consecutive di sconvolgimento politico e sociale. L’impoverimento di questi anni post-Crimea di cui parla Kolesnikov è nulla in confronto all’impoverimento da “terapia di shock” dei primi anni Novanta. Pare quindi del tutto normale che oggi gli “over 55” russi temano il cambiamento e lo considerino un potenziale fattore di rischio. Così com’è logico che i giovani, che di perestrojka e eltsinismo hanno solo sentito parlare o quasi, abbiano l’atteggiamento opposto. Ma perché il primo dovrebbe essere ottuso e il secondo illuminato?

Lettera da Mosca

 

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