Non so se si tratti di una sensazione solo mia ma nell’ultima mossa del presidente Zelens’kyj si avverte un senso di disperazione che dovrebbe preoccupare tutti coloro che hanno a cuore le sorti dell’Ucraina. Ricapitoliamo: Zelens’kyj ha annunciato l’intenzione di licenziare tutti i funzionari regionali preposti al reclutamento militare per sostituirli con militari veri e propri. L’accusa del Presidente è: corruzione. Un sistema di arricchimento illecito, realizzato soprattutto con la vendita di false esenzioni dalla leva, che, come dice giustamente Zelens’kyj, in un Paese in guerra “equivale al tradimento”.
Il problema, però, è che questa storia della corruzione (e del tradimento) va avanti da più di un anno, cioè da quando la struttura presidenziale ha avviato una serie di epurazioni che, nel luglio del 2022, presero il via con il licenziamento di Igor Bakanov, l’amico d’infanzia che Zelens’kyj aveva nominato capo dei servizi segreti (SBU) e di Irina Venediktova, l’ex responsabile della sua campagna elettorale nominata Procuratrice generale dell’Ucraina. Anche allora le accuse oscillavano tra corruzione e tradimento. Lo stesso Zelensk’yj disse che tra i dipendenti della Procura erano stati aperti 650 procedimenti penali. In senso politico e amministrativo, una strage.
Già allora si poteva intuire un certo tasso di disperazione: Zelens’kyj, fin dai primi giorni della sua presidenza, ha applicato uno spoil system implacabile. Che rinunciasse a due membri così importanti del suo cerchio magico, per di più distruggendoli con accuse pesantissime, dava da pensare. Ne ho scritto e raccontato più volte per Limes, in tempi affatto sospetti, e non sto quindi a dilungarmi. Resta il fatto che da allora le purghe non si sono mai fermate e hanno investito tutti i settori decisivi: i dirigenti dell’industria della Difesa, lo stesso ministero della Difesa con lo scandalo delle forniture all’esercito a prezzi gonfiati costato dimissioni “cosmetiche” al viceministro, gli alti gradi dell’esercito e quelli medi dei servizi segreti, i dirigenti regionali e comunali e così via. Da un certo punto in poi, all’intelligence militare diretta dall’astro nascente Kyrylo Budanov sono stati persino affidati i compiti della ollizia giudiziaria.
Per un po’, tutto è stato giustificato con le dure necessità di un Paese invaso, devastato dai bombardamenti e, di fatto, rimasto in vita per il valore dei suoi combattenti e per i massicci aiuti finanziari e militari ricevuti dall’estero. E anche, almeno dal mio punto di vista, con il desiderio di Zelens’yj di garantirsi quadri di sua scelta e di presumibile maggiore fedeltà per qualunque evenienza futura. Non bisogna infatti dimenticare che Zelensk’yj aveva trionfato nelle presidenziali del 2019 e, nello stesso anno, aveva portato al trionfo e alla maggiora Enza assoluta dei seggi parlamentari il suo partito Servo del Popolo. Ma nelle elezioni amministrative del 2020 aveva perso ovunque: in ogni centro ucraino di un qualche importanza Servo del Popolo era stato sconfitto. Nella capitale Kiev la candidata di Zelens’kyj, l’attuale vicepremier Vershchuk, era arrivata addirittura quinta. In sostanza: Zelensk’yj aveva un dominio assoluto sul centro e poco o punto controllo sulla periferia. Logico che volesse approfittare della legge marziale per cambiare la situazione.
Adesso, però, il tasso di disperazione è salito ancora. Il licenziamento dei funzionari preposti alla mobilitazione per la leva arriva dopo mesi di voci sul siluramento del ministro della Difesa Reznikov, che avrebbe dovuto lasciare (in agguato, per sostituirlo, il solito Budanov) con il primo scandalo corruzione, e che viene dato per prossimo ambasciatore ucraino nel Regno Unito, ma che è stato salvato dalle faide interne a Servo del Popolo. E, soprattutto, arriva mentre la controffensiva ucraina sembra non produrre risultati e le truppe russe in qualche settore, per esempio quello di Kupiansk, tentano addirittura non di difendersi ma di avanzare.
In ogni caso, il provvedimento deciso da Zelensk’yj come minimo significa due cose. La prima è che, al di là di ogni retorica, il sistema ucraino di reclutamento funziona male e che i giovani cercano di sottrarsi al servizio militare al fronte. La seconda è che, a quattro anni dall’insediamento e con le leggi d’emergenza e poi la legge marziale dalla sua parte, Zelens’kyj controlla sempre meno il Paese. Ha dalla sua le forze armate e gli alti gradi dell’esercito, a partire dal comandante in capo Zaluzhny, e ancor più i servizi segreti, cosa decisiva in un Paese in guerra. Ma il resto, dopo un anno abbondante di purghe, sembra smottargli sotto i piedi. Tutto è tranne che una buona notizia. Per Zelens’kyj e per gli ucraini, ovviamente. Di sicuro per tutti gli ingenui che da due anni scrivono che basta riempire l’Ucraina di armi per risolvere il problema. Ma infine anche per tutti coloro che vogliono veder finire al più presto questa follia: per affrontare le sfide di una tregua e, si spera, di una pacificazione, l’Ucraina ha bisogno non di disperazione ma di una guida salda. Almeno quanto lo è stata quella che l’ha guidata in questo anni e mezzo di guerra.
Fulvio Scaglione
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