Sia chiaro, pareri solidi e certezze sono merce rara, e sarebbe tanto bello averne, con quel che succede dall’Ucraina a Gaza. Eppure, ci stiamo facendo l’idea che se in Medio Oriente non è ancora venuto giù tutto sia perché sta tenendo il patto tra Russia e Israele, e in particolare tra Vladimir Putin e Benjamin “Bibi” Netanyahu. Strano? No, per niente. Almeno per chi prova a guardare oltre le stentoree dichiarazioni di principio, che vano bene per i giornali ma nella politica internazionale contano fino alla dichiarazione successiva e di tenore opposto.
Posts tagged as “zelensky”
Com’era ampiamente prevedibile, dopo i grotteschi tentativi, all’epoca della presa di Mariupol’ da parte dei russi, di sciacquare i panni filo-nazisti del Battaglione Azov, ecco quelli ancor più disperati e disperanti di tramutare le SS naziste in un variegata compagnia dove alcuni erano nazisti e altri si trovavano lì per caso. D’altra parte l’ho scritto subito, siamo tutti un po’ canadesi, tutti inclini ad onorare l’ex ufficiale della Divisione Galizia delle SS Gunka, tutti o quasi affetti dalla sindrome che ci spinge a considerare buono tutto ciò che oggi va contro la Russia. Come la maschera piemontese di Garibuia che, dice la tradizione, si tagliava gli attributi per far dispetto alla moglie.
di Pietro Pinter – Sono passati più di 3 mesi da quando le forze armate ucraine hanno lanciato la loro preannunciata offensiva di primavera-estate. Negli ultimi 100 giorni un contingente di circa 12 brigate, equipaggiato con le migliori forniture militari che la NATO è stata in grado di offrire e con quanto restava della riserva strategica di veicoli corazzati sovietici, in preparazione almeno dall’inverno scorso, si è scagliato contro linee difensive russe altrettanto lungamente preparate. Secondo la maggior parte delle analisi autorevoli, una tra tutte quella del capo di stato maggiore americano Mark Milley, l’offensiva ucraina si esaurirà nei prossimi 30-60 giorni a causa del mutamento del meteo (che renderà il terreno prevalentemente rurale dello Zhaporozhye una palude fangosa) e del deterioramento delle capacità offensive dovuto all’attrito.
Ma Roman Abramovich, l’oligarca russo residente nel Regno Unito, sanzionato dal Governo inglese a causa dell’invasione russa dell’Ucraina e nel maggio del 2022 costretto a vendere il famoso club calcistico Chelsea di cui era proprietario da vent’anni, che vuol fare? Il club è stato rilevato da un gruppo americano e ad Abramovich sono andati 2,3 miliardi di dollari, che il magnate aveva promesso di destinare agli ucraini vittime della guerra. Adesso, però, al momento di finalizzare l’accordo con il Governo inglese e di far partire i soldi, Abramovich ha cambiato idea: vuole che metà della somma vada, sì, agli ucraini ma l’altra metà finisca invece alle famiglie dei russi vittime della guerra. Cosa che, ovviamente, fa infuriare il Governo di Sua Maestà e l’intera Commissione Europea. Tanto più che, senza la firma dell’oligarca, i quattrini non possono partire.
Interessante ricostruzione del quotidiano svizzero Neue Zürcher Zeitung, che fa riferimento a fonti interne ai circoli politici tedeschi. A metà gennaio, il presidente degli Stati Uniti Joe Biden avrebbe incaricato il capo della CIA, William Burns, di visitare Kiev e Mosca e valutare la loro disponibilità ai negoziati. Una missione portata a termine, anche se poi i media occidentali hanno parlato solo dell’incontro con il presidente ucraino Zelensky. Secondo le indiscrezioni, Burns avrebbe proposto a Kiev e Mosca un piano basato sull’idea “territori in cambio di pace”. Secondo questo piano, la Russia terrebbe circa il 20% del territorio dell’Ucraina ma porrebbe fine alla guerra. Entrambi i Paesi hanno rifiutato. L’Ucraina non vuole territori, mentre la Russia crede che alla lunga riuscirà a vincere la guerra e magari ad occupare ancora più territori.
Il rapporto di Amnesty International che ha fatto tanto infuriare i trinariciuti nostrani alla fin fine è un quasi banale esercizio di giornalismo, quel giornalismo che così tanto manca alla narrazione della guerra nata dall’invasione russa dell’Ucraina. A differenza di quanto sostiene il presidente Zelensky, nel Rapporto non c’è alcun tentativo di “spostare le responsabilità” né di mettere sullo stesso piano in contendenti. Nel Rapporto, per esempio, si parla esplicitamente dell’uso di bombe a grappolo (vietate dal diritto internazionale) da parte della Russia, ed è solo un esempio.
“Ho decido di rimuovere dall’incarico il procuratore generale (Iryna Venediktova, n.d.r.) e il capo del servizio di sicurezza SBU (Igor Bakanov, n.d.r.) dell’Ucraina. Fino a oggi sono stati registrati 651 procedimenti penali per alto tradimento a carico di collaboratori della Procura degli organismi d’indagine e di altre forze dell’ordine. In 198 casi le persone interessate sono state raggiunte da un avviso di garanzia. In particolare, 60 collaboratori della Procura e dell’SBU sono rimasti nei territori occupati e lavorano contro il nostro Stato”. Quindi è questa, nelle parole dello stesso presidente Zelensky, la colpa che la Venediktova e Bakanov devono scontare. I due sono ora nel limbo, tra l’accusa di incapacità e quella di complicità in tradimento.
Nel frenetico scambio di lettere tra la Commissione Europea e il Governo della Lituania, l’ultima proposta pare sia questa: la Ue farebbe un’eccezione alle sanzioni e permetterebbe alla Russia di continuare a rifornire l’exclave di Kaliningrad attraverso i 90 chilometri di territorio lituano tra la Bielorussia e, appunto, Kaliningrad, a patto che la Russia non aumenti il volume delle merci attualmente trasportate verso l’exclave. L’idea è che evitare, in questo modo, che il porto di Kaliningrad diventi lo strumento del Cremlino per importare ed esportare e alleviare il peso della guerra economica decretata da Usa e Ue. Il timore è invece che la Russia a un certo punto si stufi e, d’accordo con la Bielorussia, occupi il cosiddetto “corridoio di Suwalki”, interrompendo il confine di terra dei Paesi Baltici con il resto d’Europa e mettendo la Nato, nell’ipotesi più estrema, nella condizione di scegliere (per dirla brutalmente) se affrontare una guerra mondiale per difendere la Lituania (6 milioni di abitanti).