Nel settembre del 2022, l’epoca della mobilitazione riportò nelle file dell’esercito russo almeno 300 mila persone. Molto più numerosi furono coloro che, per dissenso politico oppure per non rischiare di andare al fronte, decisero di lasciare la Russia. e si trattava quasi sempre di un segmento giovane e professionalmente preparato della popolazione.Le valutazione sono state molte e diverse. Il Financial Times, per esempio, cita i dati raccolti dal sito di opposizione Re:Russia che, analizzando Paese per Paese i visti e i transiti, calcolò che gli emigrati erano da 820 a 920 mila. Altri, come Forbes, hanno avanzato la cifra di 700 mila. Il canale The Bell, sempre molto critico nei confronti delle politiche putiniane, ha parlato di 500 mila persone nel 2022. Altre fonti hanno spaziato da 500 mila a 1,1 milione di emigrati. Ora, però, è proprio il Financial Times a lanciare un altro “allarme”: circa il 15% di coloro che erano partiti, cioè circa 120mila persone, sono rientrati. Insomma: a volte ritornano. Anche nella Russia di Putin.
Posts tagged as “putin”
Per un paio di giorni i soliti noti hanno cercato di convincere i loro lettori che dietro l’attacco omicida di Hamas da Gaza contro i civili e i soldati di Israele ci fosse la mano della Russia. Prima sono andati giù piatti piatti, senza vergogna. Poi sono arrivate le smentite (per esempio quella dell’ambasciatore di Israele in Russia, Alexandr Ben Avi, che ha definito quell’interpretazione “una totale sciocchezza”) e allora hanno cominciato a svicolare: eh ma forse i droni, eh ma forse il Gruppo Wagner approvava… Infine hanno riattaccato a parlare di una possibile “nuova crisi energetica” che faceva sorridere Putin dopo che lo stesso aveva perso la prima guerra dell’energia, quella con cui gli europei si sono sganciati dalle forniture russe. Vecchia canzone spompata. È vero, non compriamo più gas dalla Russia. Lo compriamo altrove ma pagandolo tre volte tanto, subendo l’impennata dell’inflazione e un generale calo dello sviluppo economico. La zona euro è ufficialmente in recessione e l’economia della locomotiva d’Europa, la Germania, è una pallida imitazione di ciò che era prima della grande vittoria energetica su Putin.
Quindi sarà anche vero che avevamo sviluppato una “dipendenza” energetica dalla Russia. Però dalla dipendenza ci siamo liberati, mentre una fonte più affidabile ed economica della Russia non l’abbiamo trovata. E intanto la prode Europa, dovendo dipendere dall’Azerbaigian del dittatore Ilham Aliev, non può nemmeno spendere una parola per l’Armenia per non restare al freddo. Mentre la Cina e l’India e gli altri Paesi che comprano gas e petrolio russo a prezzi di saldo ci mangiano in testa. Abbiamo fatto questa scelta politica, ok. Ma chiamarla vittoria pare un po’ troppo.
A soli 37 anni, Kyrylo Budanov è uno degli uomini più potenti dell’Ucraina. Almeno da quando, nell’agosto del 2020, il presidente Zelensky l’ha messo alla testa della Direzione dell’intelligence del ministero della Difesa. Non parla molto, Budanov, ma quando lo fa dice sempre cose interessanti. Una delle sue ultime dichiarazioni è arrivata in risposta alla domanda su quale, tra gli ufficiali russi, ritenesse il più pericoloso per l’Ucraina. In modo piuttosto sorprendente, Budanov ha fatto il nome del generale Sergej Beseda: “Ci ha sempre dato problemi, resta una persona per noi difficile”.
Il Governo russo si è preparato a un ulteriore calo del tasso di natalità, al livello più basso dall’inizio degli anni Novanta. Ciò risulta dai materiali per il progetto di bilancio del Fondo sociale della Russia (lo SFR, che amministra le indennità di maternità e i sussidi mensili per la nascita di un bambino). Secondo le previsioni della FIS, nel 2023 nasceranno nel Paese 1.245 milioni di persone, il minimo dal 1999 (allora ne nacquero 1.215 milioni). Nel 2024, la cifra diminuirà del 5,8%, a 1,172 milioni di persone. Questo sarà il minimo dall’inizio degli anni Novanta. Nei successivi due anni coperti dalle previsioni, i tassi di natalità continueranno a diminuire, ma il ritmo rallenterà. Nel 2025 dovrebbero nascere 1.153 milioni di persone e 1.143 milioni nl 2026.
La “battaglia del grano” tra Ucraina e Russia si arricchisce di sempre nuovi capitoli. Intanto prosegue, e anzi si acuisce, la contesa tra Unione Europea e Ucraina da un lato e alcuni Paesi europei dall’altro. Polonia, Ungheria, Slovacchia, Romania e Bulgaria avevano ottenuto dalla UE un embargo temporaneo (fino al 16 settembre) contro il grano ucraino, che invadeva i loro mercati a prezzi ridotti, provocando il risentimento dei coltivatori locali. Le pressioni diplomatiche hanno convinto Bulgaria e Romania a riaprire i confini, mentre Polonia, Ungheria e Slovacchia hanno chiesto alla UE un prolungamento dell’embargo almeno fino a fine anno. Non avendolo ottenuto, hanno deciso di attuarne uno da sole. L’Ucraina, colpita in un punto molto sensibile (l’agricoltura è, oggi, l’unico settore della sua economia che produce profitti) ha protestato, ha chiesto l’intervento dell’Organizzazione mondiale del Commercio e ha minacciato un contro-embargo su alcune produzioni polacche. Risultato: all’Assemblea generale dell’Onu, il presidente ucraino Zelensky e quello polacco Duda hanno annullato l’incontro che avevano programmato. E Duda, parlando all’Assemblea, ha paragonato l’Ucraina a una persona che sta per annegare e rischia di far annegare anche chi cerca di soccorrerla. Non proprio un bel paragone. Nello stesso tempo, a Varsavia, il vice ministro degli Esteri Shimon Shinkovsky, alludendo alle prossime elezioni politiche e all’inquietudine degli agricoltori polacchi, dichiarava all’agenzia Pap: “Vogliamo continuare a sostenere l’Ucraina ma per farlo abbiamo bisogno del consenso dei polacchi. Se non lo avremo, non potremo aiutare Kyiv come prima”. A buon intenditor…
Analisi preoccupata di Bloomberg dopo che Russia e Arabia Saudita hanno stabilito di prolungare almeno fino a fine 2023 il taglio alla produzione di petrolio,…
di Giuseppe Gagliano – Dal 2013, la Russia usa e sovente abusa della “guerra ibrida”. Annullando la distinzione tra tempo di pace e tempo di guerra, combinando hard e soft power, questo concetto strategico permette al Cremlino di testare le posture e le reazioni del campo occidentale. Come sappiamo questa dottrina strategica è stata teorizzata dal generale Valery Gerasimov, ma fa parte di una lunga tradizione. È nata da una dimensione particolare della strategia dell’Impero bizantino, e trova la sua prima bozza nella raccolta di conferenze del 1920 del generale Alexandr Svechin. Essa ha influenzato la dottrina Primakov, che ha guidato la politica estera russa per più di due decenni. Nato a Kiev, ministro degli Esteri e poi primo ministro dal 1996 al 1999 sotto il presidente Eltsin, Evgenji Primakov postula che un mondo unipolare dominato dagli Stati Uniti è inaccettabile e che la Russia deve fare da contrappeso all’egemonia degli Stati Uniti favorendo l’emergere, in un nuovo patto, di nuove potenze come la Cina o l’India.
Bisogna sempre stare molto attenti a ciò che si desidera, perché a volte i desideri si avverano. Così ieri, per qualche ora, l’Occidente ha provato il brivido di ciò che da anni evoca e auspica: un tentativo di eliminare Vladimir Putin o, almeno, di condizionare e riorientare il suo potere. Così anche Evgenyj Prigozhin, per lungo tempo descritto come un satana mercenario e sanguinoso al servizio del Cremlino (perché ora c’è il Prigozhin leader di soldati ma prima c’era il Prigozhin leader degli hacker), ha goduto di un quarto d’ora di celebrità e di stima dalle nostre parti. Il suo abbozzo di marcia su Mosca ha brevemente destato un certo tifo e qualcuno ha pure cercato di vendere il dietrofront finale come un atto di saggezza quando, palesemente, si è trattato di una resa: in nessun modo l’avrebbero lasciato arrivare alla capitale, e i suoi mezzi allineati in autostrada sarebbero stati un facile bersaglio per i caccia.
Durante i lavori del Forum Economico Internazionale di San Pietroburgo, Vladimir Putin ha nuovamente elogiato l’andamento dell’economia russa. Il canale Telegram “The Bell”ha fatto il…
Anche a distanza di tanti anni, La prevalenza del cretino, l’immortale breviario che Fruttero e Lucentini pubblicarono nel 1985, resta una guida sicura per orientarsi nelle cose del mondo. Ancor più quando si tratta di libri e di intellettuali. La vicenda si svolge negli Usa. Masha Gessen, 56 anni, è un’intellettuale di passaporto russo e statunitense, nata a Mosca in una famiglia ebraica trasferitasi negli Usa all’inizio degli anni Sessanta. Lei ha lavorato a lungo in Russia come giornalista e, anche, come attivista dei diritti LGBT. Ha scritto libri sulla Russia, tutti ispirati a una critica radicale di Vladimir Putin e del putinismo. Siede anche nel consiglio direttivo del Pen America, notissima organizzazione per la difesa della cultura e della libertà di espressione, da cui però ieri si è dimessa.









