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XI E LA PARTITA DI MOSCA

di Pietro Pinter          Decifrare il comportamento di Pechino durante la guerra in Ucraina è complicato ma fondamentale, alla luce della visita di Xi Jinping a Mosca, a cui seguirà un colloquio con il presidente ucraino ZelenskyTra improbabili “rivelazioni” dei media che vedrebbero la Cina abbandonare la Russia un giorno sì e un giorno no, e valutazioni esagerate del sostegno che Pechino sarebbe disposta ad apportare allo sforzo bellico russo, è importante capire quali sono i reali obiettivi cinesi nella guerra in corso, quali gli strumenti usati finora e quali quelli che potrebbero essere usati in futuro. Qualche settimana fa Wang Yi, il plenipotenziario del politburo cinese per gli Affari Esteri, ha compiuto un viaggio in Europa con tappe in tutti i Paesi UE tradizionalmente (anche se alcuni non attualmente) vicini a posizioni di mediazione tra Russia e Ucraina (Ungheria, Italia, Francia, Germania) e conclusosi con la partecipazione alla Conferenza di Sicurezza di Monaco (dove i contatti con ucraini e membri del “campo oltranzista” della NATO sono stati sicuramente numerosi) e con una visita in pompa magna a Mosca. Dopo di che Xi Jinping ha rilasciato la sua tanto attesa “posizione” sulla guerra in Ucraina.

Una posizione che riesce a inviare i giusti segnali senza affermare niente di eccessivamente chiaro o radicale. Ciò che soprattutto traspare, però, è la volontà di tenere aperte entrambe le porte, di porsi davvero come mediatore credibile tra le due parti in guerra. O quantomeno di sembrarlo. E del resto è una posizione probabilmente sincera, in quanto la Cina ha un vero interesse affinché il conflitto finisca il prima possibile. La guerra in Ucraina è un gigantesco buco nero che rischia di fagocitare i proficui rapporti economici, infrastrutturali e quindi anche politico/strategici che Xi Jinping ha intessuto con dedizione con i Paesi dell’Unione Europea. Non solo è “bad for business“, ma il saldo posizionamento dei Paesi europei della NATO dietro una nuova cortina di ferro, e una loro ulteriore integrazione con gli USA (in pieno svolgimento, grazie ai nuovi legami energetici, allo spostamento delle multinazionali europee oltre atlantico e alla pistola alla tempia dell’Inflation Reduction Act approvato negli Usa) significherebbe giocoforza il loro graduale coinvolgimento (a dispetto della formale delimitazione geografica dell’alleanza al Nord Atlantico) nella “competizione sistemica” con Pechino. Gli accordi infrastrutturali vengono messi in discussione, le compagnie europee sono messe sotto pressione affinché partecipino con più convinzione all’embargo tecnologico, e via dicendo.

Se per Washington un’Europa a trazione anglo-polacca, in perenne conflitto strisciante con la Russia, è la condizione ideale, l’altra faccia della medaglia (una Russia che tiene impegnata militarmente l’intera UE) non è desiderabile per Pechino. Quello che la Cina perde con l’indebolimento dei suoi stretti legami con l’UE, non recupera guadagnando a buon mercato grosse fette di mercato e di export russo (ciò che alcuni erroneamente interpretano come volontà di “aiutare la Russia”, quando in realtà si tratta di operazioni estremamente vantaggiose per Pechino) né tantomeno “fissando” in Europa le potenze continentali della NATO, che comunque non potrebbero (né vorrebbero) fornire un grande supporto militare agli USA nei teatri che interessano a Pechino.  E dunque Xi vuole davvero la mediazione, con i benefici ancillari che la accompagnano: mostrare al “Sud globale”, che ha come vera priorità la rapida fine del conflitto, che la Cina è la superpotenza più in sintonia con i suoi interessi e i suoi desideri, in un tempo di feroce competizione per l’influenza in Africa, in Asia, in America Latina. 

Xi Jinping ha appena compiuto un grosso – in certi sensi storico – passo, facilitando la normalizzazione tra i due arci-nemici Iran e Arabia Saudita, e ponendo le basi per un ordine geopolitico nel Golfo Persico funzionale ai suoi interessi. L’obiettivo è fare lo stesso in Europa, dove il “premio” è molto più grosso, in un momento della guerra segnato dallo stallo militare.
Ma se la mediazione non dovesse funzionare, Pechino tiene pronto un “piano B” che consiste nel minacciare la fornitura di armi alla Russia, se essa dovesse rischiare di collassare sul campo a fronte di un maggiore sostegno NATO all’Ucraina. Lo fa tramite il ministro degli esteri Qin Gang, che evidenzia le forniture di armi americane a Taiwan, e rimettendo in stato da combattimento le sue riserve in un enorme deposito militare nello Xinjiang. Del resto un mediatore credibile (come la Turchia, che interrompe le importazioni parallele della Russia per costringerla a rinnovare l’accordo sul grano) deve disporre sia del bastone che della carota. 

La Cina dispone di entrambi, ed è proprio questo che potrebbe portare se non alla fine almeno al congelamento del conflitto. Oltre alla deterrenza nucleare russa, il potenziale coinvolgimento di Pechino nel conflitto aggiungerebbe un altro elemento di rischio per la NATO, scoraggiandola dal cercare di sconfiggere veramente (come ancora si dichiara pubblicamente) la Russia sul campo. 

Fatte queste valutazioni, l’Europa potrebbe cedere alla “carota” dei massicci investimenti, promessi da Pechino, mirati a sanare la ferita nel centro del continente. Gli Stati Uniti, soddisfatti da quanto già ottenuto in termini di recisione dei rapporti tra Russia e Europa e di “pakistanizzazione” dell’Ucraina, potrebbero non obiettare, soprattutto perché è inverosimile che gli europei riescano a sostenere lo sforzo bellico ucraino senza un sostanziale contributo americano. Russia e Ucraina, secondo ogni evidenza inclini a continuare a combattere, non avrebbero comunque la possibilità di condurre grandi offensive, potendo contare solo sulla propria industria bellica (la prima) o su aiuti esteri ridotti (la seconda).  Questi sono probabilmente gli scenari a cui Pechino si prepara, e verso cui lavora. In ordine di preferenza: soluzione della guerra “con caratteristiche cinesi”, congelamento della guerra, entrata nella guerra. 

di Pietro Pinter

fondatore e animatore del canale Telegram Inimicizie

 

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