Il rapporto di Amnesty International che ha fatto tanto infuriare i trinariciuti nostrani alla fin fine è un quasi banale esercizio di giornalismo, quel giornalismo che così tanto manca alla narrazione della guerra nata dall’invasione russa dell’Ucraina. A differenza di quanto sostiene il presidente Zelensky, nel Rapporto non c’è alcun tentativo di “spostare le responsabilità” né di mettere sullo stesso piano in contendenti. Nel Rapporto, per esempio, si parla esplicitamente dell’uso di bombe a grappolo (vietate dal diritto internazionale) da parte della Russia, ed è solo un esempio.
La vera colpa di questo Rapporto Amnesty è di graffiare l’immagine artificiale che i media occidentali hanno costruito di questa guerra, e che ha trovato la perfetta sintesi nel servizio di Vogue sui coniugi Zelensky: una guerra finta, patinata, dove il Paese aggredito, l’Ucraina, è popolato di eroi senza macchia e senza paura e il Paese aggressore, la Russia, di malfattori tanto vili quanto incapaci. Pensiamo alle cronache della guerra: per mesi ci è stato raccontato che l’esercito dell’Ucraina passava di vittoria in vittoria, fino al giorno in cui ci si è ritrovati con i russi in controllo del 20% del territorio ucraino. Idem con tutto il resto. Chi non ricorda “l’eroe” ucraino, il generale Zaluzhny, contrapposto al “macellaio” russo, il generale (poi vice ministro della Difesa) Dvornikov? L’eroe Zelensky con la maglietta da soldato contrapposto a Putin che molti, per settimane, hanno descritto malato e chiuso in un bunker?
E così via. La vera colpa del Rapporto di Amnesty è di rifiutare la trasformazione di una guerra in una favola, in una specie di tre porcellini e il lupo. Perché chi ha visto qualche guerra, come il sottoscritto che ha cominciato con la Cecenia nel 1994 e ha finito (forse) con la Siria degli anni scorsi, sa ciò che tutti coloro che hanno fatto queste esperienza sanno: sì, ci si nasconde dietro i civili, nella speranza che questo freni il nemico; sì, si spara anche dai centri abitati, da dietro i condomini, dai cortili, nella speranza di cogliere di sorpresa il nemico; sì, si spara al nemico anche sapendo che a essere colpiti potrebbero essere i civili dell’altra parte. Lo fanno tutti, in tutte le guerre. Perché il motto di chi combatte è: meglio loro di me. E non si vede proprio perché gli ucraini dovrebbero combattere in guanti bianchi di fronte a un avversario potente e senza guanti. Infatti non lo fanno per niente.
Purtroppo a pontificare qua e là sono soprattutto quelli che parlano delle guerre senza mai averne vista una. Se non fosse così, saprebbero non solo che cos’è successo a Grozny nel 1999 (ceceni asserragliati tra le abitazioni, russi a sparare a tappeto) o ad Aleppo nel 2016 (idem), ma anche ciò che successe a Fallujah nel 2004 (islamisti nascosti tra la popolazione, esercito Usa a usare anche il napalm) o a Raqqa nel 2017 (Stato islamico mischiato ai civili, bombe Usa che fecero migliaia di morti civili). È la guerra del nostro secolo, quella in cui muoiono molti più civili che militari. Poi, certo, i tre porcellini…
Fulvio Scaglione
Direi che è dai tempi della Comune di Parigi che, nei tempi moderni, i civili vengono pesantemente coinvolti nella guerra. Per non parlare dell’ antichità.
Ottimo articolo con ottimo equilibrio.