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UE E VACCINI, IL PREZZO DEL SETTARISMO

di Ferghane Azihari     Al momento della stesura di questo articolo, gli israeliani hanno somministrato 112 dosi di vaccino ogni 100 persone e stanno riaprendo la maggior parte delle attività. Seguono Emirati Arabi Uniti, Regno Unito, Cile e Stati Uniti, che hanno rispettivamente somministrato 75, 44, 43 e 36 dosi. La Ue e la Francia sembrano proprio un buco nero tra i Paesi sviluppati, con 13 e 12 dosi. Non è necessario avere un dottorato in epidemiologia per notare il fallimento del Vecchio Continente. La campagna di vaccinazione non è un’escursione che possiamo fare al ritmo che più ci aggrada. È uno sprint che condanna i Paesi più lenti a registrare le morti biologiche, sociali ed economiche di persone che avrebbero potuto essere salvate se questa corsa fosse stata presa sul serio.

È strano sentire relativizzare la gravità di una campagna vaccinale anormalmente lenta dagli stessi politici Ue che non hanno esitato a ricorrere alle misure più estreme per frenare la famosa curva dei contagi. Il fatto di incaricare gli agenti di polizia di bloccare i cittadini che cercavano solo di provvedere ai bisogni economici e sociali è stato infatti motivato con la necessità di vincere la corsa contro il tempo e de-congestione degli ospedali. Il massimo del negazionismo è stato raggiunto dal commissario europeo Thierry Breton, che ha spiegato in Tv che la Ue non ha assolutamente nulla da rimproverarsi. Nulla sugli ordinativi tardivi e insufficienti a causa dei pregiudizi protezionistici. Nulla su una politica dei prezzi meschina, mentre chiudere interi settori dell’economia costa molto di più alla società. Nulla su enti di controllo insensibili che impiegano settimane per convalidare i vaccini, anche dopo che questi sono stati approvati dalle agenzie britanniche e statunitensi.

Il rifiuto della Commission europea di lasciare gli europei liberi di prendere in considerazione l’uso di vaccini stranieri come il russo Sputnik V – giudicato efficace per oltre il 90% da uno studio pubblicato su The Lancet – dimostra che prevale il settarismo ideologico e protezionistico sul pragmatismo e sulla salute dei popoli del Vecchio Continente. Da parte sua, la cancelliera tedesca Angela Merkel è stata intelligente nel sostenere che il Governo tedesco avrebbe fatto i propri acquisti da solo se l’UE avesse continuato a mostrare tanta inefficienza. Seguirà così le orme del populista Viktor Orban, che non ha aspettato l’approvazione di Bruxelles per ottenere vaccini fuori dall’Europa. Se si deve credere ai dati della campagna di vaccinazione ungherese, la sua scommessa ha portato buoni frutti.

Questa totale mancanza di autocritica tra i leader europei non è di buon auspicio per il futuro. Il rifiuto di ammettere le disfunzioni della campagna vaccinale europea impedisce qualsiasi messa in discussione delle nostre istituzioni ai fini di una maggiore efficienza. Ovviamente capiamo perché questa efficienza non riguarda i leader. Questi ultimi non pagano personalmente il prezzo dei propri errori. Non hanno nulla da perdere o da guadagnare da una campagna di vaccinazione più o meno lenta. Al di là del dolore emotivo associato alla perdita di una persona cara, a differenza dei cittadini, non sopporteranno mai le conseguenze di un’economia artificialmente rallentata e sovraindebitata.

L’incoscienza dei leader europei ricorda l’abitudine della nomenklatura sovietica di negare ogni problema. Negando le disfunzioni strutturali dell’URSS, ne accelerò la disgregazione. Mentre la campagna di vaccinazione è già un gigantesco spot a favore della Brexit, i leader europei non saranno sorpresi di vedere l’opinione pubblica allontanarsi da un’integrazione politica sovranazionale con un valore aggiunto più che incerto.

di Ferghane Azihari

Pubblicato da Le Figaro

 

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