Chi ama la Russia, anche questa Russia. Chi la vorrebbe al posto che merita, ovvero parte dell’Europa e attore importante nel mondo. Chi ha realmente a cuore le sue sorti. Chiunque non sia preda dei furori ideologici e conservi un minimo di buon senso riconoscerà una cosa: la chiusura di Memorial, decretata ieri dalla Corte Suprema russa, è un’ingiustizia clamorosa. Peggio, è un errore colossale. Tanto più perché avviene in un clima già segnato dalla continua serie di arresti di collaboratori di Aleksey Navalny (a sua volta in carcere a Vladimir), dalla chiusura di altre Ong (Ovd-Info, pochi giorni fa), dal continuo inserimento nella lista degli “agenti stranieri” di organizzazioni e agenzie di stampa varie. Ieri Aleksandr Bastrykin, capo del Comitato investigativo federale, ha detto che l’Occidente conduce una “guerra ibrida” ai danni della Russia, producendo film e videogiochi che vogliono indurre la gioventù russa a disprezzare la patria. Sappiamo bene quale formidabile macchina da propaganda sia Hollywood, ma è normale che il primo investigatore di Russia si abbandoni a una tale inutile e malinconica lamentazione?
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di Marco Bordoni Slovyansk, 24 maggio 2014. I fotografi Andrea Rocchelli, Andrej Mironov e il giornalista francese William Roguelon, che si trovano nella città di Slovyansk per raccontare la guerra civile ucraina, decidono spostarsi nella vicina Kramatorsk. Hanno avuto notizia di un bombardamento da parte delle forze governative e vogliono verificare di persona. Si fanno accompagnare da un tassista, Evgheny Koshman, su una vettura che espone l’insegna distintiva della locale cooperativa tassisti, “Viva 1”, e dopo dieci minuti giungono alla fabbrica Zeus e alla ferrovia. Di fronte a loro, un po’ verso sinistra, sta il colle Karachun, su cui è installata l’antenna televisiva.
di Stefano Orsi – Qualche giorno fa, Lettera da Mosca ha pubblicato le conclusioni preliminari, molto critiche nei confronti della giustizia italiana, degli esperti del gruppo…
Il Centro Memorial di Mosca e il Centro per le libertà civili di Kiev hanno fondato un “Gruppo di studio internazionale per un’analisi indipendente” dell’uccisione,…
di Marco Bordoni
All’inizio, negli epici giorni di Piazza Maidan, e poi per tutta la durata della sporca guerra nel Donbass, la narrazione dei fatti ucraini fu, per la stampa italiana (fatte salve rarissime eccezioni) un compito di diligente ricopiatura della linea prestabilita di stretta osservanza atlantica. Le responsabilità russe (vere e presunte) venivano poste in grande evidenza, mentre i fatti di cronaca che lasciavano intravvedere i contorni di una realtà più complessa erano o ignorati, o riferiti in maniera contorta e fumosa. Il lettore poteva benissimo capire che le vittime di Odessa si fossero date fuoco da sole o che le bombe che cadevano sulle città del Donbass fossero un fenomeno meteorologico (si sa: si dice il peccato, ma non il peccatore).