Com’era ampiamente prevedibile, dopo i grotteschi tentativi, all’epoca della presa di Mariupol’ da parte dei russi, di sciacquare i panni filo-nazisti del Battaglione Azov, ecco quelli ancor più disperati e disperanti di tramutare le SS naziste in un variegata compagnia dove alcuni erano nazisti e altri si trovavano lì per caso. D’altra parte l’ho scritto subito, siamo tutti un po’ canadesi, tutti inclini ad onorare l’ex ufficiale della Divisione Galizia delle SS Gunka, tutti o quasi affetti dalla sindrome che ci spinge a considerare buono tutto ciò che oggi va contro la Russia. Come la maschera piemontese di Garibuia che, dice la tradizione, si tagliava gli attributi per far dispetto alla moglie.
Posts published in “Editoriali”
Riassumendo: il presidente ucraino Zelens’kyj, dopo aver partecipato all’Assemblea generale dell’Onu, si reca in visita ufficiale in Canada. Qui viene accompagnato in Parlamento dal premier Trudeau. Nell’aula gremita e partecipe, il presidente del Parlamento canadese, tal Anthony Rota, fa loro una bella sorpresa: presenta Yaroslav Gunka, 98 anni, ucraino naturalizzato canadese, come un eroe che durante la seconda guerra mondiale ha combattuto i russi. Uragano di applausi dai parlamentari, entusiastici saluti da parte di Zelens’kyj e Trudeau. Peccato che poi salti fuori che il buon Gunka era un ufficiale della Divisione Galizia delle SS, responsabile di molte stragi di ebrei ucraini e polacchi. Mezzo mondo protesta, organizzazioni ebraiche in prima fila. Rota si dimette. In sostanza, una colossale figura di m… Però attenzione: siamo tutti, ormai, un po’ canadesi.
Ci chiediamo spesso a chi serva e quali scopi abbia l’ossessiva campagna contro la propaganda russa in Italia, contro le ingerenze russe che cercano di orientare la politica e l’opinione pubblica italiana in senso pro-Mosca e, nell’attuale contingenza, anti-Kiev. Un senso deve pure averlo, questa campagna di allerta perenne così esagerata rispetto alle dimensioni del problema. È ovvio che i russi fanno propaganda, ovunque e comunque possano. Allo scopo, per costruirsi un certo soft power e far passare la propria linea, avevano lanciato tutta una serie di mezzi di comunicazione, tradizionali e social, come Russia Today e Sputnik, tra l’altro ben distribuiti in giro per il mondo (ma bloccati dall’inizio dell’invasione russa). È ciò che fanno tutte le potenze, in buona o in cattiva fede. Ma l’esagerazione resta e proviamo a vederne qualche aspetto.
Non so se si tratti di una sensazione solo mia ma nell’ultima mossa del presidente Zelens’kyj si avverte un senso di disperazione che dovrebbe preoccupare tutti coloro che hanno a cuore le sorti dell’Ucraina. Ricapitoliamo: Zelens’kyj ha annunciato l’intenzione di licenziare tutti i funzionari regionali preposti al reclutamento militare per sostituirli con militari veri e propri. L’accusa del Presidente è: corruzione. Un sistema di arricchimento illecito, realizzato soprattutto con la vendita di false esenzioni dalla leva, che, come dice giustamente Zelens’kyj, in un Paese in guerra “equivale al tradimento”.
Bisogna sempre stare molto attenti a ciò che si desidera, perché a volte i desideri si avverano. Così ieri, per qualche ora, l’Occidente ha provato il brivido di ciò che da anni evoca e auspica: un tentativo di eliminare Vladimir Putin o, almeno, di condizionare e riorientare il suo potere. Così anche Evgenyj Prigozhin, per lungo tempo descritto come un satana mercenario e sanguinoso al servizio del Cremlino (perché ora c’è il Prigozhin leader di soldati ma prima c’era il Prigozhin leader degli hacker), ha goduto di un quarto d’ora di celebrità e di stima dalle nostre parti. Il suo abbozzo di marcia su Mosca ha brevemente destato un certo tifo e qualcuno ha pure cercato di vendere il dietrofront finale come un atto di saggezza quando, palesemente, si è trattato di una resa: in nessun modo l’avrebbero lasciato arrivare alla capitale, e i suoi mezzi allineati in autostrada sarebbero stati un facile bersaglio per i caccia.
Il progetto di Lettera da Mosca è stato varato più di due anni fa. In questo periodo, la Lettera ha marciato al ritmo di una ventina di notizie al giorno nei periodi di scarsità, di 30-35 nelle giornate più intense. Alla luce del sole e gratuitamente, come’è ovvio: su questo sito, sul canale Telegram, su Twitter, su Facebook. Stiamo dunque parlando di diverse migliaia di testi, foto e video, raccolti, ordinati, tradotti, commentati, redatti. In tutto questo tempo e in questa massa di materiali ci è capitato quattro volte di essere colti in errore (due nelle ultimissime settimane) e una volta di non essere colti ma di aver capito grazie a un amico di aver pubblicato una sciocchezza. Noi di Lettera non siamo nemmeno così presuntuosi da non realizzare che qualche altro pasticcio qua e là l’abbiamo di certo combinato, anche se non ce ne siamo accorti o non ce l’hanno fatto notare. Nondimeno, ci pare che la media sia piuttosto buona. Credete forse che gli organi d’informazione più grossi, potenti e seguiti possano vantare uno score più onorevole? Che le loro medie siano migliori di quella di Lettera, su un tema così controverso e complicato (soprattutto da quando è cominciata l’invasione dell’Ucraina) come la Russia, i suoi assetti di potere, l’andamento della sua economia, le operazioni militari, le reazioni dell’opinione pubblica? E sulle relazioni di tutto questo con l’Ucraina, l’Europa, gli Usa, la Cina e gli altri Paesi e gli equilibri internazionali?
Sei stimati direttori di altrettanti autorevoli quotidiani italiani alcuni giorni fa hanno firmato un appello per la liberazione di Evan Gershkovich, 31 anni, giornalista del Wall Street Journal arrestato dall’FSB russo a Ekaterinburg e ora detenuto a Mosca, nel carcere di custodia preventiva di Lefortovo, con l’accusa di spionaggio. Gershkovich, figlio di Ella e Mikhail Gershkovich, ebrei russi esuli negli Usa nel 1979 (è facile riconoscere in quell’Evan un tradizionale e anglicizzato Ivan russo), era al secondo viaggio in un mese nel grande centro degli Urali. L’arresto ha fatto di lui il primo giornalista occidentale arrestato in Russia con l’accusa di spionaggio dalla fine della Guerra Fredda. Myrotvorets
Al momento in cui scrivo queste righe, il computo dei morti a Dnipro ha raggiunto quota 45. E prima di qualunque equivoco, va detto che la responsabilità di questa orrenda strage di civili ricade tutta sulla Russia. Sulla sua leadership politica e militare. E non ha nessuna importanza se il missile, come persino certe fonti ucraine hanno ammesso in ipotesi, non era diretto sul palazzo ma altrove, ed è stato deviato sul palazzo da un colpo della contraerea. Se lanci un’invasione, sei responsabile della guerra che ne deriva. Se lanci un missile, sei responsabile di dove cade. Altro non c’è. Detto questo, mi pare comunque incredibile che ci siano ancora così tante persone pronte a ribadire la retorica della vittoria, della “pace giusta” (che è, come ci spiegano, quella decisa dagli ucraini), in sostanza dell’umiliazione strategica della Russia attraverso la sconfitta sul campo, del naufragio della sua economia tramite le sanzioni, del crollo dei suoi assetti di potere a causa del costo della guerra e, per i più ottimisti, della disgregazione della sua unità federale. Senza che mai, nemmeno una volta, ci si interroghi su quale sia il prezzo che siamo disposti a pagare, e soprattutto a far pagare agli altri, per raggiungere questo obiettivo. Sempre ammesso che l’obiettivo sia raggiungibile.
Forse hanno ragione certi giornali e la dirigenza russa è fatta di uomini rozzi, assetati di terre e sangue altrui e fondamentalmente stupidi. Se così per caso non fosse, vien da pensare che l’ennesimo rivolgimento al vertice delle forze armate questa volta non sia il solito scaricabarile, da un generale all’altro, per gli insuccessi su questo o quel quadrante del fronte ma qualcosa di più profondo e preoccupante, almeno per chi come noi spera che si possa metter fine alla guerra in Ucraina. Proviamo a ricapitolare. Due giorni fa il generale Aleksandr Lapin, caduto in disgrazia in autunno di fronte alla controffensiva ucraina nel Sud e nel Donbass, improvvisamente risorge e viene addirittura nominato capo delle forze di terra russe. In pratica, il secondo più alto in grado dopo il capo di stato maggiore Valery Gerasimov. Che non viene rimosso, come scrivono molti, ma conserva l’incarico e viene mandato (seconda notizia) a dirigere le operazioni in Ucraina. E il generale Aleksandr Surovikin, fino a ieri al comando, considerato l’ispiratore dei bombardamenti sulle infrastrutture ucraine? Diventa il vice di Gerasimov, affiancato però da altri due generali: Oleg Salyukov, alto grado dell’aviazione, e Aleksey Kim, già vice di Gerasimov allo stato maggiore. In sintesi: il capo di stato maggiore va in prima linea, accanto si mette un esperto di truppe motorizzate (Surovikin), uno delle forze aeree e un fedelissimo (Kim) mentre a Mosca veglia sulla fanteria il generale Lapin, che ha esperienza del fronte ucraino.
È molto interessante la polemica improvvisamente scoppiata tra il ministero degli Esteri della Russia e Papa Francesco, a proposito di alcune delle affermazioni che il Pontefice, intervistato nella sua residenza vaticana di Santa Marta, ha fatto alla rivista dei gesuiti America. Ai russi sono dispiaciute le frasi (“When I speak about Ukraine, I speak of a people who are martyred. If you have a martyred people, you have someone who martyrs them. When I speak about Ukraine, I speak about the cruelty because I have much information about the cruelty of the troops that come in. Generally, the cruelest are perhaps those who are of Russia but are not of the Russian tradition, such as the Chechens, the Buryati and so on. Certainly, the one who invades is the Russian state. This is very clear. Sometimes I try not to specify so as not to offend and rather condemn in general, although it is well known whom I am condemning. It is not necessary that I put a name and surname”) sulla “crudeltà” delle truppe russe e in particolare su quella dei soldati che “non sono di tradizione russa, come i Ceceni, i Buriati e così via“.