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ASILI O DONBASS? PUTIN SCEGLIE GLI ASILI

di Fulvio Scaglione    Molti si aspettavano che il discorso di Vladimir Putin al Consiglio della Federazione (la versione integrale in inglese qui) contenesse qualche intemerata sul Donbass. Putin, al contrario, ha scelto di cominciare il suo discorso dal calo demografico e dalla mancanza di posti negli asili nido. Sorpresa!

Il fatto che il nostro sistema mediatico si sia così concentrato sul Donbass dimostra una cosa nota da tempo: della Russia ci occupiamo solo per tanto riguarda noi. Abbiamo paura che scoppi un vero casino in Ucraina e quindi cerchiamo consolazione o conferma alla nostra paura. Fuori da questa autoreferenzialità, la Russia per noi non esiste. Non ce ne occupiamo. Non la studiamo. Non sappiamo che cosa sia. Altro che le nascite o gli asili.

Putin, che è un volpone e sa che cos’è l’audience, ha ovviamente lasciato cadere qualche strale contro l’Occidente. “Provocare la Russia senza motivo è il nuovo sport”, “La Russia ha i propri interessi e li difenderà”, più le solite cose sulle iene, le “linee rosse” da non superare ecc. ecc. Ma non si è attardato sul Donbass per almeno tre buone ragioni:

  • prima: sa benissimo che l’aumento della tensione non dipende da lui, ma dalle strategie di Joe Biden e dalla fragilità politica del presidente ucraino Zelensky. Questi era partito con buoni propositi ma non è riuscito a imporsi sui settori più nazionalisti e destrorsi dello spettro politico. Così si è man mano “poroshenkizzato”, pensando di trovare così sponda negli Usa. Con la nuova amministrazione americana, la filosofia “più rompo le scatole alla Russia più gli Usa mi aiutano” (e dietro a loro la Ue, il fondo Monetario Internazionale e così via) in effetti può pagare, e molto.
  • seconda: quel che poteva fare Putin l’ha già fatto. Ha riempito la Crimea di truppe e mezzi, ha chiuso il Mar Nero, ha mobilitato mezzo esercito. Ha fatto capire che la Russia non è più disposta a subire. Ha accettato lo scontro diplomatico con mezzo mondo. Stare a imprecare in Senato sarebbe stato abbastanza ridicolo.
  • terza: Putin sa che il fronte vero, quello decisivo, è il fronte interno. E lì le cose non vanno bene. Per ragioni oggettive (pandemia, crisi economica…) e per ragioni soggettive: la gente accetta con fatica sempre maggiore lo scambio “stabilità per libertà”, la continuità viene sempre più spesso interpretata come mancanza di idee e immobilismo.

A settembre ci sono le elezioni politiche e Russia Unita è in affanno come mai prima. L’economia arranca, inchiodata da anni a una crescita dell’1% e virgole l’anno. La gente è scontenta. Aleksey Navalny non sarà la risposta ma lo stato d’animo è reale e non può essere liquidato con un’alzata di spalle. Per questo Putin ha cominciato il suo discorso con l’ammissione di due fallimenti. Il primo è appunto quello del calo demografico: le misure prese a metà degli anni Duemila non funzionano più, bisogna cambiare strada, perché la natalità è inchiodata a 1,5 figli per donna, più o meno lo stesso tasso che si registrava nel 1943, in piena guerra mondiale.

A ruota, nel discorso, un altro fallimento: per invertire il trend demografico bisogna aiutare le famiglie e i sussidi non bastano più. Ecco perché gli asili sono importanti. Putin denuncia un disastro dello Stato sociale russo: sono stati investiti miliardi per creare 255 mila nuovi posti negli asili nido entro il 2021. Ma solo 37.500 sono attualmente fruibili, e gli altri, secondo i piani, bisognerebbe approntarli entro quest’anno. Non c’è da stupirsi se negli ultimi mesi quasi non si contano i governatori che sono stati costretti alle dimissioni. Che cosa si è fatto in questi anni? Dove sono finiti i soldi? Come si può uscire da una spirale che vede le famiglie con figli formare tra il 70 e l’80% di coloro che vivono in povertà?

Alla luce di tutto questo, la proposta di fornire pasti caldi e gratuiti agli scolari dalla prima alla quarta elementare, per aiutare le famiglie, non può che lasciare l’amaro in bocca ai politici russi. D’accordo la crisi della pandemia, le sanzioni, il calo del prezzo del petrolio (ora peraltro in rialzo), ma non è certo qui che la Russia si aspettava di arrivare.

Su questa linea, poi, Putin ha affrontato il tema del caro-prezzi (il Governo ha dovuto calmierare i prezzi di alcuni generi alimentari di base), dell’inflazione e anche quello cruciale degli stimoli e delle garanzie da offrire alle piccole e medie imprese, a partire da un quadro legislativo e giuridico che possa fornire agli investitori la certezza del diritto di cui hanno bisogno. Questo discorso dovrebbe passare agli annali, quindi, come il “discorso degli asili”. Un discorso in cui Putin ha vantato i risultati positivi ma, soprattutto, ha denunciato gli insuccessi e le mancanze.

Certo, ci si potrebbe chiedere dov’era lui in questi anni. Se il ribaltone operato con il Governo nel gennaio del 2020 non sia stato tardivo. Ma se non altro Putin ha mostrato di sapere che la stabilità della Russia, quella vera, passa soprattutto dal benessere dei russi e dalla soddisfazione dei loro bisogni. Più asili, appunto, e meno Donbass.

Fulvio Scaglione

 

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