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GAS E PETROLIO, QUANTO CI COSTA FINGERE?

di Pietro Pinter     Dopo la strigliata (in realtà un’ammissione di colpa) di Draghi al summit di Praga – “Abbiamo passato 7 mesi a discutere di metano senza concludere nulla” – finalmente qualcosa si è mosso nelle stanze di Bruxelles. Dopo una riunione durata 12 ore, il Consiglio dell’Unione Europea ha incaricato la Commissione Europea di presentare dei regolamenti riguardanti la questione del gas. Ha quindi deciso di discutere ulteriormente. Ma di cosa? L’argomento più caldo, o senz’altro quello più dibattuto in Italia, era quello del price cap, su cui Scholz mette una pietra tombale: “Non è un price cap“. Scholz è così perentorio nella sua interpretazione delle misure prese dal Consiglio perché Gazprom è stata molto chiara in proposito: non sarà venduto gas ai compratori che imporranno un tetto dei prezzi. La Germania, quindi, vuole continuare a comprare idrocarburi russi. Vuole continuare a farlo nonostante una serie di sfortunati eventi, che vedono prima il sabotaggio dei gasdotti Nord Stream e Nord Stream 2, e poi la rottura accidentale (con tempismo perfetto) dell’oleodotto Druzhba, nel ramo che collega la Polonia con la Germania. 

È una mano invisibile che il governo di Scholz – completamente silenzioso sulla prima vicenda dal 27 settembre – non sembra essere troppo entusiasta di individuare. Un’interrogazione parlamentare di Die Linke riceve due risposte piuttosto chiare a riguardo: a tre settimane dall’evento, le autorità federali tedesche non hanno ancora svolto indagini in loco, e il Governo tedesco – appellandosi al segreto di Stato – rifiuta di fornire dati, persino al “COPASIR” tedesco, su quali mezzi militari NATO o russi fossero presenti sul luogo dell’incidente nei periodi di tempo antistantiIn ogni caso, pur non potendo importare gas attraverso Nord Stream – una linea di Nord Stream 2 sembra in grado di esportare gas, ma la pipeline non è mai stata certificata – la Germania continua ad importarne tramite la pipeline Yamal, da cui addirittura ri-esporta il gas russo verso la Polonia, che così può dire di non importare gas russo. 

Ed è quest’ultimo fatto ad aprire un vaso di pandora: gli import di idrocarburi russi che passano sotto il radar. In primis quelli “in chiaro”, di cui però non si parla: anche secondo le statistiche ufficiali, a settembre 2022 l’UE resta il più grande mercato per gli idrocarburi russi, nonostante una diminuzione nei flussi e un aumento degli acquisti da parte di nuovi compratori, come India, Sud-Est asiatico e Turchia. Il recente accordo tra Germania e Francia sulla solidarietà in tema di gas si basa molto probabilmente su gas naturale liquefatto russo, di cui Total ha aumentato le importazioni rispetto allo stesso periodo del 2021. 

La vera incognita sono però i flussi di idrocarburi russi verso Paesi della UE, che però non risultano come tali, proprio come l’import dalla Germania da parte dei polacchi. Le sfaccettature di questo fenomeno sono tantissime, e non è possibile fare una stima accurata di quanto sia grande dal punto di vista quantitativo. Già ad aprile si parlava del “mix lettone”, tramite cui l’intransigente Regno Unito continuava ad importare petrolio russo pur fingendo di promuoverne il completo boicottaggio. La tecnica origina nel porto di Ventspils, in Lettonia, dove il petrolio russo veniva inserito in barili contenenti il 51% di petrolio di altra origine, così da non figurare come russo nei registri della Shell. Secondo gli esperti del settore e le cronache, non si tratta di un fenomeno geograficamente e temporalmente isolato, ma che avviene anche in Olanda, in Grecia, in alto mare. Con tecniche simili a quelle usate da Venezuela e Iran. 

L’eterno ritorno dell’uguale, se si pensa che nel 1961 il segretario per gli affari esteri del premier britannico MacMillan, Philip de Zulueta, scriveva al suo primo ministro riguardo alle pressioni esercitate su Roma per cessare l’acquisto di greggio sovietico: “E’ possibile, ad esempio, che i russi si appoggino alle nostre imprese per smerciare il loro petrolio, che è a buon mercato. È uno schema dal quale potremmo trarre vantaggi“.

 Mentre l’UE e il Regno Unito decidono di mettere al bando gli acquisti via mare di petrolio russo, si moltiplicano esponenzialmente i trasferimenti nave-nave, nascono hub di mischiaggio in Paesi neutrali come gli Emirati Arabi Uniti, e spuntano nuovi flussi che lasciano poco spazio all’immaginazione: l’Unione Europea importa petrolio dall’India, il Paese che ha maggiormente usufruito degli sconti sul petrolio russo dovuti alle sanzioni.
E la questione non si limita al petrolio: le compagnie cinesi vendono gas naturale liquefatto russo a quelle europee, desiderose di riempire le riserve nazionali il più velocemente possibile.

Quel che è certo, anche se non sappiamo quanto costino in totale questi “giochi delle tre carte” alle famiglie e alle imprese dell’Unione Europea – che acquistano a loro insaputa idrocarburi russi passando sempre più per intermediari con loro margini di profitto – è che i paesi UE, e “alleati”, siano ben lontani dai loro obiettivi dichiarati: Sia quello di tagliare fuori il settore energetico russo dai mercati globali (completamente fallito), sia quello di azzerare le importazioni almeno per quanto riguarda i Paesi dell’UnioneE passeremo molti altri mesi a parlare del niente.

di Pietro Pinter

fondatore e curatore del canale Telegram Inimicizie

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