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DA GAZA ALL’UCRAINA: TATTICHE, STRATEGIE, POLITICHE

di Andrea Muratore – Iniziamo questa analisi con un mea culpa: l’articolo, promesso a Lettera da Mosca a tragedia del 7 ottobre ancora “calda”, doveva inizialmente vertere esclusivamente sulle similitudini tra le tattiche impegnate da Hamas nell’assalto da Gaza a Israele nel Sabato nero e le incursioni mordi e fuggi dei commando ucraini che hanno prodotto apprezzabili risultati contro le forze russe nelle aree occupate del Paese. Una tattica “anfibia” con un uso coordinato di più armi, dalla saturazione delle difese missilistiche all’utilizzo asimmetrico dei droni, passando per gli assalti localizzati a centri di comando che ha permesso i successi locali su cui si è innestata l’infiltrazione dei jihadisti e il conseguente massacro.


La guerra che si è scatenata è stata però tale da rendere la semplice focalizzazione
sull’inflitrazione dei militanti di Gaza riduttiva. Sono molti gli scenari in cui gli attori in campo sembrano ripercorrere, nella diversità dei casi, linee guida politiche attivamente già viste nel conflitto russo-ucraino. In primo luogo, la carica emotiva travolge aspettative politiche e  strategiche. Chi scrive nota nelle parole di Benjamin Netanyahu sull’augurio perché ogni membro di Hamas diventi presto “un uomo morto” e sull’obiettivo militare dell’eradicazione totale dei nemici dalla Striscia un richiamo alla “denazificazione” con cui Vladimir Putin ha giustificato l’invasione dell’Ucraina il 24 febbraio 2022. Un obiettivo che somma visioni militari e strategiche a piani politici, se non addirittua ideologici, talmente complessi da creare problematiche strutturali nella definizione dei limiti per una “vittoria”.

Questo il primo punto. Aggiungiamo poi che i freni dell’Occidente all’entrata massiccia di Tsahal,
l’esercito israeliano, a Gaza sono legati a lezioni apprese nelle guerre del Medio Oriente e nel recente conflitto ucraino sulla battaglia urbana. Netanyahu vuole vendetta e una vittoria totale, ma la lezione di Bakhmut è ancora viva e Hamas si prepara alla battaglia urbana con trappole esplosive, nidi di artiglieria e mitragliatrici e una conoscenza del terreno maggiore.

Il terzo punto è legato al ruolo dell’Occidente. Che sembra, in entrambi i casi, rassegnato all’idea
dell’escalation militare. Giorgia Meloni e Joe Biden ricordano che “non è tempo di cessate il
fuoco” nonostante 1.400 morti civili in Israele e oltre 5mila in Palestina in venti giorni. Emmanuel Macron accetta il paragone Hamas-Isis (insensato sul piano strategico e anche di deontologia religioso-politica) fatto da Netanyahu e invita a creare una coalizione internazionale. L’Unione Europea nicchia. Ma il crinale è sottile: tra la (legittimissima) difesa del diritto a difendersi e a esistere di Israele e il via libera a ogni politica brutale di Netanyahu passa un sottile solco.

Ma tant’è. E, quarto punto, parte la sfida industriale per il sostegno militare. Che vede in testa gli Stati Uniti. Ucraina e Israele, due guerre e una sfida comune: far coesistere le esigenze di difesa della superpotenza e il sostegno agli alleati. Tutto questo, ovviamente, con un distinguo, ricordato dal Financial Times: “A differenza dell’Ucraina, Israele ha la propria industria della difesa e armi avanzate, nessuna delle quali è stata presa di mira da una superpotenza invasore. Riceve anche un’assistenza significativa dagli Stati Uniti, che danno quasi 4 miliardi di dollari in aiuti militari al Paese ogni anno, inclusi circa 500 milioni di dollari per le difese aeree e missilistiche. Israele pende anche molto in armi statunitensi, avendone acquistate per circa 53,5 miliardi di dollari negli ultimi sette decenni, secondo la Defense Security Cooperation Agency, di cui 6,5 miliardi di dollari nei cinque anni fino al 2022”.

Last but not least, c’è una simmetria notevole tra chi si spende per una mediazione sul fronte russo-ucraino e chi si sta muovendo per trovare una soluzione alla crisi mediorientale. Abbiamo
visto Turchia, Cina e Vaticano spendersi per una soluzione negoziata in Ucraina. Ebbene, Recep
Tayyip Erdogan, tra una spinta filopalestinese e una col Qatar per la liberazione degli ostaggi di Hamas a Gaza, prova a tenere il centro della scena anche in questa circostanza. Pechino vuole riannodare i fili trattando con Tel Aviv e l’Autorità Nazionale Palestinese. La Chiesa Cattolica si muove sull’Ucraina col cardinal Zuppi e sulla Palestina con il patriarca di Gerusalemme, Pierbattista Pizzaballa, unendo ragionamenti politici e testimonianza di fede. Una menzione d’onore per il segretario dell’Onu Antonio Guterres, attento in entrambe le crisi a mostrare empatia per la pace globale e a avvertire sui rischi escalation con parole vere e sincere, richiamando alla storia. Una testimonianza solitaria in un’istituzione ormai paralizzata.

di Andrea Muratore

Analista economico e di geopolitica – Responsabile analisi presso il Centro Italiano di Strategia e Intelligence

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2 Comments

  1. Franco Franco 26 Ottobre 2023

    Direi che l’accoglienza di fatto negativa delle parole di Guterres da parte dell’Unione Europea è l’ennesimo esempio di una entità decerebrata e ormai del tutto asservita alle pretese degli USA, che solo quelle di Israele anti-ONU riescono a superare. Giorni fa Borrell dichiarò che la UE era cresciuta fino a diventare una potenza geopolitica, probabilmente era ubriaco.

  2. Fabio Franceschini Fabio Franceschini 26 Ottobre 2023

    Quali sconvolgenti risultati abbiano ottenuto i commando ucraini non l’ho ben capito. Ne ho mai capito come si faccia a reperire informazioni affidabili in tal senso da una parte e dell’altra. Del resto le operazioni speciali di commandos nelle guerre simmetriche non hanno tutta questa rilevanza. L’Italia condusse azioni eccezionali durante la seconda guerra mondiale per certi versi siamo gli inventori di jna simile operatività forse la principale operazione speciale della storia quella di Alessandria. Ma alla fine senza risorse e una base industriale sufficiente non è che siamo.andati da molte parti

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