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PERCHE’ A BIDEN IL CREMLINO PIACE NEMICO

di Andrej Kortunov – Nelle analisi di politica estera degli americani, Russia e Cina sono da tempo diventate le principali minacce geopolitiche per gli Stati Uniti. Spesso non viene fatta alcuna distinzione tra i due Paesi. Sono elencati magari insieme con Iran, Corea del Nord, Siria, Venezuela e altre fonti di preoccupazione per Washington. Nel complesso, le linee strategiche del “doppio contenimento” sono le stesse sia per Mosca sia per Pechino. Ci sono tuttavia politici ed esperti più acuti che provano a mettere in rilievo non solo le somiglianze ma anche le differenze tra i due avversari strategici dell’America. Anche Joe Biden si è pronunciato e ha detto che la Russia è oggi il principale nemico degli Stati Uniti, mentre la Cina è il principale concorrente.

Come si vede, c’è una sfumatura … Qual è la differenza tra un concorrente e un nemico? Il concorrente nel suo insieme gioca secondo le regole, anche se a volte è pronto a infrangerle. Per un nemico, invece, non ci sono regole. Un concorrente cerca di portarti via il mercato o le posizioni geopolitiche più vantaggiose. Il nemico attacca le tue istituzioni e i tuoi valori. Con il primo si può cercare di mettersi d’accordo in modo amichevole, con reciproche concessioni e compromessi. Con il secondo si deve combattere fino alla fine. In generale, meglio essere un concorrente che un nemico.

Nel suo tentativo di distinguere i principali avversari degli Stati Uniti in diverse categorie, Biden non ha inventato nulla di nuovo. Gli Stati Uniti hanno cercato di mettere Mosca e Pechino l’una contro l’altra fin dalla metà del secolo scorso. I maggiori risultati furono ottenuti dall’astuto Henry Kissinger, che, per contrastare l’Unione Sovietica, varò un’ampia normalizzazione delle relazioni con la Cina comunista, pagando per questo un prezzo politico considerevole. La tattica di Kissinger era abbastanza logica: entrare in partnership con un avversario più debole per isolarne uno più forte. E questa tattica cinquant’anni fa ha avuto un certo successo. In ogni caso sembrava un successo. Kissinger non poteva prevedere che, approfittando tra l’altro dell’appoggio americano, in circa mezzo secolo Pechino si sarebbe trasformata nel principale rivale di Washington.

Se Joe Biden fosse stato uno studente diligente di Henry Kissinger, probabilmente avrebbe assegnato il titolo di “principale nemico” dell’America non alla Russia ma alla Cina. Perché secondo quasi tutti i parametri, ad eccezione della dimensione militare-strategica, Pechino ha largamente superato Mosca. In un certo senso, Donald Trump ha cercato di utilizzare l’esperienza di Kissinger, anche se il suo dichiarato desiderio di avvicinarsi alla Russia, trascinando Vladimir Putin “nella parte giusta della storia”, in quattro anni non ha prodotto nullificavano di concreto. Joe Biden, a quanto pare, sta cercando di diventare un “anti-Kissinger”, cioè “negoziare in modo amichevole” con la più forte Pechino e premere con decisione sulla più debole Mosca.

Possiamo discutere sulle ragioni di questo allontanamento dai precetti geopolitici di Henry Kissinger. Forse Joe Biden cerca di distinguersi il più possibile da Donald Trump, che non ha mai nascosto la sua simpatia, se non per la Russia in generale, almeno per il suo leader. È probabile che Biden abbia davvero più paura delle azioni decise e spesso imprevedibili di Vladimir Putin che delle mosse caute e calcolate di Xi Jinping. Non si può escludere che abbiano la loro importanza anche i sentimenti personali, le emozioni e le percezioni personali di Biden nei confronti dei leader russi e cinesi.

Capovolgere lo schema geopolitico di Kissinger senza dubbio troverà molti sostenitori nell’establishment politico di Washington. Per certi ambienti, la Russia è un “nemico” molto più conveniente della Cina. Per un confronto su vasta scala con la Cina, gli Usa dovrebbero pagare un prezzo assai alto: una riduzione del commercio bilaterale così importante per gli Stati Uniti, una rottura delle catene tecnologiche globali esistenti, un rapido aumento della spesa militare. Un confronto con la Russia sarebbe comunque molto meno costoso, dato il basso livello di interdipendenza economica e tecnologica tra i due Paesi, e data la minore capacità di Mosca a impegnarsi in una costosa competizione militare con l’America.

Non va sottovalutata, peraltro, la “memoria genetica” dell’establishment politico americano. Una parte significativa di esso, compreso lo stesso Joe Biden, si è formata durante la Guerra Fredda, nella fase in cui la Cina “buona” era avversaria dell’Unione Sovietica “cattiva”. Fino ad ora, la stragrande maggioranza degli esperti americani sulla Russia tratta Mosca in modo estremamente negativo, mentre la maggioranza degli esperti americani sulla Cina tende a mostrare simpatia o almeno comprensione nei confronti del Celeste Impero. Le stesse differenze fondamentali di percezione esistono tra la diaspora russa e quella cinese negli Stati Uniti. La maggioranza degli immigrati cinesi negli Stati Uniti fa lobby a favore della normalizzazione tra i due Paesi. Cosa che non si può dire per gli immigrati russi o di lingua russa.

È improbabile, però, che Joe Biden sia un anti-Kissinger di successo. Primo, perché non sarà più possibile raggiungere un accordo con la Cina “in modo amichevole”: le divergenze tra Cina e America si sono spinte troppo oltre. Per un accordo “amichevole”, la Casa Bianca dovrebbe essere pronta a riconsiderare alcune idee fondamentali sul ruolo degli Stati Uniti nel sistema delle relazioni internazionali, ad abbandonare le pretese di egemonia americana globale del XX secolo. Cosa a cui né Biden né il suo entourage sono, ovviamente, pronti. Una rivoluzione nella visione americana del mondo e del ruolo degli Usa inizierà, se mai inizierà, non prima del 2024. Fino ad allora le relazioni tra Washington e Pechino rimarranno difficili e tese.

In secondo luogo, proprio come Trump, nei quattro anni di presidenza, ha più volte verificato l’impossibilità di allontanare la Russia dalla Cina, così Biden scoprirà quanto sia impossibile “strappare” la Cina alla Russia. Pechino ha bisogno di Mosca a prescindere dallo stato e dalle prospettive delle relazioni sino-americane. La leadership cinese sarà molto felice di agire come arbitro Mosca e Washington, a Pechino hanno studiato attentamente il pensiero di Kissinger. Ma proprio seguendo i precetti di Kissinger, Pechino non sosterrà mai gli sforzi degli Stati Uniti per mettere all’angolo la Russia.

Terzo, paradossalmente, a causa del suo ruolo più modesto nell’economia, nella tecnologia e nella finanza globali, Mosca è più resistente alla pressione americana di Pechino. L’amministrazione Trump ha praticamente esaurito i mezzi di pressione sulla Russia che non comportano rischi significativi per l’economia americana e mondiale o per la stabilità globale e regionale. La Russia, non importa come la tratti, non è la Corea del Nord, non è il Venezuela e nemmeno l’Iran. Portare le sanzioni anti-russe a un livello ancora più alto significherebbe l’avvio di processi dalle conseguenze imprevedibili e potenzialmente pericolose sia per gli Stati Uniti sia per il mondo intero. Tale avventurismo, per quanto si può giudicare, non è nello stile del saggio e cauto Joe Biden. In generale, le relazioni con la Russia non sono il problema principale che dovrà affrontare la sua amministrazione.

Pertanto, la dura retorica anti-russa di Biden durante la campagna elettorale non dovrebbe essere presa alla lettera. Molto probabilmente non vedremo un “anti-Kissinger” coerente e determinato alla Casa Bianca o al Dipartimento di Stato. Le relazioni russo-americane non cambieranno molto nel prossimo futuro, né in meglio né in peggio. Le possibilità di un loro ulteriore deterioramento sembrano limitate e le prospettive di un loro notevole miglioramento rimangono vaghe.

di Andrej Kortunov

Pubblicato dal Russian International Affairs Council

Andrej Kortunov, specialista della politica americana, è direttore del Russian International Affaiirs Council.

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