Putiniani. In questa grottesca categoria sono stati infilati a forza tutti coloro che, a torto o a ragione, hanno osato sollevare qualche dubbio su una narrazione che più o meno suona così: tutto ciò che noi (Usa, Ue, Nato ecc. ecc.) abbiamo fatto prima della guerra era giusto e legittimo (parliamone); la colpa della guerra cominciata il 24 febbraio è tutta della Russia (ovvio); tutto ciò che abbiamo fatto e stiamo facendo dopo il 24 febbraio è perfetto (dubitabile) e soprattutto inevitabile. Questa narrazione è ferrea, non ammette defezioni. E infatti nella categoria dei “putiniani” sono stati infilati a forza anche tutti coloro che pensano che la prima preoccupazione della grande politica, soprattutto in Europa, dovrebbe essere di far cessare le ostilità, di fermare la strage. Il che, tra l’altro, sarebbe nell’interesse primario dell’aggredito, più che in quello dell’aggressore.
Ma tant’è. Il paradosso sta nel fatto che i veri putiniani (senza virgolette e sul serio), cioè quelli che fanno gli interessi di Vladimir Putin e della classe dirigente russa che abita il Cremlino, sono proprio i sostenitori della guerra senza se e senza ma, della guerra da condurre fino allo sfinimento delle forze armate russe e/o al tracollo economico della Russia e a quello sociale del popolo russo, considerato colpevole quanto i suoi leader. Per capirlo, però, dovrebbero mettere il naso fuori dalla narrativa che hanno costruito e dalle paginate di giornale che compongono attingendo solo ai canali (Ukrinform, Unian, Ukrainskaya Pravda e compagnia) della propaganda ucraina. Che fa il suo mestiere in tempo di guerra, intendiamoci. Ma sempre propaganda resta.
In un periodo di evidente difficoltà al fronte e all’interno, il favore politico più grosso che si può fare a Putin e alla parte peggiore del suo sistema di potere è reiterare dichiarazioni di guerra alla Russia. Ciò è utile a Putin per far passare provvedimenti pesanti come la “mobilitazione parziale” (che vuol dire: la guerra entra in 300 mila case, e non solo in quelle dei volontari a contratto) e ai vari Prigozhin e Kadyrov (più i siloviki assortiti) per fare pressione dicendo: vedi Vova che l’operazione speciale non basta, che ci vuole una guerra vera, totale, senza freni? Basta osservare ciò che sta succedendo: nomine di generali considerati dei veri duri (nessuno si chiede perché Sergey Surovikin, l’ufficiale più alto in grado di tutto l’esercito russo, sia stato messo al comando solo adesso?), bombardamenti a tappeto sulle città e sulle infrastrutture ucraine, costituzione di un corpo d’armata russo-bielorusso in Bielorussia che ha chiaramente il compito di minacciare Kiev. Per non parlare della gioia di Kadyrov, quello che considera il ministro della Difesa Shoigu un mollaccione e invocava l’uso della bomba atomica, che ora si dice “completamente soddisfatto” della conduzione delle operazioni. Conduzione che sta tutta nella sconsolata constatazione di German Gaushenko, ministro ucraino dell’Energia: “I bombardamenti russi del 10 ottobre hanno danneggiato il 30% delle infrastrutture energetiche dell’Ucraina”. Chiameremmo tutto questo un buon risultato?
Ma i putiniani sul serio non badano a queste piccolezze. Sono per esempio convinti che, se anche il sangue di cervo non smettesse di funzionare o il famoso golpe anti-Putin non arrivasse, ci sarebbero pur sempre le proteste democratiche a cambiare la situazione. Anche se abbiamo fin da subito sequestrato i beni di oligarchi che, in gran parte, hanno corposi interessi in Occidente e avrebbero fatto volentieri il salto della quaglia. Anche se respingiamo in gran parte delle frontiere d’Europa persino gli studenti russi, cioè quei giovani che avremmo dovuto attrarre per mostrar loro quanto siamo migliori. E poi, ovviamente, aspettiamo il crollo. Dell’economia russa, che peraltro, dice il Fondo Monetario Internazionale, quest’anno perderà un modesto 3,8% del Pil, mentre ha più che raddoppiato l’attivo della bilancia commerciale, arrivato in nove mesi a 238 miliardi di dollari. Delle forze armate russe che, peraltro, dovevano finire i missili già sei mesi fa. Il tutto, di nuovo, senza chiedersi che cosa potrebbe accadere se la Russia dovesse davvero rischiare di finire gambe all’aria. Siamo sicuri che, in quel caso, la Cina resterebbe altrettanto discreta, sapendo di essere la prossima sulle lista nera? Che la Turchia gradirebbe un simile pasticcio ai confini? Eccetera eccetera.
In compenso, i putiniani sul serio non dedicano un pensiero vero a quanto tutto questo stia costando all’Ucraina, il che è appunto quanto di più “putiniano” si possa immaginare. Avete mai letto su un nostro giornale una stima (approssimativa, di massima, anche solo inventata) delle perdite ucraine? A quanto pare è necessario credere che gli ucraini al fronte non muoiono, che muoiono solo soldati russi. Che solo i russi vanno poco volentieri ad ammazzare e a farsi ammazzare. E che la mobilitazione parziale delle donne, decisa per ottobre dal presidente Zelensky, non sia una necessità ma uno sfizio. Forse vanno in gita. Imperativo anche trascurare un fatto, non decisivo per la sorti finale della guerra ma di un certo peso oggi: anche dopo le recente disfatte sul campo, la Russia controlla il doppio del territorio ucraino che controllava prima del 24 febbraio. E che frutta, a dar retta alle valutazioni del ministero russo per lo Sviluppo economico, un 20% in più nell’output della metallurgia, un 6% in più di carbone e un 10% in più per l’agricoltura.
L’unica cosa vera, cari putiniani sul serio, è lavorare per fermare la guerra. E non fate il solito trucchetto retorico di dire: chiaro, volete che smettiamo di aiutare con le armi l’Ucraina per consegnarla a Putin. No no, cari. Bisogna mandare le armi. Ma intanto studiare una soluzione per la pace. A che serve la politica, allora? Il problema vero è che mandare le armi lo può fare chiunque, mentre elaborare una proposta che possa almeno far cessare il fuoco riescono a farlo solo i politici di una certa qualità, che in Europa non abbondano. Se avete a cuore la causa di Kiev e l’integrità territoriale dell’Ucraina, sappiate che non otterrete nulla con il conflitto aperto. E se invece pensate che una pace giusta possa arrivare solo attraverso una chiara e inequivocabile sconfitta militare della Russia, quella che peraltro date per imminente da nove mesi, allora facciamoci gli auguri. Può finire davvero male.
Fulvio Scaglione
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