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Il vaccino che tanto dispiace ai russofobi

Nei giorni scorsi Lettera da Mosca ha fatto un ragionamento semplice semplice, persino scontato. Sputnik V, il vaccino russo anti-Covid che l’anno scorso (fu annunciato in agosto) era stato accolto con scetticismo dalla comunità scientifica e con ironia da molti osservatori ed espetti improvvisati, ed era stato ignorato da tutti gli altri Governi, è infine entrato nel salotto buono. Quattordici Paesi (tra cui Israele, Ungheria, Pakistan e Argentina) l’hanno acquistato o approvato. La Turchia ha stretto un accordo con la Russia per produrlo in proprio. La Germania si è fatta avanti per un progetto simile a quello turco. E la Ue, su richiesta russa, si è detta disposta ad attuare una “rolling review” (in pratica, una verifica in evoluzione) sullo Sputnik V, in vista ovviamente di una sua approvazione anche in ambito europeo. Ultimo ma non ultimo, l’ambasciatore d’Italia in Russia,  Pasquale Terracciano, si è fatto vaccinare con Sputnik V e non l’ha certo nascosto.

Stop. Nulla di più, nulla di meno. La Lettera non ha mai detto che Sputnik V funziona o che debba essere usato anche da noi, mica siamo scienziati. E delle castronerie degli pseudo-esperti ci facciamo un baffo, siamo abituati. Semplicemente, abbiamo notato il cambio di passo. Degli altri, non della Russia. Perché in questi mesi il vaccino Sputnik V non è cambiato o migliorato. Però è stato usato. Almeno un milione di russi sono stati vaccinati (tra loro anche diversi miei conoscenti), non sembrano esserci reazioni negative anche se, ovviamente, l’effetto reale della vaccinazione potrà essere misurato solo più avanti.

Anche questo, però, ai russofobi dispiace. Ci insultano e ci spiegano che mancano i dati, che la sperimentazione, che questo, che quello. Sarà, chi dice il contrario. Ma il punto era, è e sarà sempre un altro. Questo: perché i Governi non si sono interessati SUBITO (cioè nell’estate scorsa) del vaccino russo? Se c’è un problema che riguarda tutti e uno dice “ho trovato la soluzione”, non sarebbe furbo andare a vedere di che si tratta? Magari per concludere che è un bluff, una bufala. Ma andare a vedere. Perché se per combinazione non era un bluff, si potevano anticipare i tempi, magari ridurre i costi, salvare qualche vita in più.

Invece niente per sei mesi, cioè fino ad adesso, quando un’occhiata a Sputnik V la vogliono dare tutti. E guarda combinazione, tutto ciò accade quando spuntano le difficoltà di approvvigionamento dei vaccini prodotti in Occidente, quando nasce il sospetto che parte dei vaccini che avevamo prenotato sia stato stornato a favore di clienti più tardivi e danarosi, quando salta fuori che le aziende che producono il vaccino “buono” declinano qualunque responsabilità a lungo termine e impongono agli Stati clienti di accollarsi l’onere di eventuali risarcimenti. Buffo, no?

Il tutto per dire una cosa sola, anche questa semplice semplice. Nell’ottica degli Stati, la corsa al vaccino è stata quasi più geopolitica che medica. Anche da parte della Russia, ovviamente. Avere il vaccino per prima le ha consentito di stringere o perfezionare alleanze (in America Latina  in Africa, per dire) che servono alla sua politica estera. Ma anche nel rifiuto o nell’indifferenza allo Sputnik V da parte degli altri Paesi c’è stato un calcolo geopolitico, nel solco di quella politica di emarginazione della Russia che, giuste o sbagliate che siano, ha radici e ragioni ben note. Raccontarsi che sei mesi fa nessuno, in Europa per esempio, abbia sentito la necessità di approfondire la questione del vaccino russo solo per prudenza medica o scientifica è una castroneria così clamorosa da risultare quasi divertente.

Lettera da Mosca 

 

 

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