di Stefano Orsi Con l’elezione a Presidente degli Stati Uniti di Joe Biden, l’orologio della storia è tornato indietro di quattro anni. Siamo allo stesso punto in cui ci saremmo trovati con Hillary Clinton come Presidente e nei medesimi teatri bellici. Solo che con l’elezione di Donald Trump, la Russia ha avuto quattro anni per prepararsi alle intenzioni manifeste degli USA: arrivare inevitabilmente e a ogni costo a un conflitto per riportare la Russia al loro modello ideale, uno Stato diviso e frammentato senza alcuna valida guida, come loro avevano progettato negli anni Novanta di Boris Eltsin. Trump non è stato un Presidente incline alla guerra, Biden invece lo è e lo era anche come vice di un altro guerrafondaio, Barack Obama. Dal mese di dicembre quindi abbiamo assistito ai preparativi della Russia, di tutti i suoi sistemi difensivi e offensivi, su tutto il territorio del Paese. Sapevano bene che cosa sarebbe arrivato assieme al “Sonnacchioso Joe”.
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Ieri, su Facebook, ho pubblicato questo post: “Credo di intuirne le ragioni vere, quelle poco esibite. Ma la strategia di “Putin è un assassino” o “Erdogan è un dittatore” pare buona soprattutto per i gonzi. A che serve? Dubito che Erdogan e Putin stiano svegli la notte a chiedersi perché Draghi e Biden non gli vogliano bene. Poi, certo, a Putin dai dell’assassino ma ti ritrovi a sperare che non invada l’Ucraina, a Erdogan dai del dittatore e speri che non ci prenda un’altra volta a calci in bocca in Libia. Conviene? Infine. Dici che Putin è un assassino ma ti abbracci con George Bush Jr., che mentì al mondo per invadere l’Iraq e far morire centinaia di migliaia di persone. Dai del dittatore a Erdogan e nelle stesse ore consegni (in cambio di quattrini sonanti e diritti di sfruttamento dei giacimenti del gas) una seconda fregata al presidente egiziano Al-Sisi, che non pare più tenero del Rais di Ankara. Farai così anche con Xi Jinping e con Mohammed bin-Salman? O davvero siamo ancora lì con la storiella che il nostro puzzone va bene e contribuisce al sol dell’avvenire mentre quello altrui fa schifo? Che noi difendiamo i valori? Arridatece la Realpolitik, quella cinica e terra terra, faccio questo perché mi conviene. Perché quest’altra Politik non è meno Real ma molto più ipocrita”.
di Ted Galen Carpenter L’amministrazione Biden sta facendo di tutto per assicurare al Governo ucraino che gli Stati Uniti e la NATO sono pronti a spallaggiare Kiev nel confronto crescente con i separatisti sostenuti dalla Russia e con la stessa Russia. Un comunicato stampa della Casa Bianca del 2 aprile ha confermato che nella sua telefonata al presidente ucraino Volodymyr Zelensky, Joe Biden “ha ribadito il fermo sostegno degli Stati Uniti alla sovranità e all’integrità territoriale dell’Ucraina di fronte alla continua aggressione russa nel Donbas e in Crimea”. Altri esponenti di alto livello dell’Amministrazione, tra cui il segretario alla Difesa Lloyd Austin e il Segretario di Stato Antony Blinken, hanno fatto lo stesso.
di Dan Peleschuk Da quando è entrato in carica nel 2019, il presidente ucraino Volodymyr Zelensky è stato spesso accusato di essere una marionetta schiava degli interessi degli oligarchi, un populista che non vuole o non può sa contrastare l’influenza russa che lacera il suo Paese. Quindi il suo recente giro di vite sui media filo-russi è stato una sorpresa per tutti. Il 2 febbraio, con pochi tratti di penna, Zelenskyj ha firmato i decreti che hanno bloccato tre televisioni filo-russe in Ucraina. La mossa era stata proposta dal Consiglio ucraino per la sicurezza e la difesa nazionale. Zelensky ha proseguito l’epurazione mediatica con un tweet in cui diceva che “l’informazione oggi è un’arma potente come i carri armati o i missili”.
https://youtu.be/-fBAMyLx5-U
di Marco Bordoni Slovyansk, 24 maggio 2014. I fotografi Andrea Rocchelli, Andrej Mironov e il giornalista francese William Roguelon, che si trovano nella città di Slovyansk per raccontare la guerra civile ucraina, decidono spostarsi nella vicina Kramatorsk. Hanno avuto notizia di un bombardamento da parte delle forze governative e vogliono verificare di persona. Si fanno accompagnare da un tassista, Evgheny Koshman, su una vettura che espone l’insegna distintiva della locale cooperativa tassisti, “Viva 1”, e dopo dieci minuti giungono alla fabbrica Zeus e alla ferrovia. Di fronte a loro, un po’ verso sinistra, sta il colle Karachun, su cui è installata l’antenna televisiva.
di Stefano Orsi – Qualche giorno fa, Lettera da Mosca ha pubblicato le conclusioni preliminari, molto critiche nei confronti della giustizia italiana, degli esperti del gruppo…
Il Centro Memorial di Mosca e il Centro per le libertà civili di Kiev hanno fondato un “Gruppo di studio internazionale per un’analisi indipendente” dell’uccisione,…
di Marco Bordoni
All’inizio, negli epici giorni di Piazza Maidan, e poi per tutta la durata della sporca guerra nel Donbass, la narrazione dei fatti ucraini fu, per la stampa italiana (fatte salve rarissime eccezioni) un compito di diligente ricopiatura della linea prestabilita di stretta osservanza atlantica. Le responsabilità russe (vere e presunte) venivano poste in grande evidenza, mentre i fatti di cronaca che lasciavano intravvedere i contorni di una realtà più complessa erano o ignorati, o riferiti in maniera contorta e fumosa. Il lettore poteva benissimo capire che le vittime di Odessa si fossero date fuoco da sole o che le bombe che cadevano sulle città del Donbass fossero un fenomeno meteorologico (si sa: si dice il peccato, ma non il peccatore).