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FUORI LE ARMI, POI SI TRATTA

“È un mondo (quello di oggi, n.d.r) in cui c’è un padrone, un sovrano. Alla fine questo non solo è pericoloso per tutti quelli compresi in questo sistema, ma anche per il sovrano stesso, perché distrugge se stesso dall’interno. E questo non ha niente in comune con la democrazia. Perché, come voi sapete, la democrazia è il potere della maggioranza alla luce degli interessi e delle opinioni della minoranza… Io penso che nel mondo d’oggi il modello unipolare non solo sia inaccettabile ma che sia anche impossibile. E questo non solo perché se ci fosse una singola leadership nel mondo d’oggi – soprattutto in quello d’oggi – le sue risorse militari, politiche ed economiche non basterebbero. Ma, cosa ancora più importante, il modello stesso sarebbe viziato, perché alla sua base non ci potrebbe essere alcun fondamento morale per la moderna civiltà. Quello che sta accadendo nel mondo di oggi… è esattamente il tentativo di introdurre negli affari internazionali il concetto di un mondo unipolare”. Chi l’ha detto? Vladimir Putin. Quando l’ha detto? Il 10 febbraio 2007 a Monaco di Baviera, intervenendo alla Conferenza sulla Sicurezza. Dovremmo ricordarcene, ora che le armi sono uscite dagli arsenali e i leader fanno a gara nel tramortiti con minacce e previsioni di guerra.

Perché il problema, oggi, è pari pari quello del 2007. È concepibile e realizzabile, nella nostra epoca, un mondo unipolare? Gli Usa, con ogni evidenza, pensano di sì: che sia auspicabile e anche realizzabile. Russia e Cina, con ogni evidenza, pensano di no: che non sia auspicabile e che sia anche impossibile da realizzare, che sia rischioso persino provarci. Poco dopo quel discorso, in cui esprimeva tutta l’insoddisfazione teorica della Russia per l’assetto internazionale, Putin diede una dimostrazione pratica. Dopo una serie di provocazioni reciproche, la Georgia provò a risolvere con la forza la questione dei separatisti dell’Ossetia del Sud, e la Russia rispose con più forza, tirando fuori le armi e portando i carri armati fino alle porte della capitale Tbilisi. La stessa cosa che, più in grande, ha fatto nel 2014 con la Crimea, il Donbass e in genere l’Ucraina.

In entrambi i casi la Russia non ha dovuto fronteggiare una vera e pericolosa reazione militare. Ma il punto non è questo. L’Occidente e la Russia, fino a ieri, non hanno affrontato la vera questione di fondo, che è: la Russia ha diritto ad avere interessi, strategie, esigenze, preoccupazioni? E tutto questo può e deve essere discusso nell’arena internazionale? Oppure la Russia non ne ha diritto, è un Paese dismissibile e trascurabile, esiste una sola potenza al mondo e in definitiva tutto è affidato a chi è più forte, ha più armi, ha un’economia più potente, ha più alleati?

Dal 2007, almeno, cioè negli ultimi quindici anni, la questione è tutta qui. Finora gli Usa e la Nato hanno fatto come se la Russia non avesse voce in capitolo. E la Russia, non potendo competere alla pari, si è adattata, con qualche parziale dimostrazione di resistenza (vedi, appunto, la Georgia) di non grandissimo impegno. Adesso, però, la Russia non si rassegna più. Fa parlare le armi, le forze armate, i missili, l’arsenale. L’hanno detto, in pochi giorni, Putin, il ministro degli Esteri Lavrov, il vice-segretario del Consiglio di Sicurezza Medvedev: con l’Ucraina assorbita nel sistema di sicurezza americano, la Russia non sa più dove ritirarsi. È con le spalle a un muro chiamato Cina. O si fa assorbire da Pechino o prova a reagire. Come appunto sta facendo.

Questi discorsi, è ovvio, non hanno nulla a che fare con categorie come democrazia, autodeterminazione dei popoli, valori e tutto l’armamentario che di solito accompagna la propaganda nella politica internazionale. È sempre e solo questione di interessi.

Però una cosa va notata. Dal 2007 del discorso di Putin a Monaco a oggi, Usa e Nato hanno fatto finta di niente. Un allargamento qui, un’alleanza là, qualche miliardo ben speso in Ucraina ed eccoci arrivati ai confini della Russia. Adesso che la Russia sperimenta  missili ipersonici, fa manovre militari con la Cina e con l’Iran, sposta decine di migliaia di soldati, insinua la possibilità di dispiegare missili a Cuba e in Venezuela, ovvero alle porte degli Usa, e in generale tutti fanno gli isterici sulla possibilità di una guerra mondiale in Europa, si tratta. E non su questa o quella quisquilia, come prima, ma su dove debba cominciare o finire la Nato, su chi possa o non possa entrarci.

Finirà come deve finire, magari in niente sotto tutti i punti di vista. Ma l’Occidente tratta solo quando le armi escono dagli arsenali, e vogliamo definirla una strategia? Vogliamo definirla intelligenza politica? E se pensiamo alla Russia, è possibile che un Paese così non trovi, almeno con l’Europa, una via di dialogo (con gli Usa non c’è e non ci sarà mai) che non passi per la più o meno esplicita prova di forza o che non sia basata solo sull’interesse economico?

Lettera da Mosca 

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