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QUANDO PUTIN PARLA DI NEGOZIATO…

Dall’Eco di Bergamodi Fulvio Scaglione – A dispetto dei modi glaciali, Vladimir Putin non è mai stato privo di un certo senso del teatro. Non stupisce, quindi, che abbia atteso questa riunione del G20 (virtuale, orfano di Joe Biden e Xi Jinping ma pur sempre un G20) per fare una mossa sull’Ucraina. «Nei loro discorsi, i leader hanno detto di essere scioccati dalla continua aggressione della Russia all’Ucraina», ha detto il presidente russo: «Certo: l’azione militare è sempre una tragedia per gli individui, per le famiglie, per i Paesi. E certo, dobbiamo pensare a come fermare questa tragedia. Tra l’altro, la Russia non ha mai rifiutato il dialogo per la pace con l’Ucraina. Non è stata la Russia ma l’Ucraina ad annunciare pubblicamente di avere lasciato il tavolo negoziale».

L’apertura tanto attesa? La speranza che tutti andavano cercando? Non tanto. Anzi: per nulla. E lo dimostrano le reazioni dei leader occidentali, più irritati che attratti dalle dichiarazioni di Putin. Prendiamo la risposta della nostra premier Giorgia Meloni: se la Russia vuole la pace deve fare una cosa semplice, ritirare le truppe dalle zone occupate. Qualcuno davvero crede che il Cremlino voglia anche solo immaginare di farlo? Per vedere la questione al rovescio: qualcuno ha la sensazione che l’Ucraina stia per ottenere ciò che desidera, ovvero il ritorno ai confini del 1991, con il recupero dell’intero Donbass, della Crimea e della parte delle regioni di Kherson e Zaporozhia ora controllate dai russi? No, vero? Appunto.

E allora, perché Putin si è speso per aprire uno spiraglio a un negoziato che peraltro il presidente Zelensky rifiuta al punto da stabilire per decreto, già nel settembre 2022, che qualunque trattativa con la Russia è inaccettabile? Per rispondere alla domanda, basta osservare la situazione concreta. Dal lato ucraino: la controffensiva è fallita, lo sforzo ha decimato le forze migliori e ha aperto crepe insidiose nella dirigenza del Paese, come le polemiche tra Zelensky e il generale Zaluzhny dimostrano; gli alleati occidentali (non è certo un caso se negli ultimi giorni sono arrivati a Kiev il ministro della Difesa Usa Lloyd Austin, quello tedesco Boris Pastorius e il presidente del Consiglio europeo Charles Michel) faticano, per ragioni politiche e industriali, a rifornire l’Ucraina come hanno fatto nel primo anno e mezzo di guerra; la stessa Ucraina è un Paese che si sta spopolando, vive di assistenza finanziaria estera ed è assai più lontano a entrare nella Ue e nella Nato di quanto certe dichiarazioni entusiastiche (più da noi che da loro) possano far pensare.
E ora il lato russo: il Cremlino mostra, con la censura, le leggi repressive e il consenso di una parte della popolazione, di mantenere un solido controllo sul Paese; la macchina economica ha resistito alle sanzioni e l’apparato militar-industriale produce senza sosta; sono molti i Paesi che, per ragioni diverse, continuano a interagire con la Russia, che nel 2023 chiuderà con un attivo commerciale di 75 miliardi di dollari. E dal punto di vista militare il peggio (le lotte tra generali, gli errori strategici, l’ammutinamento di Prigozhin) sembra passato. Tutto questo per dire che a Putin costa poco, anzi niente, parlare di negoziati. Intanto sa che gli avversari non accetteranno mai. E poi, se per caso accettassero, partirebbero da condizioni di oggettivo svantaggio.
Quindi la Russia sta vincendo? No. L’abbiamo scritto spesso: questa guerra avrà solo perdenti. Ma l’obiettivo che Zelensky si era assunto per il proprio popolo e per l’intero Occidente, e che il segretario generale della Nato Jens Stoltenberg ribadisce di continuo, ovvero sconfiggere la Russia per tagliare gli artigli al suo imperialismo e alla minaccia che esso costituisce per l’attuale ordine mondiale, sembra oggi molto difficile da raggiungere. Ed è proprio questo che Putin, con le sue parole, voleva sottolineare davanti a molti dei più importanti leader del mondo. Anche perché il caso Israele-Gaza dimostra che il mondo non aspetta, offre nuove sfide e impreviste possibilità. Il dialogo Israele-Russia che continua, i ministri degli Esteri dei Paesi arabi che volano a Mosca e molti altri fattori indicano che Putin ha scelto il passo della maratona. Ed è su questo che dovremo saperci misurare.
di Fulvio Scaglione

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