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Protesta pro-Navalny, due lezioni da studiare

di Fulvio Scaglione    Circola una statistica, nei media russi, secondo cui il 42% di tutti coloro che ieri sono scesi in strada nella protesta a favore di Aleksej Navalny partecipavano per la prima volta a una manifestazione di protesta. Vero o no che sia, nessuno può sottostimare o, peggio, ignorare la lezione di quanto è successo ieri in 111 città della Russia.

 Credo siano due gli elementi da tenere in particolare considerazione. Il primo è la straordinaria lucidità e capacità con cui Navalny organizza e indirizza la protesta. Si pensi alla sequenza degli eventi. Navalny decide di rientrare in Russia; viene arrestato per un’accusa di frode; due giorni dopo il rientro pubblica il materiale sulla “reggia di Putin”; altri quattro giorni e scatta la protesta. È chiaro che si trattava di un “piano” ben studiato: attirare su di sé la risonanza mediatica internazionale facendosi arrestare per poi sfruttarla con l’attacco a Putin e usarla come motivazione per una protesta di massa che, in quelle dimensioni e in quei tempi, era stata chiaramente preparata molto tempo prima.

C’è qualcuno, s’intende qualcuno potente, che aiuta Navalny? Di sicuro. Anche la beffa ai danni degli agenti che l’avevano pedinato e avvelenato il 20 agosto scorso, individuati e smascherati, non poteva essere realizzata senza qualche sponda nei servizi segreti occidentali. Tutto questo, però, non attenua la sensazione di impotenza e confusione che il Cremlino trasmette nella gestione del “problema Navalny” e della protesta che da esso genera. Anche perché il tutto avviene mentre il Governo vara leggi sempre più restrittive sull’associazionismo, sul web e in generale sulla libertà d’espressione. Una difficoltà oggettiva e crescente che non pare tanto politica ma antropologica, un’arretratezza culturale rispetto a un mondo globalizzato dove pure la Russia vuole giocare la propria parte ma anche rispetto a una società che, per fare un solo esempio, ha una pratica dei social e della Rete elevatissima e smaliziata. Nei giorni precedenti la protesta pro-Navalny sono stati fermati o multati molti minorenni che invitavano a partecipare alla manifestazione attraverso Tok Tok e altri strumenti simili. Ecco: la polizia contro la Rete è un’idea pessima e perdente.

La seconda considerazione è questa: mai, prima di ieri, si erano viste tante persone disposte a scontrarsi fisicamente con la polizia, in particolare con i temibili Omon. La protesta si fa sempre meno timida, diventa più irriverente e aggressiva perché percepisce l’incertezza e il disagio di chi fino a questo punto ha fatto dell’ordine e della stabilità il messaggio vincente. Qui non si vuol fare alcuna apologia del manganello, ovviamente. Solo sottolineare che c’è una parte della società russa (crescente, per motivi anagrafici) che vuole innovazione, cambiamento, movimento. E quindi protesta. Mentre la parte che apprezza la continuità e una rassicurante stasi, pur essendo ancora preminente nei numeri, è comunque in calo, perché fatta di persone più mature o anziane.

Aleksej Navalny non è un leader politico. Non ne ha la statura né la sostanza. Ma è riuscito a sfruttare quelle contraddizioni e a diventarne il simbolo. Contraddizioni che prima o poi qualcuno dovrà pur affrontare.

Fulvio Scaglione

 

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