Torniamo a occuparci della Siria. Il Paese rischia di deflagrare o di riprecipitare in una guerra civile su vasta scala di cui, peraltro, si avvertono da settimane le avvisaglie e che potrebbe coinvolgere anche le forze armate russe, presenti nel Paese dal 2015 e tuttora molto attive, nonostante qualche regola d’ingaggio un po’ meno elastica e qualche riduzione di uomini e mezzi. Il tutto mentre la popolazione soffre per una situazione economica disastrosa, che il Presidente Assad non riesce in alcun modo a governare, stretto tra la corruzione dei vertici politici, l’inefficienza dell’apparato burocratico e il peso delle sanzioni. L’ultimo provvedimento è stato raddoppiare i salari e ridurre i sussidi su carburanti e gasolio. Poca roba visto che il dollaro oggi vale 14 mila lire siriane, mentre prima della guerra era quotato a 52.
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Dal servizio russo della BBC – Il ministro della Difesa rumeno, Angel Tylver, ha confermato che i rottami di quello che potrebbe essere un drone russo sono stati rinvenuti nel distretto di Plauru, nella contea di Tulcea, al confine con la città ucraina di Izmail, nella regione di Odessa. “Abbiamo esaminato un’area molto vasta, compresa quella sulla quale si è discusso nello spazio pubblico, e confermo che in quest’area sono stati trovati frammenti che potrebbero provenire da un drone”, ha detto il ministro della Difesa rumeno in un commento ad Antena 3, aggiungendo che gli oggetti ritrovati saranno analizzati per confermarne l’origine. A sua volta, il presidente rumeno Klaus Iohannis ha osservato che se fosse confermato che i componenti trovati appartengono a un drone russo, ciò costituirebbe una “grave violazione della sovranità e dell’integrità territoriale della Romania”. Solo due giorni fa il ministero della Difesa rumeno aveva smentito questa informazione.
Ci chiediamo spesso a chi serva e quali scopi abbia l’ossessiva campagna contro la propaganda russa in Italia, contro le ingerenze russe che cercano di orientare la politica e l’opinione pubblica italiana in senso pro-Mosca e, nell’attuale contingenza, anti-Kiev. Un senso deve pure averlo, questa campagna di allerta perenne così esagerata rispetto alle dimensioni del problema. È ovvio che i russi fanno propaganda, ovunque e comunque possano. Allo scopo, per costruirsi un certo soft power e far passare la propria linea, avevano lanciato tutta una serie di mezzi di comunicazione, tradizionali e social, come Russia Today e Sputnik, tra l’altro ben distribuiti in giro per il mondo (ma bloccati dall’inizio dell’invasione russa). È ciò che fanno tutte le potenze, in buona o in cattiva fede. Ma l’esagerazione resta e proviamo a vederne qualche aspetto.
di Vladimir Rozanskij (AsiaNews) – Kiev – Un gruppo di oltre 300 sacerdoti della Chiesa ortodossa ucraina (Upz), ancora formalmente legata al patriarcato di Mosca, ha inviato una lettera al metropolita Onufryj (Berezovskyj) di Kiev, capo della giurisdizione ucraina, esprimendo la propria costernazione dopo la distruzione della cattedrale della Trasfigurazione di Odessa, una delle maggiori chiese Upz di tutto il Paese. “Non vogliamo soffrire né per la Russia, né per Putin e neppure per Kirill”, si legge nell’appello, in cui si chiede di troncare immediatamente e in via definitiva le relazioni con la Chiesa moscovita.
Ella Libanova, direttrice dell’Istituto per la Demografia e gli Studi sociali dell’Accademia nazionale delle scienze dell’Ucraina, ha scritto il seguente articolo per il blog Focus Ukraine del Kennan Institute, centrato sulle dinamiche della popolazione ucraina.
“La situazione demografica ucraina è una questione incredibilmente complessa. Sollevare semplicemente la questione della popolazione richiede che prima chiariamo il nostro quadro di riferimento. Stiamo parlando della popolazione ucraina che vive all’interno dei confini dell’Ucraina riconosciuti a livello internazionale, i cosiddetti confini del 1991? O della popolazione ucraina che abita il territorio entro i confini del 1991 ma senza Crimea e Sebastopoli (questa è l’area all’interno della quale il Servizio statistico statale dell’Ucraina ha raccolto i dati nel 2015-2021)? O della popolazione sia dei territori controllati dalle autorità ucraine prima dell’inizio dell’aggressione russa (i cosiddetti confini del 2022) sia delle regioni non controllate dal Governo? O della restante popolazione che vive nel territorio controllato dalle autorità ucraine dopo l’inizio dell’invasione russa e, in caso affermativo, in quale mese, poiché la situazione attuale è altamente instabile?
di Giuseppe Gagliano – Dal 2013, la Russia usa e sovente abusa della “guerra ibrida”. Annullando la distinzione tra tempo di pace e tempo di guerra, combinando hard e soft power, questo concetto strategico permette al Cremlino di testare le posture e le reazioni del campo occidentale. Come sappiamo questa dottrina strategica è stata teorizzata dal generale Valery Gerasimov, ma fa parte di una lunga tradizione. È nata da una dimensione particolare della strategia dell’Impero bizantino, e trova la sua prima bozza nella raccolta di conferenze del 1920 del generale Alexandr Svechin. Essa ha influenzato la dottrina Primakov, che ha guidato la politica estera russa per più di due decenni. Nato a Kiev, ministro degli Esteri e poi primo ministro dal 1996 al 1999 sotto il presidente Eltsin, Evgenji Primakov postula che un mondo unipolare dominato dagli Stati Uniti è inaccettabile e che la Russia deve fare da contrappeso all’egemonia degli Stati Uniti favorendo l’emergere, in un nuovo patto, di nuove potenze come la Cina o l’India.
Ma Roman Abramovich, l’oligarca russo residente nel Regno Unito, sanzionato dal Governo inglese a causa dell’invasione russa dell’Ucraina e nel maggio del 2022 costretto a vendere il famoso club calcistico Chelsea di cui era proprietario da vent’anni, che vuol fare? Il club è stato rilevato da un gruppo americano e ad Abramovich sono andati 2,3 miliardi di dollari, che il magnate aveva promesso di destinare agli ucraini vittime della guerra. Adesso, però, al momento di finalizzare l’accordo con il Governo inglese e di far partire i soldi, Abramovich ha cambiato idea: vuole che metà della somma vada, sì, agli ucraini ma l’altra metà finisca invece alle famiglie dei russi vittime della guerra. Cosa che, ovviamente, fa infuriare il Governo di Sua Maestà e l’intera Commissione Europea. Tanto più che, senza la firma dell’oligarca, i quattrini non possono partire.
di Pietro Pinter Mentre la controffensiva ucraina ancora si limita a qualche avanzata nelle campagne occidentali della città di Bakhmut, dove gli uomini del Gruppo Wagner ad un ritmo glaciale sgomberano “l’ultimo chilometro quadrato rimasto” in mano alle forze armate ucraine, le azioni più eclatanti in Ucraina avvengono sul fronte della guerra aerea. Il 14 maggio, l’aviazione russa ha colpito un bersaglio nell’oblast di Khmelnitsky, in Ucraina occidentale, causando quella che da molti è stata definita la più grande esplosione dall’inizio della guerra. Il noti analisti militari russi di Rybar sostengono che sia stato colpito un deposito di munizioni, altri ritengono addirittura che siano saltate le famose munizioni
all’uranio impoverito fornite dal Regno Unito, osservando un aumento nella radiottività di fondo della zona, poi rilevato nei giorni successivi anche in Polonia. Secondo gli ucraini, si è trattato invece di un attacco contro un deposito di carburante. È solo uno di molti episodi analoghi delle ultime settimane, in cui i russi sono riusciti a colpire obiettivi di valore –
depositi di munizioni e/o carburante, a giudicare dalle esplosioni – nelle retrovie ucraine: accade anche a Pavlograd, a Nykolaev, a Odessa e a Ternopil.
di Pietro Pinter È passato un anno da quando constatavamo – dopo una parata del 9 maggio “tranquilla” a Mosca anche se per certi versi atipica – che la guerra sarebbe proseguita senza particolari scossoni o svolte, con le forze armate russe che lentamente espugnavano la “fortezza” di Azovstal, la roccaforte ucraina di Mariupol’, in uno degli ultimi successi militari che avrebbero avuto prima che la controffensiva ucraina, mesi dopo, riconquistasse quasi tutto l’oblast’ di Kharkov e metà di quello di Kherson, inclusa il capoluogo. Quest’anno però, oltre alle incognite sulla parata alimentate dal clamoroso attacco con droni al Cremlino, se ne aggiunge anche una potenzialmente più importante: come andrà a finire la faida tra il “capitano di ventura” Evgenyj Prigozhin, fondatore e comandante del Gruppo Wagner, e le alte sfere della ministero della Difesa russo?