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SI VOTA IN RUSSIA: POTERE O CREDIBILITA’

Tra lo scambio di prigionieri con l’Ucraina e le elezioni amministrative, la Russia di Vladimir Putin ha vissuto momenti importanti, anche in proiezione futura. In comune le due vicende hanno questo: la “fatica” che rappresenta una Russia messa al bando dal mondo occidentale. Fatica per entrambe le parti. L’Occidente sente con sempre maggiore consapevolezza quanto possa costare, in termini di impegno geopolitico, il lusso di spingere la Russia fuori dal concerto internazionale: la crisi ucraina, il Medio Oriente e l’intesa economica e militare di Mosca con Pechino sono solo alcuni degli esempi possibili. Non a caso sia il presidente francese Macron sia quello americano Trump, prima dell’ultimo G7, hanno fatto trapelare l’idea di riammettere la Russia (uscita dopo i fatti di Ucraina) e tornare al G8.  

Nello stesso tempo, la Russia ha capito da tempo che ai margini si può benissimo resistere ma non altrettanto esistere. Le sanzioni, il crescente impegno militare, la mai del tutto realizzata trasformazione industriale, le difficoltà a operare in un sistema internazionale che, dalla finanza ai social, è largamente americanizzato, impongono la pratica del realismo.

Ed è proprio questa la chiave per analizzare i due fatti, lo scambio di prigionieri e le elezioni amministrative russe. Riguardo ai prigionieri, la prima lezione di realismo la diedero gli elettori ucraini quando mandarono a casa, in proporzioni umilianti, l’ex presidente Petro Poroshenko e scelsero al suo posto l’attore Volodimir Zelens’kyj. Prima del voto le ironie sul comico si sprecavano. Dopo il voto si è molto discettato sul potere dei media e sui denari degli oligarchi, di cui il Presidente sarebbe la marionetta. In realtà gli ucraini hanno scelto tra due proposte politiche: quella di Poroshenko tutta Dio, patria e guerra; quella di Zelens’ky piena di orgoglio patriottico ma permeata dalla necessità di porre fine al conflitto con la Russia.

Tra la conservazione del triste esistente e una novità rischiosa, gli ucraini hanno scelto la seconda. E bene hanno fatto, perché le non arrendevoli proposte di Zelens’ky hanno costretto Putin a rispondere. Il Cremlino poteva rifiutare lo scambio di prigionieri solo a patto di passare per incurabile guerrafondaio, con gran soddisfazione dei circoli atlantisti, e non era certo il caso. Per Ucraina e Russia era più che venuto il tempo di uscire dallo stallo e di fare qualche passo avanti.

Lo stesso messaggio (muoversi, innovare, cambiare) arriva al Cremlino dalle elezioni amministrative. I giornali occidentali si sono lanciati sul risultato di Mosca (titolo standard: Il partito di Putin perde un terzo dei voti) e sulla presunta vittoria del blogger oppositore Navalnyj, che aveva invitato al “voto intelligente”, cioè a votare qualunque candidato potesse battere quello di Russia Unita, il partito di Putin. Che cosa ci sia stato di intelligente nel mandare 13 comunisti (prima erano 5) nel Parlamento di 45 persone che governa la capitale non si sa, ma tant’è. Russia Unita conserva la maggioranza (26 seggi) a Mosca e vince tutte le 16 elezioni dei governatori che si sono svolte domenica. Non perde un grammo di potere ma tonnellate di credibilità. A Mosca e quasi ovunque, affluenza poco oltre il 21%. La gente, in sostanza, pensa che andare a votare sia una perdita di tempo.

Questa era solo la prima tappa elettorale di un trittico che comprende anche le politiche nel 2021 e le presidenziali nel 2024. Il viatico è pessimo. E’ andato disperso lo slancio collettivo registrato nel 2014-2015. Erano i momenti caldissimi della crisi ucraina, c’era la guerra, il nazionalismo trainava tutto. Ora la stanchezza nel rapporto tra base e vertice è evidente e non può bastare il carisma putiniano, ancora solido, a rammendare lo strappo. Soprattutto, non possono bastare le parole a convincere i millennial che a frotte raggiungono l’età per votare. Loro non hanno memoria delle durezze del periodo Gorbaciov-Eltsin e di quanto è stato fatto per uscirne. Si guardano intorno, vedono al telegiornale le stesse facce di quando andavano all’asilo. Un trauma per chi vuol essere convinto in nome del futuro, non del passato.

Pubblicato in Eco di Bergamo, settembre 2019

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