di Amedeo Maddaluno In un recente scambio di cinguettii, due famosi giornalisti noti nell’italica infosfera per le loro posizioni ultra-atlantiste e filostatunitensi concordavano sulla scadentissima qualità della saggistica italiana (specie in ambito politico), dichiarando non senza snobismo di preferirle quella anglosassone. “De gustibus non est sputazzellam”, avrebbe loro risposto il Principe De Curtis, in arte Totò: anche noi come lui tiriamo avanti rispetto a certe posizioni massimaliste che, non possiamo non sottolinearlo, fatichiamo a condividere.
Non solo i mostri sacri come Franco Cardini producono nella lingua di Dante ottima saggistica politologica, ma un ecosistema di case editrici – Egea e Università Bocconi Editrice entrambe della Bocconi, Carocci, Laterza, Franco Angeli, GoWare, Vita&Pensiero dell’Università Cattolica – propongono testi maiuscoli di politologia, strategia militare, relazioni internazionali e geopolitica.
Tra le singole opere fresche di stampa merita una nota entusiasta lo studio di Giuliano Bifolchi, “Geopolitica del Caucaso russo”, edito da Sandro Teti per la collana Historos diretta da un certo Luciano Canfora (sempre per compiangere quanto arido sia ormai il panorama intellettuale italiano – certo che lo è, se l’unico accesso che si ha al medesimo sono i giornaloni e il mainstream!).
Quello del professor Bifolchi (PhD in storia dei Paesi islamici e analista geopolitico) non è solo un ottimo saggio prodotto da uno studioso che ha dedicato l’intera carriera all’area ex sovietica, approfondendo la storia, la lingua e la cultura del popolo di Tolstoj sulle fonti primarie e locali. È un meta-saggio, un manuale di come si fa buona saggistica anche con un testo non lunghissimo (175 pagine). Il lavoro di Giuliano Bifolchi si apre infatti con una nota metodologica(senza alcuna pedanteria accademica ma breve e agile) e quindi con poche pagine in cui presenta lo stato dell’arte della letteratura italiana su quest’area geografica.
Il percorso parte dal dato geopolitico – spiegato per ciò che è, la relazione tra politica e spazio – colpevolmente assai trascurato dalla politologia e al quale l’autore dedica i primi due capitoli, per passare al dato economico e a quello delle relazioni internazionali della regione (terzo capitolo) e in un quarto capitolo a quello della sicurezza e del terrorismo nel Caucaso. Un ricco ma sintetico apparato bibliografico e di note, molte delle quali russe, contribuiscono ad accreditare ulteriormente lo studio.
Testo magistrale sotto tutti i punti di vista: argomentato, sintetico, basato non sulle letture che della Russia dà l’Occidente ma che essa da di sé con i propri studiosi e accademici – che l’Occidente trascura tranne quando non si arroccano nelle istituzioni accademiche anglosassoni, segnatamente per assumere posizioni sempre e solo avverse alla politica del proprio Paese qualunque cosa essa proponga. Lo studio in questione è invece asciutto, terzo, asettico, descrittivo e mai valutativo: una vera lastra medica. Produrre un referto clinico di una delle regioni più complesse del globo elidendo completamente ogni “narrativa” e limitandosi a fatti, dati, informazioni, è opera già di per sé mastodontica nell’epoca dello storytelling. Suvvia: se il pubblico occidentale compra un libro sul Caucaso, lo fa per nutrire i propri complessi di superiorità, si aspetta resoconti “giornalistici” di storie strappalacrime o di fatti di sangue, per alimentare di volta in volta il proprio orientalismo o la propria russofobia, alla ricerca ora del “buon selvaggio” ribelle, ora del musulmano assetato di sangue, ora del russo tirannico. Di gasdotti, trattati commerciali, ragioni geografico-politiche nessuno vuol sentire parlare, ma sono proprio questi i dati strategici esposti nella monografia.
I media mainstream (Tv, social, giornali) e non certo la saggistica fanno troppo spesso sensazionalismo, narrazione e pessima informazione. I giornalisti di cui sopra avrebbero dovuto fare un minimo di autocritica. Qui troviamo un saggio che permette invece al lettore di conoscere il dato per poi farsi autonomamente un’opinione grazie a un linguaggio semplicissimo, un italiano scorrevole, una dimensione contenuta – dimostrando quindi che, male uguale e contrario, si può e si deve anche fare divulgazione senza il “latinorum” dei mattoni destinati a restare chiusi nei circoli accademici.
Da appassionato studioso delle aree geopolitiche post-sovietica e vicino-orientale non posso che unire ai miei complimenti l’auspicio che il professor Bifolchi non si fermi qui: sarebbe stato bello sviluppare ulteriormente il discorso (sul quale il Professore è esperto) relativo alle strategie di deradicalizzazione messe in campo nell’area, mediante ad esempio l’incentivazione dell’islam tradizionale caucasico contrapposto al radicalismo wahabita. Vi saranno tempo, modo e spazio, e si aiuterà ancora di più il lettore europeo a capire la Russia, il Caucaso, il Vicino Oriente, senza orientalismi, complessi di superiorità, slavofobie o paternalismi “umanitari” calati dall’alto verso i “popoli infanti e discoli”. In una parola, senza razzismi.
di Amedeo Maddaluno
Pubblicato in Osservatorio Globalizzazione
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