di Jake Cordell Dopo anni di rapida espansione durante il primo mandato presidenziale di Vladimir Putin, la classe media russa si è contratta a partire dal suo ritorno in carica nel 2012. Il duro confronto con l’Occidente dopo l’annessione della Crimea, le conseguenti sanzioni e l’attenzione del Cremlino alla stabilità macroeconomica a scapito dello sviluppo hanno consolidato una stagnazione che ha colpito duramente i ceti medi. Secondo recenti ricerche, la classe media russa si è ridotta del 20% durante la crisi economica degli anni successivi.
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di Fulvio Scaglione Nei giorni scorsi si sono incrociate due interviste così diverse da diventare complementari e da rivelare la vera natura della partita sui vaccini che si gioca, su scala globale, ormai da un anno. La prima è quella di Kirill Dmitriev, amministratore delegato del Russian Direct Investment Fund (il fondo sovrano dello Stato russo) che ha finanziato le ricerche e la produzione d Sputnik V, il vaccino russo contro il Covid russo. Dmitriev ha parlato subito dopo che l’EMA (l’Agenzia europea per i Medicinali) ha annunciato ufficialmente di voler esaminare lo Sputnik V, cosa che finora non aveva mai fatto. E ha detto due cose piuttosto chiare e dure: ci auguriamo che l’esame della Ue sia improntato a criteri scientifici e non politici (ovvero: pensiamo o temiamo che non lo sarà, n.d.A.); si sappia che la Russia non fa alcuna pressione per vendere all’Europa il suo vaccino contro il Covid, abbiamo già ordinazioni importanti da parte di 44 Paesi.
Mentre la diffusione del Coronavirus in Russia sembra rallentare, i produttori di vaccini continuano a competere tra loro, cercando di conquistare i mercati dello spazio post-sovietico. Sputnik V, il vaccino russo, è stato registrato in Kirghizistan. Nel frattempo, il primo vaccino registrato in Ucraina è stato il farmaco della società britannico-svedese AstraZeneca. Si distingue comunque il caso della Serbia, che offre ai suoi cittadini quattro vaccini e intanto reclama il “primato” per il virus.
L’Istituto Gaidar per le Politiche Economiche ha elaborato un quadro interessante e credibile dello stato dell’immigrazione in Russia nel 2020. Intanto, qualche dato. Nel periodo 2016-2019, il numero di stranieri che vivevano in Russia durante l’anno variava da 9,2 a 11,5 milioni, con un minimo all’inizio dell’anno e un massimo in estate e all’inizio dell’autunno. L’inizio del 2020 è stato abbastanza coerente con la tendenza di quegli anni: a fine gennaio 10,3 milioni di stranieri si trovavano in Russia. Tuttavia, la chiusura dei confini in ingresso e in uscita decisa nel marzo 2020 a causa della pandemia di Coronavirus, ha cambiato radicalmente la situazione: l’immigrazione è rallentata e il numero degli stranieri è diminuito di mese in mese, soprattutto in ragione della drastica riduzione all’ingresso provocata dalle misure sanitarie. così all’inizio dell’inverno il numero di stranieri che soggiornavano in Russia si è rivelato il più basso degli ultimi anni: al 1° dicembre 2020 c’erano 7,8 milioni di cittadini stranieri in Russia.
di Aleksander Baunov Per molti anni si è pensato che se gli Stati Uniti si fossero allontanati dalla loro alleanza con l’Europa, ciò avrebbe portato l’Europa a riavvicinarsi alla Russia. Sembrava uno scenario puramente ipotetico. Poi Donald Trump è diventato presidente degli Stati Uniti e la teoria è stata messa alla prova. Il nazionalismo di Trump, il suo scetticismo sull’euro e la NATO, il suo sostegno alla Brexit e il ritiro unilaterale da accordi che invece erano apprezzati dai Paesi Ue – come quello di Parigi sul cambiamento climatico e quello sul nucleare iraniano – crearono rapidamente una frattura tra Europa e Stati Uniti. La pandemia e il comportamento di Trump durante le elezioni presidenziali del 2020 hanno solo peggiorato le cose. Per la prima volta in oltre mezzo secolo, l’Europa è stata costretta a prendere le distanze dalla leadership degli Stati Uniti.
di Kadri Liik Tuttavia, paradossalmente, questa non è stata una “buona crisi” per Putin. Non si è distinto e non ne ha tratto beneficio. Una crisi che non consente l’eroismo, ma richiede pazienza e gestione diligente, non si addice a Putin o ai leader autoritari in generale. Il Covid 19 ha ribaltato gran parte dell’agenda di Putin per il 2020. Forse la domanda più interessante è se questo sia successo una o due volte. Forse la sontuosa celebrazione del 75 ° anniversario della fine della seconda guerra mondiale, prevista per maggio, era pensata fin dall’inizio come una specie di festa per l’incoronazione di Putin come potenziale leader della Russia per i prossimi 16 anni. Oppure può essere che il Covid 19, combinato con il calo dei prezzi del petrolio e una più ampia turbolenza nel mondo, abbia scompaginato i piani di Putin di ritagliarsi pian piano un ruolo di secondo piano in politica, spingendolo a cercare il modo di continuare a governare. Questa, almeno, è la spiegazione fornita dal suo portavoce, Dmitry Peskov, il quale ha affermato a marzo che Putin ha preso la decisione perché “la situazione nel mondo è diventata meno stabile”, citando la pandemia, i rischi di “recessione globale”, numerosi “acuti conflitti regionali “e le sanzioni occidentali.
di Kadri Liik In una giornata soleggiata e calda di fine settembre, l’Internet russo ha diffuso ancora una volta foto di ambulanze in lunghe file davanti alle porte dell’ospedale, in attesa di lasciare i pazienti. Uno spettacolo che non si vedeva dalla fine di aprile. Il numero di infezioni da Covid-19 a Mosca è più che raddoppiato in pochi giorni. Questo ha costretto molti riluttanti ad ammettere che il dramma del Coronavirus non era ancora finito: il secondo atto stava per iniziare, come del resto ha fatto. Tuttavia, chiunque sperava che la minaccia comune del virus avrebbe contribuito a lanciare una nuova era di cooperazione internazionale, anche tra Russia e Occidente, è rimasto deluso. Così anche quelli che si aspettavano che il virus fosse la goccia finale per l’economia dipendente dal petrolio della Russia o per il sistema politico del presidente Vladimir Putin, che da tempo lotta per la legittimità e la popolarità.
La pandemia di Coronavirus ha offerto alla Russia terreno propizio per riavvicinare gli Stati Uniti. Mosca e Washington si sono cambiati assistenza medica, hanno raggiunto un accordo sul petrolio e hanno rilasciato una dichiarazione congiunta per commemorare la loro partnership durante la Seconda Guerra Mondiale. Mentre una nuova guerra fredda sembra emergere tra gli Stati Uniti e la Cina, è forse in atto una resurrezione della diplomazia triangolare cara a Henry Kissinger?