di Roberto Favazzo Dopo diversi mesi di scetticismo da parte dell’Ucraina, la visita del presidente francese Emmanuel Macron al suo omologo Volodymyr Zelensky ha segnato il ritorno della Francia in prima linea. Da parte ucraina, le questioni sono gestite da Andriy Yermak con il supporto del nuovo arrivato nell’ufficio del presidente, Rostyslav Shurma. Il veloce viaggio di Emmanuel Macron a Kiev sembra segnare un cambio di direzione da parte del Presidente francese, che, fino ad ora, aveva rimandato la visita a Kiev. Tuttavia, la crisi russo-americana sull’Ucraina gli ha fatto cambiare idea a poco a poco. Il 26 gennaio una delegazione ucraina ha visitato Parigi; il viaggio ha fatto seguito alla partecipazione di Andriy Yermak, capo dell’amministrazione presidenziale ucraina, la Bankova, a una sessione del Formato Normandia con Russia e Germania. Guidata dal ministro dell’Economia Yulia Svyridenko, la delegazione ha cercato di rinnovare i legami commerciali tra Francia e Ucraina, danneggiati dalle dimissioni del ministro dell’Interno Arsen Avakov, che era stato il punto di contatto preferito del complesso militare-industriale francese.
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di Maria Michela D’Alessandro La storia si ripete, e questa volta riguarda tutti, compresi i nostri portafogli. Russia e Ucraina di nuovo una contro l’altra, mentre Europa e Stati Uniti non si limitano a guardare dagli spalti la partita, che qualcuno chiama già guerra. Non stiamo parlando di un possibile conflitto nell’Est dell’ex Repubblica sovietica, ma dell’effetto geopolitico su quello che si muove sotto i nostri piedi e viaggia nei gasdotti che tagliano il Vecchio continente. In Germania si va verso un aumento delle bollette del 60%, in Italia del 40% e in Polonia del 54%; secondo Fatih Birol, il direttore generale della Iea, l’Agenzia per l’energia dell’Ocse, a metà gennaio i depositi di metano della Ue erano pieni al 50%, quando normalmente in questi periodi erano al 70% della capacità. Birol attribuisce parte della colpa a Gazprom, la più grande compagnia russa che controlla il 16% delle riserve mondiali di gas, e il 70% di quelle in casa.
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C’è uno strano gioco delle parti, nella crisi ucraina che è in corso dal 2014 ma è stata scoperta, sembra, tutta d’un colpo nelle ultime settimane. La Russia chiede agli Usa e alla Nato cose palesemente impossibili da ottenere, per esempio che a Ucraina e Georgia sia comunque negato l’ingresso nella Nato. Ma quale alleanza (non solo quella Atlantica) sbarrerebbe le porte a nuovi potenziali aderenti? E quale potenza, non solo gli Usa che peraltro della Nato sono i signori, discriminerebbe tra alleati, dicendo tu e tu sì, tu e tu no? Il sospetto è che al Cremlino abbiano in mente altro e, come ha scritto Fyodor Lukyanov in un articolo che abbiamo rilanciato, il gioco di Mosca consista proprio nel farsi dire un bel no, per procedere con altre misure o per chiedere altro.
di Andrei Kolesnikov Una delle domande più frequenti nelle ultime settimane, nonostante un leggero allentamento delle tensioni sulla scia della videochiamata tra Joe Biden e Vladimir Putin, è stata: la Russia attaccherà l’Ucraina? Ma come risponderebbero i cittadini russi a una guerra con la vicina Ucraina? La nostra ricerca del 2015 (I russi vogliono la guerra?) – aveva mostrato che c’è poco entusiasmo per una guerra “reale” su larga scala tra i membri della moderna società urbana russa (le operazioni militari del Paese in Siria e nell’Ucraina orientale negli ultimi anni non sono state viste come vere guerre). L’azione militare nel Donbas nel 2014, avvenuta sullo sfondo della presa trionfale della Crimea, è stata vista molto positivamente dal pubblico russo. Non appena però è apparso chiaro che il Donbas era un’operazione diversa dalla Crimea (molto più sanguinosa e distruttiva), l’opinione pubblica si è messa sulla difensiva: “La Russia non c’entra niente, la colpa è degli Stati Uniti e dell’Ucraina per tutte le perdite di vite umane, e in ogni caso non è in corso una vera guerra”.
di Fyodor Lukyanov La scorsa settimana la Russia ha presentato all’amministrazione Usa due documenti – bozze di accordi di sicurezza con gli Stati Uniti e la NATO – che, nel tono e nello stile, assomigliano più degli ultimatum che a dei trattati. Agli Stati Uniti vengno fatte le seguenti richieste dirette: “Gli Stati Uniti d’America si impegnano a prevenire un’ulteriore espansione verso Est dell’Alleanza Atlantica e a negare l’adesione all’Alleanza agli Stati dell’ex Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche. Gli Stati Uniti d’America non stabiliranno basi militari nel territorio degli Stati dell’ex Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche che non siano già membri dell’Alleanza Atlantica né utilizzeranno le loro infrastrutture per attività militari o svilupperanno con essi una cooperazione militare bilaterale”. L’accordo che la Russia propone di firmare con la NATO include obblighi secondo cui l’Alleanza esclude un’ulteriore espansione, compresa l’adesione dell’Ucraina, così come di altri Stati, e rifiuta di condurre “qualsiasi attività militare sul territorio dell’Ucraina, così come in altri stati di Europa orientale, Transcaucasia e Asia centrale”.
In un mondo ideale, dopo quanto ha scritto qui Marco Bordoni, sulla presunta invasione russa dell’Ucraina non bisognerebbe spendere nemmeno un’altra parola. E invece tocca farlo, perché nel rumore generale resti almeno la piccola traccia di un possibile ragionamento. La domanda fondamentale è: perché la Russia dovrebbe invadere l’Ucraina, un Paese di 45 milioni di persone, vasto due volte l’Italia, sempre più animato da giusto orgoglio nazionale e mediocre fanatismo nazionalista, ormai pure bene armato visto che tutti fanno a gara a coprirlo di aiuti (ultimo il Regno Unito, che ha appena destinato un altro miliardo di sterline agli aiuti a Kiev)?