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BYE BYE CHUBAIS, RESIDUO DELL’ERA LIBERALE

di Marco Bordoni  Il 2 giugno del 1996, quando Vladimir Yakovlev batté a sorpresa il sindaco in carica Anatoly Sobchak nelle elezioni municipali di San Pietroburgo, il quarantaquattrenne Vladimir Putin, vicecapo dell’amministrazione comunale, si trovò in un momento difficile della sua carriera. Per la seconda volta, dopo l’uscita dal KGB nel 1990, il futuro Presidente si trovava su un binario morto: “Cosa fare?”, avrebbe ricordato più tardi: “In realtà, non c’era un posto dove lavorare. Ad essere sincero, ho anche pensato: magari vado lavorare con un taxi”. La salvezza venne da Anatoliy Chubais.


Economista dell’Università di Leningrado con una solida reputazione di riformista sin dagli anni Ottanta, Chubais costituiva la ruota “tecnica” del tandem con il “politico” e giurista Sobchak, nella cui facoltà Putin aveva studiato e che poi, dopo la parentesi nel KGB, aveva ritrovato al suo ritorno a Leningrado. Mentre Sobchak, stretto collaboratore del primo Eltsin e “padre” della Costituzione del 1993, concentrava i suoi interessi a San Pietroburgo (nel 1991 la città aveva cambiato nome), Chubais si metteva a disposizione del Governo centrale, concependo e realizzando, assieme ad Egor Gajdar, le privatizzazioni selvagge del primo governo Eltsin.

Proprio nell’estate del 1996 Chubais si trovava allo zenit della propria carriera politica, avendo ottenuto un’insperata vittoria nella campagna elettorale per il secondo mandato di Eltsin. Pochi mesi prima delle elezioni i sondaggi attribuivano a Corvo Bianco indici di gradimento da prefisso telefonico, e la prospettiva di una vittoria del candidato comunista Gennadiy Zjuganov appariva reale. Era stato Chubais, coordinando la macchina della propaganda ed i finanziamenti a valanga del Fondo Monetario e dell’amministrazione USA, a ribaltare le sorti della consultazione. Era il momento di incassare il dividendo portando a Mosca pezzi pregiati del circolo pietroburghese.

Fu così che un Putin davvero in cattive acque ricevette una chiamata da Pavel Borodin, capo della Direzione degli Affari del Presidente, che gli offriva un posto all’ufficio legale. Putin si affrettò ad accettare e propose al suo braccio destro nel municipio, un silovik sovietico che aveva lavorato in Mozambico, di seguirlo nell’avventura. L’ uomo accettò la scommessa e fu fortunato: oggi Igor Sechin è il potente capo del gigante petrolifero statale Rosneft.

Questo legame, strettissimo, fra Putin e i dioscuri delle riforme liberali, è imbarazzante sia per la
pubblicistica occidentale sia per la vulgata ufficiale russa. Alle nostre longitudini non piace ricordare che Putin è un pulcino della covata liberale disperatamente amata dai Clinton (a quanto pare il giovane Vova frequentò anche, senza grande profitto, un corso di formazione per politici filo occidentali finanziato dal National Democratic Insitute). Ai russi la storia non piace per ragioni simmetriche e perché il contrasto fra la stabilità dei nostri giorni e il caos degli anni Novanta è il pilastro ideologico del putinismo.

E tuttavia la San Pietroburgo di quel periodo è il big bang, da cui sono usciti tanti uomini che hanno poi preso direzioni magari opposte, ma ai quali Putin è rimasto intimamente legato. La sua scalata al potere ha spalancato le porte a tantissimi oscuri funzionari municipali suoi concittadini. Più tardi, mano a mano che Putin prendeva le distanze dal liberalismo, fino all’abiura finale, il gruppo si è separato: gli uomini di apparato, i siloviki, hanno continuato l’ascesa, i politici e gli economisti liberali “duri e puri” sono stati progressivamente relegati in posizioni secondarie o onorifiche, anche se mai mortificati.

Facciamo una veloce carrellata: abbiamo visto Sechin, galoppino di Putin a San Pietroburgo, ora capo di un potente conglomerato statale. Aleksej Miller, vice di Putin nel comitato pietroburghese che sollecitava gli investimenti esteri, è caduto anch’egli molto bene: presiede niente meno che il consiglio di amministrazione di Gazprom. Una scrivania di primo piano anche per German Gref, collaboratore di Sobchak sin dai tempi dell’Università: dirige Sberbank, principale istituto di credito del paese. Sergej Narushkin (compagno di corso di Putin al KGB, poi capo del dipartimento economico del municipio di Sobchak) e Viktor Zolotov (guardia del corpo di Sobchak) si trovano ai vertici del sistema di sicurezza russo, comandano rispettivamente lo spionaggio estero e la Guardia Nazionale. Infine Dmitry Kozak, capo del dipartimento legale nella Pietroburgo degli anni Novanta, è il Mr. Wolf del Presidente, quello che risolve i problemi: attualmente sta curando il delicatissimo dossier Ucraino assieme a Boris Gryzlov (anche lui era a Pietroburgo negli anni Novanta e faceva l’imprenditore nel ramo dell’elettronica).

Veniamo ai politici ed economisti che si godono una pensione di lusso: Aleksej Kudrin, economista, presiedeva il comitato pietroburghese per le riforme economiche. Portato a Mosca con Putin da Chubais, fu l’anima economica del corso putiniano nel suo primo decennio. Solo la crisi del 2011 gli fece perdere il braccio di ferro con Dmitry Medvedev, anch’egli giovanissimo consigliere comunale pietroburghese del gruppo di Sobchak salito alla ribalta sulla scia di Putin. Entrambi, poi, hanno avuto un atterraggio morbido: Kudrin dirige la Camera dei Conti e impartisce lezioncine quasi quotidiane di buona amministrazione sui giornali liberali, che lo venerano. Medvedev, presidente emerito, è vice presidente del Consiglio di
Sicurezza. Infine Viktor Zubkov, anch’egli economista, (già vice presidente del Comitato per gli investimenti esteri di Putin), ormai dimenticato premier della seconda presidenza (2007-2008) e oggi ottuagenario “rappresentante speciale del Presidente russo” presso il pletorico Forum dei Paesi esportatori di gas.

Chi sa se Putin ha pensato a quell’estate del 1996 giovedì scorso, quando ha destituito Anatoliy Chubais dalla guida di Rusnano, l’istituzione statale destinata alla ricerca nelle tecnologie avanzate con l’ ambizione di curare la dipendenza russa dalla droga energetica, che Chubais guidava dalla sua fondazione, nel 2011. A suo modo Rusnano era già una prebenda, dopo che la carriera politica dell’ ex mentore del Presidente era colata a picco nel 2003, quando il partito di opposizione liberale Unione delle Forze di Destra (creato con Egor Gajdar) non aveva superato lo sbarramento necessario per eleggere deputati alla Duma. Ma era sempre una tribuna: l’uscita di scena definitiva avviene ora. Anatolj Chubais si interesserà, in futuro, delle trattative sui cambiamenti climatici.

Si conclude una storia trentennale, che ci dice molto di Putin e della sua Russia, della sua etica personale e del suo corso politico. Nei confronti degli amici e dei colleghi (ma forse di potrebbe anche parlare di consorteria) Putin è sempre stato leale. Già nel 1997, nella sua nuova veste di funzionario dell’Amministrazione presidenziale, riuscì a salvare Sobchak da un’inchiesta che era la classica espressione del rude Spoil System post sovietico. L’ex sindaco si rifugiò a Parigi, dove rimase fino al proscioglimento nel 1999 ( il gesto di Putin verrà apprezzato da Eltsin, in cerca di un successore con spiccata etica della lealtà e della gratitudine). Più tardi, quando è mutato il clima, queste antiche amicizie sono diventate scomode e gli anni Novanta universalmente esecrati. Ma il Presidente russo non ha mai rinnegato il suo passato. Il 19 febbraio del 2020 ha partecipato alle celebrazioni per il ventesimo anniversario della morte di Anatolyj Sobchak, il suo padrino politico, assieme a Dmitrij Kozhak: veniva inaugurato un monumento alla memoria, da molti vituperata, dell’ex sindaco.
Questo sul piano personale. Su quello, politico, invece, il messaggio è diverso. Dopo tanti anni i legami fra il Presidente e i liberali sono alfine recisi: mentre salutava il monumento a Sobchak, Putin annunciava la riforma che avrebbe emendato pesantemente la Costituzione scritta dal suo padrino. Adesso l’altro mentore, quel Chubais che lo portò nell’anticamera del potere nell’estate del 1996, è fuori dai giochi. Si apre una nuova pagina della storia russa, una pagina conservatrice e rivolta al passato. L’esperienza liberale è (per il momento) archiviata.

di Marco Bordoni

Marco Bordoni anima il canale Telegram “La mia Russia”

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