In pochissimo tempo, non più di una ventina di giorni, il Parlamento russo (prima la Duma, all’unanimità, poi il Consiglio della Federazione) ha approvato un progetto di legge del Governo e l’ha inviato al Cremlino per la firma del presidente Putin. Misure contro il Coronavirus? Crisi del petrolio? Nulla di tutto questo. La legge affronta un problema con cui la Russia fa i conti da molto tempo e che, finora, non è riuscita a risolvere: il calo demografico.
La legge di cui si diceva cambia in modo radicale le norme per ottenere la cittadinanza russa. Da un lato permette la doppia cittadinanza, mentre in passato chi voleva la cittadinanza russa doveva abbandonare qualunque altro passaporto fosse in suo possesso. Dall’altro elimina l’obbligo di risiedere in Russia per cinque anni consecutivi prima di poter chiedere il passaporto russo. In questo modo, secondo i legislatori, la Russia potrebbe attrarre nei prossimi anni tra cinque e dieci milioni di nuovi cittadini, provenienti in gran parte dalla fasce russofone delle ex Repubbliche sovietiche dell’Asia centrale, che contano circa 20 milioni di persone.
Il calo demografico tormenta le autorità da molto tempo. Oggi la Russia ha poco meno di 147 milioni di abitanti, sparsi però in un territorio immenso, vasto quasi due volte quello degli Stati Uniti. La densità della popolazione è di sole 9 persone per chilometro quadrato (negli Usa 36). A questo vanno aggiunti altri fattori. Il tasso di fertilità è di 1,8 figli per donna, più alto della media in Europa (1,58) ma comunque insufficiente a garantire il ricambio della popolazione. E l’aspettativa di vita è purtroppo bassa: 78,2 anni per le donne e solo 67, 6 per gli uomini. L’età media della popolazione è invece alta, 40,3 anni, anche se non alta come in Italia (45,6).
Il problema del calo demografico, come si diceva, non è cosa nuova. Il picco della popolazione fu raggiunto nel 1991, con 148.689.000 di abitanti. Subito dopo arrivò il crollo dell’Unione Sovietica e da allora è stato una continua discesa fino al 2009. Poi il miglioramento delle condizioni igienico-sanitarie, la crescita del tenore di vita, il calo dell’emigrazione e l’aumento dell’immigrazione hanno consentito di porre rimedio all’emorragia. Nel 2009, per la prima volta, la popolazione russa riprese a crescere, anche se solo di 22 mila persone. E nel 2012 aumentò di quasi 300 mila persone. Restano, però, le poche nascite e l’alto tasso di mortalità a impedire di arrestare davvero il calo demografico. Tanto che nel 2018 le Nazioni Unite hanno lanciato l’ennesimo allarme. Se il trend resta questo, la popolazione russa potrebbe crollare a 132 milioni di persone entro il 2050.
La questione del calo demografico ha pesanti risvolti politici ed economici. La popolazione attiva (73 milioni di persone) è poca e il bilancio della Federazione ne soffre. Questo stato di cose impone misure di austerità e controllo dei conti che creano insoddisfazione e complicano la vita dei cittadini. L’esempio più tipico è la recente (2018) riforma del sistema pensionistico, che era ancora quella varato da Stalin nel 1932. Le donne vanno in pensione non più a 55 anni ma a 60, gli uomini non più a 60 ma a 65. In un Paese dove l’aspettativa di vita, per gli uomini, non raggiunge i 68 anni, è quasi come condannare al lavoro a vita.
Parlando di politica, però, il calo demografico della Russia si presta anche a un’altra lettura. Come si diceva, la popolazione iniziò a crollare in coincidenza con il crollo dell’URSS. Nel 2009 la prestigiosa rivista medica inglese The Lancet pubblicò uno studio che per quel calo accusava direttamente la politica di rapida apertura al mercato e privatizzazione degli anni Novanta. Secondo gli studiosi inglesi, il calo demografico sarebbe stato causato dalle sofferenze sociali generate dal brutale cambio di sistema economico. Le conclusioni di The Lancet furono criticate da un altra famosa rivista inglese, The Economist. Ma nel 2010 l’Organizzazione Mondiale della Sanità mise sotto accusa il consumo di alcol. Tradizionale in Russia ma cresciuto esponenzialmente negli anni Novanta, in coincidenza appunto con l’inasprimento delle condizioni di vita e dell’incertezza generalizzata.
Gli sconvolgimenti degli anni Novanta, in un modo o nell’altro, sono alla base del crollo della popolazione russa. Il che potrebbe spiegare, almeno in parte, se non la longevità politica di Vladimir Putin almeno le ragioni della sua popolarità. Putin, per molti anni, ha garantito stabilità al sistema. Ha cioè offerto al cittadino russo ciò che a questi era mancato per almeno un quindicennio, tra la perestrojka di Gorbaciov e l’apertura al mercato di Eltsin. A noi occidentali può non piacere quel genere di stabilità. E possiamo pensare che la stabilità sia diventata immobilismo. Ma questo non cambia le cose né i sentimenti dei russi. Che ancora oggi, quando interrogati, mettono l’ordine sociale al primo posto tra i loro desideri.
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