Dalle parti di Lettera da Mosca non ci sono grandi entusiasmi per Aleksandr Lukashenko, un gran furbone con qualche merito (per esempio aver evitato al suo Paese gli sconvolgimenti sociali che altre ex Repubbliche sovietiche invece hanno subito per anni e anni) ma molti demeriti. E soprattutto non c’è entusiasmo per la decisione presa dal Cremlino di salvarlo a tutti i costi. Chi ci segue lo ha notato, leggendo qui ma volendo anche qui. La vicenda del volo Ryanair tra Atene e Vilnius e l’allucinante arresto del giornalista Roman Protasevic (tra i fondatori del canale Telegram Nexta, uno dei più attivi e grintosi nell’opposizione a Lukashenko), ammanettato a Minsk appena l’aereo è stato obbligato a scendere all’aeroporto della capitale bielorussa, aumenta le perplessità e, in un certo senso, le certifica. Con Lukashenko, Vladimir Putin ha preso un bel bidone, ecco la verità.
Ovvio, è un po’ presuntuoso insegnare la politica a Putin. Restiamo però dell’idea che una vera potenza avrebbe trovato il modo di liberarsi del vecchio volpone bielorusso, ormai chiaramente in vista del capolinea, per mettere al suo posto un personaggio nuovo, più credibile e pure confacente agli interessi strategici di Mosca, soprattutto in un contesto come quello bielorusso, dove lo scontento non ha mai mostrato le intonazioni anti-russe che abbiamo visto in Ucraina, Georgia, Moldavia, per non parlare dei Baltici. Quante volte gli Usa hanno fatto operazioni come questa in America Latina, il loro “estero vicino”? Tanto più che è proprio la Russia da lungo tempo a tenere in piedi la Bielorussia, con il gas a prezzo di saldo, i prestiti a fondo quasi perduto, il petrolio mandato alla raffineria di Lukashenko al solito prezzo ridotto e da lui rivenduto a prezzo pieno sul mercato internazionale. Più il commercio e, negli ultimi tempi, anche un ombrello politico-militare che ha permesso a Lukashenko di conservare la poltrona.
È successo invece l’esatto contrario. Il leader bollito di un Paese di 9 milioni di abitanti, lo stesso leader che si è beffato delle proposte di federazione con la Russia, è riuscito a sfruttare i timori di una parte della politica russa per accreditarsi come un baluardo indispensabile di fronte a quella che viene vista come la minacciosa avanzata dell’Occidente. E il risultato, cioè il bidone, è sotto gli occhi di tutti: qualunque idiozia più o meno pericolosa il Presidente bielorusso deciderà di concedersi (un esempio a caso: dirottare l’aereo di una compagnia irlandese che vola tra due capitali della Ue per arrestare un giornalista oppositore) verrà in automatico messo in conto anche alla Russia. Che questa c’entri oppure no.
Di più. Come l’incontro Lavrov-Blinken e le prospettive di un prossimo incontro Putin-Biden dimostrano, puoi fare il gradasso finché ti pare (e raccogliere un sacco di applausi dai pecoroni) ma prima o poi con Mosca ci devi parlare. Con la Bielorussia no. Soprattutto se puoi contare su una serie di Paesi che sono come i tuoi cani da caccia e non vedono l’ora di regolare qualche vecchio conticino dell’epoca sovietica. Fuor di metafora: il caso della Lettonia di queste ore, come quello della Repubblica Ceca poco prima, sono esemplari. Loro rischiano poco o nulla perché hanno la copertura totale della Casa Bianca, di cui seguono volentieri le indicazioni, se queste li portano a dar fastidio al Cremlino. D’ora in poi il gioco al bidone sarà ancora più facile: per provocare la Russia basterà attaccare la Bielorussia, che la Russia sarà costretta a difendere, prendendosi le grane sue e pure quelle altrui. Parigi valeva bene una messa. Ma Lukashenko?
Lettera da Mosca
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