Il rapporto di Amnesty International che ha fatto tanto infuriare i trinariciuti nostrani alla fin fine è un quasi banale esercizio di giornalismo, quel giornalismo che così tanto manca alla narrazione della guerra nata dall’invasione russa dell’Ucraina. A differenza di quanto sostiene il presidente Zelensky, nel Rapporto non c’è alcun tentativo di “spostare le responsabilità” né di mettere sullo stesso piano in contendenti. Nel Rapporto, per esempio, si parla esplicitamente dell’uso di bombe a grappolo (vietate dal diritto internazionale) da parte della Russia, ed è solo un esempio.
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Repressione. Anzi, feroce repressione. Questa l’espressione più usata dai media occidentali per raccontare le reazione delle forze dell’ordine russe di fonte ai manifestanti “pro Navalny” scesi in piazza il 23 e il 31 gennaio. Secondo i dati dell’Ong progressista e liberale russa Ovd-Info, nel primo caso sono state arrestate più di 4 mila persone, nel secondo 5.754. Prima ancora, altri arresti: quando Navalny era stato fermato in aeroporto al ritorno dalla Germania (69 persone) e quando il Tribunale aveva confermato l’arresto (73), avviando così la procedura giudiziaria che avrebbe portato Navalny alla condanna a due anni e otto mesi di carcere. Stiamo parlando, ovviamente, di dati relativi alla Russia intera (140 milioni di abitanti).
di Fulvio Scaglione E così, Amnesty International ritira la patente di “prigioniero di coscienza” ad Aleksey Navalny. La ragione? Le dichiarazioni apertamente razziste che il Nostro aveva sparso qua e là in passato. Il grido di dolore dei benpensanti ha percorso il pianeta ed Amnesty è stata accusata di ogni cosa, nei casi più moderati di essere in preda a confusione mentale.