di Denis Lavinski Nel giugno del 2008, quattro organizzazioni nazionaliste tennero una conferenza all’hotel Kosmos di Mosca. La conferenza era intitolata “Un nuovo nazionalismo politico”. Sul palco era appeso uno striscione con un ragazzo russo biondo dalla pelle chiara contro un cielo blu. Appeso in alto c’era una striscione con lo slogan: “Il futuro ci appartiene!”. Il design era grezzo e rudimentale come il punto che gli organizzatori cercavano di stabilire. Un piccolo assaggio del passato di Alexey Navalny. Molto lontano dal personaggio patinato e con ottime strategie di marketing che vediamo oggi. Nella foto di allora, Navalny è in piedi con le braccia alzate, trionfante, accanto a tre figure dell’estrema destra e del nazionalismo russo. Sono: il presidente del partito Grande Russia, Andrey Savelyev; il presidente del Movimento sociale russo (ROD), Konstantin Krylov; e il leader del Movimento contro l’immigrazione illegale (DPNI), Alexander Potkin alias Belov. Navalny partecipava alla conferenza come principale rappresentante dell’organizzazione NAROD, o Movimento di liberazione nazionale russo (il testo completo del Manifesto di NAROD si può leggere qui).
Navalny riassunse gli eventi e gli obiettivi della conferenza in una post del suo Live Journal del 9 giugno: “Abbiamo discusso di tante cose ma tutti hanno ribadito il punto fondamentale: il nazionalismo deve essere una vera forza politica; i principi della democrazia e dei diritti umani sono organici per il movimento; il nostro primo ordine del giorno è liberarci da elementi di discredito, hitleriani, teppisti e pseudo-patrioti antiquati; dobbiamo sfuggire al nostro ghetto di cricca marginalizzata e generare sostegno all’interno delle classi urbane istruite. Il coordinatore del DPNI di Tver lo ha detto ancor meglio: “Gli skinhead nel nostro movimento non ci servono. Abbiamo bisogno di avvocati, economisti e giornalisti”.
La conferenza fu descritta in alcune pubblicazioni dell’epoca. Il momento clou arrivò quando alcuni provocatori attaccarono il palco brandendo dei dildo di plastica mentre il leader del DPNI Alexander Belov iniziava a parlare. Provocazione attribuita a un gruppo di giovani sostenuto dal Cremlino, per rovinare l’evento. Al termine della conferenza, gli organizzatori firmarono un patto per confermare l’intenzione di unire le forze del nazionalismo. Era intitolato “Il patto dell’8 giugno” ed era accompagnato da una dichiarazione politica (la versione completa della dichiarazione si può leggere qui).
Ecco un passaggio che fornisce una sintesi dei principi discussi alla conferenza e sostenuti dai suoi organizzatori: “La democratizzazione della politica russa è necessaria, ma da sola non basta. La democrazia funziona solo nel quadro di uno Stato-nazione, che si fonda sull’unità storica e culturale della popolazione del Paese. La nazione da sola lega coloro che detengono il potere alla loro popolazione con vincoli di solidarietà e obbligo reciproco e definisce i cittadini come proprietari del proprio Paese. La nazione che ha creato il nostro Paese è la nazione russa. La Russia sarà uno Stato nazionale russo o sarà la vittima impotente di clan oligarchici, burocratici e criminali”.
Questo è un buon riassunto della filosofia politica alla base degli elementi del movimento del nazionalismo russo in quel momento. Gli organizzatori della conferenza si autodefinivano National Democrats o Natsdems. La visione è molto chiara: la Russia deve diventare uno Stato-nazione in cui i russi etnici vengono prima di chiunque altro. La Federazione russa plurinazionale è un’impresa criminale corrotta che sopprime il popolo russo e favorisce le minoranze etniche a scapito dei russi etnici e della cultura russa. Ai loro occhi la democrazia in Russia significherebbe il governo della maggioranza e l’etnia russa potrebbe finalmente diventare “padrone a casa propria”.
Questo è un filone della più ampia ideologia del nazionalismo russo che animava l’annuale Marcia Russa e quello che veniva generalmente chiamato Movimento Russo. Tutti e quattro i leader sopra menzionati erano coinvolti nell’organizzazione delle marce. Oltre ai gruppi “moderati” che erano presenti conferenza, il Movimento Russo comprendeva e comprende tutti i tipi di estremisti di estrema destra, dai neo-nazisti pagani ai monarchici ultraortodossi.
Questa settimana, il New Yorker ha pubblicato un articolo di Masha Gessen teso ad affrontare il tema del nazionalismo di Navalny. Si può leggere l’articolo e convincersi che il coinvolgimento di Navalny con gli elementi tossici dell’estrema destra russa fosse solo un flirt passeggero. Il messaggio implicito dell’articolo è: “Quando ha capito di non poter tenere a freno i nazionalisti, di non poterli usare per i suoi nobili obiettivi liberali, Navalny si è arreso e se n’è lavato le mani”. Gessen rassicura i lettori che “nel tipo di Russia per cui lui ei suoi sostenitori stanno combattendo, una società libera e democratica, la Marcia Russa sarà un evento festivo come la parata del giorno di San Patrizio”. Si fa anche in quattro per evidenziare i sostenitori e i conoscenti di etnia ebraica e non russa di Navalny. Tuttavia, il vero problema dell’articolo della Gessen è che travisa la profondità dei legami di Navalny con il movimento del nazionalismo russo.
Questo è il motivo per cui ricordo quella conferenza. Tutto sommato, la conferenza e il “Patto dell’8 giugno” sono poco più di una nota a piè di pagina nella storia. Ma è chiaro con chi si associava Navalny all’epoca e che cosa significa quando viene definito nazionalista. All’epoca della conferenza, alcuni esponenti del movimento russo volevano trasformarsi in una forza politica ed elettorale vitale. Come modello guardavano ai partiti del nazionalismo anti-immigrati di destra in Europa e in America. Il Front National di Marine Le Pen, la Lega Nord in Italia e, più recentemente, Alternative For Deutschland in Germania. Fondamentalmente, invidiavano la portata della retorica nazionalista, xenofoba e anti-immigrati di tali partiti sulla scena politica degli Stati europei sviluppati e democratici.
Gli organizzatori della conferenza esprimevano le stesse ansie per le orde di stranieri che si notavano in Europa e in America. Nei suoi discorsi Belov citava regolarmente la banlieu di Parigi come un esempio. Navalny giustificava spesso la sua retorica anti-immigrati indicando l’esempio del Partito Repubblicano negli Stati Uniti. Perché politici americani rispettabili possono usare slogan come “Build The Wall” e noi i russi no?
In uno dei suoi saggi Konstantin Krylov articola questo aspetto della loro comune visione del mondo e del suo significato per la Russia: “Esiste una connessione difficile da comprendere, ma molto reale, tra le persone e la terra in cui vivono. Prendiamo ad esempio la Francia: cacciate via tutti i francesi, o anche solo rendeteli subordinati alle forze straniere. La Francia che tutti amano non esisterà più. Lo stesso vale per qualsiasi altra cultura storica”.
Pertanto, la Russia può essere concepita solo come un Paese russo. La Russia è stata creata per i russi, solo i russi possono lavorare questa terra e farla fiorire. Riconoscere questo non diminuisce in alcun modo i meriti degli altri popoli, che hanno svolto un loro ruolo nel nostro patrimonio comune, e nessuno può toglierglielo. Ma fondare la Russia come un insieme unitario è compito che possiamo realizzare no russi, e solo noi.
La questione della migrazione economica dalle ex repubbliche sovietiche dell’Asia centrale era un tema fondamentale per questo gruppo. Ovviamente era la questione principale per Alexander Belov e il suo “Movimento contro l’immigrazione illegale”. L’istituzione di un regime dei visti e la rigida regolamentazione della migrazione da Stati non europei è ancora oggi una parte fondamentale della piattaforma politica di Alexey Navalny. Questa posizione vede i migranti delle ex repubbliche sovietiche come invasori stranieri. Anche se prima del 1991 i cittadini delle repubbliche dell’Asia centrale e i russi erano compatrioti nell’URSS.
L’odio e il sospetto non erano diretti solo contro stranieri ma anche contro i cittadini russi. Nel 2013 una notevole campagna supportata da questo gruppo, Navalny compreso, è stata chiamata “Stop Feeding the Caucuses”. Lo scopo di quella campagna era bloccare i sussidi governativi alle Repubbliche più povere e meno sviluppate nel Caucaso, quelle ovviamente dove la popolazione in maggioranza non è russa etnica. In realtà, poco più di un mucchio di prevedibili invettive sul fatto che le minoranze etniche non facevano altro che succhiare alla mammella del Governo. In un tipico esempio della retorica di quella campagna, Konstantin Krylov diceva di non aver mai visto prodotti ceceni in vendita nei negozi, mentre Grozny, capitale della Cecenia, “sembra uscita da un libro di fiabe”.
È difficile far coincidere l’immagine attuale di Navalny (soprattutto quella diffusa in Occidente) con dichiarazioni come queste, soprattutto quando scopri che lui e i suoi amici hanno guidato marce in cui centinaia di persone cantavano slogan come “La Russia è per i russi!” Nei commenti del suo Live Journal, a Navalny è stato chiesto di rispondere alle foto della marcia russa del 2008 in cui si vedono i partecipanti fare il saluto nazista. La sua risposta ricorda i commenti di Donald Trump agli eventi di Charlottesville nel 2017: “C’erano brave persone da entrambe le parti”. Navalny ha risposto che il fotografo ha scelto le immagini peggiori di una folla “altrimenti formata da persone perfettamente normali”.
Ovviamente Navalny e la sua politica si sono evolute nel corso degli anni. Come ho detto nel mio articolo precedente, il mio obiettivo è informare. In questo pezzo spero di aver fornito un il contesto delle attività di Navalny nel periodo in cui era più attivo nel movimento nazionalista russo.
scrittore e giornalista americano, commenta i fatti della Russia contemporanea
Foto tratta dal sito
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