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ASIA MERIDIONALE, GLI AMICI DELLA RUSSIA

Dopo l’invasione dell’Ucraina, i rapporti tra Russia e Paesi NATO hanno raggiunto di gran lunga il punto più basso dalla fine della Guerra Fredda. Anche Paesi tradizionalmente “dialoganti” come Germania, Francia e Italia faticano a mantenere i loro legami economici con la Russia, sotto la pressione degli alleati dell’Europa centrale, dell’anglosfera e della potenza di riferimento americana. Salvo le notevoli e non irrilevanti eccezioni del gas naturale e di altre materie prime strategiche come uranio e palladio, si può dire che i Paesi NATO stiano attuando la massima pressione possibile nei confronti della Russia, salvo il conflitto armato diretto. Ci sono però regioni del mondo che hanno risposto in modo molto diverso alla “operazione militare speciale” lanciata da Vladimir Putin. Quella che più si distingue dalle altre, arrivando quasi a supportare, oltreché a tollerare, le azioni russe, è l’Asia Meridionale. 

In questa parte dell’Asia – che comprende quasi un terzo della popolazione mondiale – fattori storici, culturali e geopolitici, uniti a una politica estera russa pragmatica e opportunista, gli appelli e le pressioni angloamericane a sanzionare la Russia cadono nel vuoto, e talvolta causano irritazione, sospetto, rabbia. Le tre potenze dell’Asia Meridionale sono Cina, India e Pakistan, che naturalmente influenzano tutti gli altri piccoli Stati come il Bangladesh, lo Sri Lanka, le Maldive, il Nepal, l’Afghanistan e che, quasi miracolosamente, hanno ognuno preso una posizione nei confronti della guerra in Ucraina che ondeggia tra il neutrale e il filo-russo, talvolta a causa del loro rapporto con l’anglosfera, che nel caso cinese è sempre più vicino all’aperta competizione e inimicizia, talvolta a causa di legami profondi con la Russia.

L’ultimo grande sviluppo in Asia è la crisi costituzionale in Pakistan, apertasi meno di una settimana fa. Quando un gruppo di parlamentari è passato all’opposizione annunciando un voto di sfiducia, il primo ministro Imran Khan ha denunciato un’operazione americana di regime change, riferendosi alla lettera di un membro dell’amministrazione presidenziale americana all’ambasciatore pakistano a Washington, che secondo quanto dichiarato da Islamabad avvertiva della crisi di Governo che si sarebbe aperta di li a poco, facendo pressione per le dimissioni del primo ministro. Imran Khan ha fatto richiesta ufficiale al Presidente di sciogliere le camere e indire nuove elezioni, la richiesta è stata accettata. In seguito, il FMI ha sospeso i pagamenti al Paese fino “alla formazione di un nuovo governo” (Khan era premier ad interim fino alle elezioni di luglio). Per finire, la Corte Suprema ha invece obbligato il Parlamento a tenere una sessione, durante la quale l’opposizione ha sfiduciato Khan, in un’Islamabad militarizzata, con l’ormai ex premier messo in una “no-fly-list”.

Il Pakistan, in passato, si è destreggiato in un rapporto multivettoriale tra USA e Cina (in funzione anti-indiana) ma un sentimento anti-americano era in crescita da tempo, a causa delle ingerenze durante la guerra in Afghanistan e di una sensazione di “tradimento” durante le guerre con l’India. Ma questo è forse il momento di rottura con Whashington più grave dall’indipendenza del Paese. Ancora non possiamo essere certi di come cambierà l’orientamento del nuovo Governo – se, come sostiene Khan, sia nato da un “golpe soft” americano, oppure no – o di cosa succederà nel Paese in preda a proteste oceaniche, con diversi casi di scontri a fuoco tra l’esercito e i sostenitori di Khan. Naturalmente, la Russia ha supportato Khan durante la crisi di Governo, affermando, tramite la portavoce del ministero degli Esteri Maria Zakharova, che la crisi è stata aperta in seguito al rifiuto da parte del primo ministro di cancellare una visita in Russia. Nonostante alcune dichiarazioni di condanna dell’invasione russa in Ucraina, interpretabili come opportuniste, il Pakistan continua a comprare energia e grano dalla Russia, e ha anzi aumentato i quantitativi.

Per quanto riguarda l’India, invece, è il rapporto con la Russia, più che quello con la Cina, a pesare. Nonostante fosse un Paese non allineato durante la Guerra Fredda, l’India ha coltivato con l’URSS il suo rapporto di partenariato più stabile e duraturo. Questo rapporto è proseguito con la Russia dopo il 1991, e riguarda principalmente la cooperazione militare. L’India non è mai stata una grande importatatrice di energia russa, ma sta aumentando gli acquisti dall’inizio della guerra. L’aumento dei prezzi globali, unito a un tasso di sconto da parte delle compagnie russe desiderose di sostituire l’export ora mancante verso altri Paesi, hanno reso molto conveniente per Dehli l’acquisto di greggio da Mosca. Per questi acquisti, è stato anche pensato un sistema di pagamento in rublo-rupia che sia in grado di bypassare le sanzioni alle banche russe, interdette dallo SWIFT. Le pressioni da parte dell’anglosfera sembrano aver infastidito il premier indiano Modi a tal punto che una visita da parte di una delegazione (di alto livello) dell’ex potenza coloniale è stata cancellata, dopo che in un colloquio telefonico Boris Johnson aveva chiesto una posizione più dura nei confronti di Mosca.

L’influenza russa nella regione è aumentata negli ultimi mesi anche grazie ad altri due eventi: il ritiro americano dall’Afghanistan e il golpe in Myanmar contro Aung San Suu Kyi. La vittoria dei talebani non era necessariamente destinata a essere una vittoria di Mosca, a causa dell’ostilità degli alleati centroasiatici della Russia verso il regime degli studenti coranici, ma sembra che l’influenza sino-pakistana nel Paese abbia conferito un certo senso di sicurezza al Cremlino, che ha di recente accreditato il primo rappresentante diplomatico talebano. Cosa sarebbe successo se alla guida dell’Afghanistan ci fosse ancora stato Ashraf Ghani non è scontato, ma sicuramente l’influenza americana avrebbe fatto sentire il suo peso. I talebani, d’altro canto, isolati in Asia come a livello internazionale e alla ricerca di ogni fonte di investimenti e legittimazione possibile, saranno ben disposti ad accettare ogni forma di cooperazione che la Russia proporrà, se ne proporrà.

Il golpe in Birmania del 2020, da parte sua, ha subito assunto una forte connotazione antiamericana. Non è un caso se Washington ha deciso nel 2022 – e non prima, quando la beniamina dell’Occidente, vincitrice di un premio Nobel per la pace Aung San Suu Kyi, era ancora al potere – che nel 2017 è avvenuto un genocidio a danno dei rohingya. Subito dopo il golpe, il ministro della difesa russo Sergei Shoigu aveva visitato la Birmania in occasione di una parata militare, e in seguito alla visita, Mosca e Naypyidaw hanno siglato un importante accordo per forniture militari. Il Governo birmano ha definito l’invasione dell’Ucraina “un’azione appropriata”. Sembra quasi assurdo, pensando all’Asia, che Cina, India, Pakistan, Afghanistan e Birmania siano d’accordo su qualcosa, ma quel qualcosa potrebbe proprio essere il rapporto amichevole con Mosca.

di Pietro Pinter

fondatore e animatore del canale Telegram Inimicizie

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