Tra Russia e Lituania può scoppiare una grave crisi diplomatica. Tutto a causa di un tenente e dei fatti del 13 gennaio 1991. Nel marzo del 1990, infatti, il Parlamento lituano aveva proclamato l’indipendenza. Dopo vari tentativi di bloccare il processo e far rientrare la crisi, Mikhail Gorbaciov rivolse (10 gennaio 1991) un ultimatum affinché Vilnius riconoscesse la sovranità sovietica, minacciando un intervento militare. Nei giorni successivi la popolazione lituana cominciò a raccogliersi intorno alla sede della televisione e del Parlamento finché il 13 gennaio le truppe e i corpi speciali sovietici, appoggiati da mezzi corazzati, passarono all’attacco. Nelle operazioni per disperdere la folla morirono 13 persone e altre 140 furono ferite. Uno dei carri armati sovietici era comandato, appunto, dal ventiduenne tenente Yuriy Mel’.
Sappiamo com’è andata la storia, con la fine dell’URSS e l’indipendenza della Lituania. Restiamo quindi sugli eventi relativi a Mel’. Passarono gli anni, fino al 2014. Il 12 marzo Mel’ entra in Lituania dalla Russia, cosa che aveva già fatto molte altre volte per andare a comprare i medicinali contro il diabete di cui è affetto. Quel giorno, però, viene arrestato proprio perché riconosciuto come autore di quella repressione del 1991. Altri 67 russi, in tempi diversi, sono stati riconosciuti colpevoli dalla magistratura lituana per quei fatti. I pezzi grossi ricevettero condanne pesanti, peraltro mai scontate: l’allora ministro della Difesa sovietico, Dmitrij Yazov, a 10 anni, l’ex capo della guarigione di Vilnius dell’Armata Rossa, Vladimir Uskhopcik, a 14 anni. gli unici due finiti in galera sono stati Mel’, appunto, e un certo Gennadyj Ivanov.
Ecco i capi d’accusa a carico di Mel’, secondo le carte del processo: ““Il carro armato n°544 al comando di Y. Mel, con il cannoniere D. Bolshakov e conducente S. Dorogozennyj, ha abbattuto la recinzione che circonda l’area della torre televisiva dal lato occidentale, manovrando in modo pericoloso, è entrato nell’area dove ha sparato almeno tre volte con cariche a salve, ha lanciato fumogeni, con le luci di bordo ha abbagliato i civili e ha illuminato l’intera zona, intimidendo e terrorizzando le persone presenti”. In base a queste imputazioni, Mel’ è stato condannato a 7 anni di carcere.
Molti, in Russia, pensano che Mel’ non abbia colpa alcuna se non quella di aver eseguito, da soldato, gli ordini di quello che, nel marzo 1991, era ancora il potere legittimo. E al di là di questo, che non sarebbe mai stato nemmeno arrestato se, in quel fatale 2014, il Cremlino non avesse dato l’ordine di riprendere la Crimea. L’ex tenente, insomma, sarebbe stato la vittima di una rappresaglia molto ma molto più grande di lui. Le date, in effetti coincidono: gli “omini verdi” russi entrano in Crimea il 27 febbraio 2014, Mel’ viene arrestato il 12 marzo, la Russia ufficialmente incorpora Sebastopoli e la Crimea nella Federazione il 18 marzo.
Comunque sia andata allora, veniamo ai problemi di oggi. Mel’ ha scontato la sua pena e, nei giorni scorsi, è tornato libero. Anzi, sarebbe dovuto tornare libero. Perché la procura lituana, con una decisione almeno curiosa, ha deciso oggi che i 7 anni di carcere inflitti nel 2014 erano pochi e che bisogna prendere in esame l’ipotesi di dargliene altri 3. E che mentre i magistrati prendono la decisione, Mel’ deve tornare in carcere per almeno 20 giorni. C’è anche il sospetto che, in questo modo, i lituani vogliano in qualche modo “vendicarsi” per la recente decisione presa dalla Bielorussia (con la manina del Cremlino, è facile immaginare), che avvierà la propria produzione di olio combustibile verso i porti russi e non più verso quelli Baltici, infliggendo così un danno soprattutto al terminale lituano di Klapeida.
Inutile dire che in Russia non l’hanno presa bene. Il ministero degli Esteri ha parlato di “cinica presa in giro della giustizia” e un po’ dappertutto, nei media, ha ripreso a soffiare lo spirito dell’orgoglio nazionale. “Vittime dell’etnocrazia baltica”, vengono regolarmente definiti Mel’ e Ivanov. Facile prevedere che di questa storia sentiremo ancora parlare.
Lettera da Mosca
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