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CLASSE MEDIA, SCONTENTA MA ANCORA FEDELE

di Jake Cordell    Dopo anni di rapida espansione durante il primo mandato presidenziale di Vladimir Putin, la classe media russa si è contratta a partire dal suo ritorno in carica nel 2012. Il duro confronto con l’Occidente dopo l’annessione della Crimea, le conseguenti sanzioni e l’attenzione del Cremlino alla stabilità macroeconomica a scapito dello sviluppo hanno consolidato una stagnazione che ha colpito duramente i ceti medi. Secondo recenti ricerche, la classe media russa si è ridotta del 20% durante la crisi economica degli anni successivi.

Ma anche se il declino della classe media è coinciso con la politica estera più aggressiva della Russia, ci sono ben pochi segnali del fatto che gli ex borghesi, o quelli attuali, mettano la loro condizione in relazione con la strategia estera del Cremlino. C’è scontento per la situazione economica interna ma il confronto con l’Occidente rimane popolare in Russia e gli appelli a invertire anni di inerzia economica si concentrano su ciò che il Governo può fare sul fronte interno. Il che significa che la classe media russa, a lungo sofferente, esercita ben poca pressione affinché Vladimir Putin cambi rotta sulla scena mondiale.

Tali tendenze si sono ulteriormente accentuate durante la pandemia, poiché il Governo ha mantenuto la sua strategia di “stabilità oggi, prosperità domani”. Ha varato pacchetti di stimolo molto limitati, rifiutando di impiegare il suo fondo sovrano da 180 miliardi di dollari e ignorando il danno economico inflitto alla maggior parte delle imprese e delle famiglie. Quindi, mentre il PIL della Russia nel 2020 ha registrato una delle migliori performance al mondo, diminuendo solo del 3%, i redditi reali dei russi – un indicatore affidabile del tenore di vita – sono diminuiti del 3,5%, un colpo più duro di quello subito in molte altre economie.

Anche la classe media russa è stata dimenticata. Nello studio più dettagliato su come la pandemia ha colpito la classe media, la Higher School of Economics (HSE) di Mosca ha scoperto che quasi il 9% di coloro che rientrano nella categoria (reddito di almeno il 25% superiore alla media regionale, una buona istruzione e un certo livello di responsabilità sul lavoro) aveva perso il lavoro. In totale, la recessione causata dal Coronavirus ha fatto scendere di classe il 6% di loro, hanno stimato i ricercatori dell’HSE. Putin ha promesso di invertire la tendenza nel discorso annuale sullo stato della nazione il 21 aprile. “La cosa principale è garantire la crescita dei redditi reali dei cittadini”, ha detto. “Dobbiamo ripristinare i redditi reali e garantire un’ulteriore crescita, per ottenere risultati tangibili nella lotta contro la povertà”. Poi ha annunciato un pacchetto di piccole distribuzioni in contanti alle famiglie con bambini del valore di un misero 0,2% del PIL annuo nei prossimi due anni.

Ma nonostante tutto, ci sono molte ragioni per cui il malessere della classe media non avrà alcun impatto sulla politica estera russa. In primo luogo, la classe media russa ha una lunga esperienza di sofferenza. Il “costo” della pandemia è stato relativamente basso rispetto a quanto successo prima. I redditi disponibili sono diminuiti in cinque degli ultimi sette anni. La recession, non la crescita, è diventata la norma. Nonostante la perdita di posti di lavoro e i tagli salariali, il declino della classe media come quota della popolazione non è stato molto accentuato durante la pandemia: un 6%, rispetto al 20% dopo l’annessione della Crimea. Ammortizzato dai lavori dei colletti bianchi con opportunità di lavoro da casa, il calo del reddito da lavoro è stato inferiore a quello sperimentato dalla società nel suo insieme e, come ha osservato Alexandra Burdyak, ricercatrice senior presso l’Institute of Social Analysis and Forecasting della RANEPA, è nella posizione migliore per riprendersi rapidamente quando l’economia potrà ripartire.

Nulla di tutto questo costituisce il genere di tracollo economico che sarebbe necessario per innescare un malcontento tale da indurre un drastico cambiamento nella politica del Cremlino. Ma anche se fosse stato raggiunto un punto di rottura economica, ci sono ragioni più profonde per cui non dovremmo aspettarci che la classe media russa abbia un impatto significativo sulla politica estera russa. Per prima cosa, è importante considerare di chi stiamo effettivamente parlando. La classe media russa è nettamente diversa dagli imprenditori, dai dirigenti e dai proprietari di piccole imprese che i modelli di sviluppo considerano come motori del cambiamento. Con l’economia russa dominata in modo schiacciante dallo Stato e con le piccole imprese private che generano solo un quinto del PIL, analisti che vanno da Andrei Kolesnikov di Carnegie a Natalia Orlova di Alfa Bank sottolineano che la classe media russa è in realtà un esercito di burocrati del servizio civile e di quadri intermedi di società controllate dallo Stato. Devono il benessere economico della loro famiglia a uno Stato che, per quanto sia sotto pressione, è ancora relativamente stabile e deve forse fronteggiare un lento declino, certo non una precipitosa discesa. Difficile che si mobilitino per quel genere di grandi mutamenti che a loro volta potrebbero richiedere, per esempio, un allentamento del confronto con l’Occidente.

In generale, non esiste una chiara relazione causale tra l’opinione pubblica russa e la politica estera. In un recente articolo sulle “determinanti interne della politica estera russa”, l’ex ambasciatore degli Stati Uniti in Russia Michael McFaul ha esplicitamente respinto l’idea che l’opinione pubblica sia una di quelle “determinanti”. Già gli analisti mettono in dubbio il ruolo che l’opinione pubblica ha sulla politica estera. Se poi restringiamo la classe media a un gruppo che rappresenta non più di un terzo della società russa e che è in vasta misura salariato dal Governo, diventa ancora più difficile sostenere che xke sue opinioni possano provocare un qualsiasi cambiamento nella condotta internazionale della Russia. Questo è un fatto di cui gli stessi russi sembrano essere consapevoli data la bassa percentuale di persone che credono di poter influenzare la politica del Governo.

Un altro fattore importante che riduce qualsiasi ruolo potenziale che l’opinione pubblica potrebbe esercitare tra le classi medie è che il divario istituzionale tra la politica interna ed estera della Russia si è ampliato dopo l’annessione della Crimea. Negli ultimi anni il Cremlino ha cercato di creare una netta divisione tra coloro che sovrintendono alla politica estera (Putin, i militari, gli uomini della Difesa e le forze di sicurezza) e coloro che controllano la politica interna (Putin, il primo ministro, il Governo e le élite imprenditoriali). Quella divisione si è cristallizzata con la nomina di Mikhail Mishustin l’anno scorso.

Anche se i decisori interni russi sanno che la stagnazione economica della Russia deve essere affrontata, e lo fanno, sanno anche che non possono interferire con il mandato dei responsabili della politica estera. Ci sono poche speranze, ad esempio, che Mishustin possa fare e vincere una battaglia per revocare le contro-sanzioni che rendono il cibo più costoso per il russo medio, o per affermare che relazioni più amichevoli con l’Occidente potrebbero stimolare un’ondata dei tanto necessari investimenti dall’estero, o per abbandonare la politica di sostituzione delle importazioni che richiede miliardi di dollari di investimenti, sottratti ai settori potenzialmente più produttivi dell’economia. A livello istituzionale, Nikolai Petrov di Chatham House e HSE di Mosca ha indicato nella creazione di Governi “paralleli” all’interno dell’apparato statale, come le nuove commissioni politiche per lo sviluppo internazionale e un Consiglio di sicurezza rinforzato, il fattore che ha quasi eliminato ogni influenza del primo ministro sulla politica estera.

Il discorso sullo stato della nazione di Putin è stato un altro indizio della separazione tra politica interna e politica estera agli occhi dei vertici. In un periodo di enorme tensione con l’Occidente, di accumulo di truppe ai confini con l’Ucraina e di persistenti voci di una più stretta integrazione con la Bielorussia, il Presidente ha dedicato solo poche parole alla politica estera in un discorso di 80 minuti, avvertendo l’Occidente di non superare la “linea rossa”. Una dose di retorica sufficiente per il pubblico e per mantenere i parlamentari e i governatori riuniti senza dare l’impressione che la politica estera fosse un’area aperta al dibattito collettivo.

Questo divario cognitivo tra politica estera e politica interna esiste anche all’interno della società, cosicché i russi non fanno collegamenti tra le scelte di politica estera del Paese e i costi economici che queste hanno comportato. Senza questo collegamento, non vi è alcuna pressione per un cambio di rotta, soprattutto perché la politica estera rimane un fondamento importante della legittimità e del sostegno di Putin. L’annessione della Crimea del 2014 (un evento che ha comportato costi economici molto pesanti, sia in termini di sanzioni esterne sia della successiva revisione della politica economica interna della Russia) rimane estremamente popolare. Un recente sondaggio ha rilevato che solo il 7% dei russi ha sentimenti negativi verso l’annessione. Tre su quattro credono che l’Occidente avrebbe imposto sanzioni alla Russia indipendentemente dalle azioni del Cremlino, e che la Crimea sia per esso solo una comoda scusa.

di Jake Cordell 

Pubblicato da Russia Matters

 

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